31 marzo 2006

"Bianciardi com'era" lo sapranno in pochi

Questa è una non-recensione di un libro che non ho ancora letto: tutto normale, direbbero in molti, quanti sono i critici che fanno così.
Ho qui il “librino” davanti a me, di colore bianco e rosso, gentilmente inviatomi da Antonello Ricci; si intitola Bianciardi com’era, di Mario Terrosi, anche se poi come sottotitolo riporta Lettere di Luciano Bianciardi ad un amico grossetano.
Inutile star qui a ricordare chi fosse Bianciardi che, come dice Moretti nel suo Caimano, è inutile cercare di spiegare cosa non va di Berlusconi a chi non vuole capire in che Italia viviamo. E quindi cosa aggiungere sull’intellettuale-scrittore-traduttore-precursore (e chissà cos’altro) grossetano, andatosene troppo presto nel 1971 dopo una vita discretamente maledetta, ma nella quale era arrivato anche fin dentro al successo, quello vero?
Ben poco, direi. Magari a chi non lo conosce diamo il consiglio di leggersi la bella biografia di Pino Corrias, dal titolo La vita agra di un anarchico, dove in copertina campeggia una sua bella foto ritratto di traverso, come quella che in fondo fu sempre la sua vita.
Di Mario Terrosi invece sapevo poco e nulla, solo che era un pittore e scrittore grossetano amico d’infanzia di Bianciardi, di quelli che non si perdono di vista. E a quel tempo due che non avevano voglia di perdersi di vista potevano solo scriversi, se abitavano a centinaia di chilometri di distanza.
Questo, dunque, è un libro di lettere di Bianciardi a Terrosi, con qua e là qualche appunto di Terrosi sull’amico, qualche notarella a margine.
Almeno così credo, sbirciandovi dentro, ma non è poi troppo importante.
Il libro fu pubblicato verso la metà degli anni ‘80 dalla casa editrice Ianua di Roma, che per le alterne vicende delle umane sorti conosco, perché il mitico editore - Antonio Porta - occupa fisicamente da sempre (credo) una delle postazioni fisse librarie nell’atrio del Tribunale di Roma, ed è una specie di Barbablù per molte delle avvocatesse che con delle vocine vanno a chiedergli cose assurde, beccandosi spesso delle sonore pernacchie.
Prima di stampare questo libro, Antonio chiese il consenso a Terrosi di pubblicare le lettere, gli riconobbe le sue provvigioni, e pubblicò.
Mai nulla, in quegli anni, gli venne rinfacciato, da parte di chicchessia.
Vent’anni dopo Marcello Baraghini, di Stampa Alternativa, che per le alterne vicende delle umane sorti conosco tramite gli amici dell’Associazione Il Fondo, ex Fondo Boccardi (e ho detto tutto, e anche qui chi vuol capire ha capito, chi no peggio per lui, magari si informi sulle vicissitudini dell’Associazione in separata sede), trova questa edizione, si ri-appassiona al personaggio Bianciardi, per lui colpevolmente chiuso in una torre d’avorio dalla Fondazione, e decide di ristampare il libro.
Contatta quindi Antonio Porta e gli chiede se gli può cedere i diritti. Porta accetta, per qualche centinaio di euro. Baraghini aspetta che l’affare decanti, tanto che Porta quando mi vede mi chiede sempre cosa aspetti Baraghini a firmare il contratto, poi alla fine si decide, il libro si farà.
Grazie anche alla collaborazione di Corrado Barontini e Antonello Ricci, altra talentuosa vecchia conoscenza dell’Associazione. I due mettono giù un’appendice su Terrosi e Bianciardi, sudando qualche camicia per scrivere cose gradite alla famiglia Terrosi, che pare rompa parecchio.
Il libro alfine si stampa. Non so in quante copie - qualche decina, immagino, almeno, ma si stampa. Ne ho la prova, è qui davanti a me, nel suo bel bianco a rosso.
Nel frattempo la famiglia Bianciardi, e precisamente la figlia, viene a sapere che si sta facendo un libro di lettere del padre, scrive a Baraghini e lo diffida dal pubblicare il libro (o qualcosa del genere), perché lei non dà il consenso necessario ai sensi della normativa sul diritto d’autore, non avendo Bianciardi o chi per lui mai fornito un consenso all’edizione Ianua, che viene definita solo “tollerata”,
Baraghini, che non conosce l’arte della mediazione, credo l’abbia insultata, e temo che vi sia poco da ricucire, forse solo qualche punto di sutura. Il suo braccio destro, peraltro, gli consiglia anche di non azzardarsi ad adire vie legali, non ha senso rischiare beghe e cause su libri così, da 500 copie, 1000 al massimo.
Nel frattempo, però, il libro - che era in uscita - arriva anche a qualche critico, come Abbiati de "Il Giornale", che una decina di giorni fa ci fa sopra una recensione.
Su un libro che, allo stato dei fatti, non uscirà mai, almeno oltre quelle rare copie da collezione che gireranno l’Italia, sperando non finiscano nelle mani di censori come quelli descritti da Bradbury in Fahreneit 451. Forse fra 35 anni verrà anche pubblicato, per carità, quando ci sarà la possibilità di averlo senza consenso.
Questa storia però ha preso corpo, è diventata reale, nella sua follia.
La storia di un libro che non c’è, che poi è anche una storia di altre storie, tutte da raccontare, magari in un altro libro, questo sì da scrivere e pubblicare.
Il libro bianco e rosso che ho qui davanti a me però è maledettamente vero, apro le sue pagine e le trovo scritte, non è una allucinazione proveniente da casa di Antonello. Una delle tante, direbbe qualche malalingua…
E’ solo un’altra storia di Maremma, di quelle che va a finir male per forza, direbbe il Pacini. O un’altra storia di diritti d’autore, di edizioni di diverso genere su cui la famiglia vuole avere ogni controllo, di incomprensioni, di mezze frasi, di incapacità agli accomodamenti, direbbe qualche altro.
Io non lo so che storia sia, forse non mi interessa nemmeno. O forse sì.
E poi il libro lo debbo ancora leggere, per me la vera storia sta là dentro. Tutta là dentro. Quella di un uomo solo come Bianciardi che, a 35 anni dalla morte, oggi sembra ancora più solo. Un uomo che, all’apice del suo successo, nel 1962, scrive da Milano all’amico “che la gente per Natale è impazzita, compra di tutto, compra, compra. Figurati che comprano perfino i libri…”: dispiace pensare che di queste lettere, della sua vita, la gente nemmeno impazzendo potrà leggere mai.
Bianciardi oggi ri-muore e nessuno se ne accorge, come fu del resto la sua prima morte, accompagnato al cimitero da poche persone, quasi di soppiatto.
Trovo in banda bianca in copertina una lettera del 1961 “Ho in mente di buttar giù una grossa pisciata in prima persona sull’avventura milanese, sul miracolo italiano, sulla diseducazione sentimentale che è la sorte nostra d’oggi. Tu non immagini l’aridità della gente che mi sta intorno…”: a questo punto bisogna proprio leggerlo questo libro, diventa troppo interessante.
Ma come si fa a recensire seriamente, come si fa a parlare di un libro che non c’è?

Alessandro Tozzi

19 commenti:

Anonimo ha detto...

La cugina di mia mamma, oggi quasi ottantenne, lavorava come segretaria in uno studio notarile a Milano. Un giorno va ad aprire: c'è un Signore un po' stropicciato, mi racconta, che chiede del titolare. Lei lo fa accomodare. Il titolare arriva subito, sospende tutti i lavori, prende sottobraccio il Signore e si chiude nello studio. Poi si affaccia, allunga il libretto di assegni all'allora segretaria, e le dà poche ma chiare istruzioni. Qualche minuto dopo lei entra e mette una busta sulla scrivania. Qualche minuto dopo i due escono e si salutano.
La scena si ripete ogni tanto (non molto spesso).
Poi, il Natale scorso, regalo a questa cugina un librettino, "Natale con i fichi", di un tal Bianciardi, e lei lo legge e ci trova lui, il Bianciardi, che ricorda benissimo, e il suo avvocato, che con Bianciardi ha fatto un pezzo di guerra e un altro pezzo di vita, a Milano.
E cosi' salta fuori questa storia. Perche' il signore stropicciato e senza soldi era proprio Bianciardi.
Che voglia di leggere quelle lettere...

Anonimo ha detto...

qui siamo al doppio colpo, grande pezzo del tozzi al buio (ma anche manu su moretti ha appena fatto una cosa simile) e grande la storia su Bianciardi stropicciato....

Anonimo ha detto...

Certo che Lucianone non finisce mai di stupire....che storia....nella storia in un altra storia...e così all'infinito....

Anonimo ha detto...

alessandro, amici, è una cosa bellissima questo parlare sul libro "che non
c'è": recensioni, non-recensioni, commenti... mi ridà un po' dell'entusiasmo
che questa vicenda (e il precedente caso boccardi) mi avevano spento

ma c'è un ma

non vorrei che questa cosa mettesse ulteriormente in difficoltà
stampalternativa - non sarà il caso di tenere informati anche marcello e leo
di tutta questa effervescenza?

(certo, poi, se mi si chiedesse di venire a non-presentare in maremma il
libro fantasma non è che mi tirerei indietro)

attendo vostre nuove - intanto, abbracci a tutti

Anonimo ha detto...

Sì, Antonello, io nel precedente post sulla faccenda ho pubblicato il commento di Stampalternativa sul caso, e informato in vari modi Marcello, che vai a sapere in che stazione è in questo momento....

Anonimo ha detto...

non male la proposta di fare una non presentazione di un libro che non c'è....dadaismo, situazionismo o semplicemente 1 aprile? si sollecitino i pareri ...

Anonimo ha detto...

ad una non presentazione non si va
ci si ritrova per caso

Anonimo ha detto...

comunque sentiti tutti pare prendere campo l'ipotesi di una non presentazione con tortelli veri da Wanda con la Bellini e Elvo come mediatori, stefano e alberto all'accusa di antonello e alessandro avvocato difensore per un congruo numero di tortelli....se poi arriva silvio si bolle in pentola anche lui prima che faccia spezzatino di antonello....non c'è non serietà...

Anonimo ha detto...

pensate che si possa fare qualcosa? Che so, una lettera alla figlia da
qualcuno un po più mediatore, magari Luciana Bellini, o una segnalazione con tanto
di raccolta di firme.. Io già lo vorrei leggere questo libro.. Ciao Ele.

Anonimo ha detto...

il libro te lo presto io per leggerlo, per il resto parafrasando un vecchio detto, meglio un morto in casa che un erede all'uscio...non c'è storia proprio...

Anonimo ha detto...

Ricordo un concerto, due-tre anni fa, di Jannacci e figlio, con una dedica commossa all'amico Luciano " che aveva già intuito tutto tanti anni fa..." quando frequentavano gli stessi bar di Brera, e Milano era già una città senz'anima...

Anonimo ha detto...

cari compagni del Fondo, volevo dirvi che vi seguo, dal sito e dal blog, che questa storia è amara, come sono amare le lettere di Bianciardi da Milano all'amico terrosi. è bello quel libro che c'è e per forza di cose prima o poi ci sarà. è bella la richiesta d'aiuto, dignitosa e sincera, tra le righe ma non troppo, di Luciano che a Milano sembra trovare tutto quello che cercava. lavora, magari pure con quattro editori, i suoi libri vanno bene, La vita agra benissimo, dalle sue storie vengono tratti film, la giostra è in pieno movimento... Ma a lui manca qualcosa, un abbraccio, un affetto, una tenerezza. servirebbe un gesto di questo tipo, adesso, per mettere a tacere tutte le astiosità (e sono pure uno che al diritto d'autore ci crede, uno che lo rispetta) e lanciare il libro nella mischia.

Anonimo ha detto...

comunque il libro l'ho letto, e lo consiglio vivamente, un affresco straordinario queste lettere di bianciardi. quindi, siccome in giro non c'è, l'unica è mettere a ferro e fuoco i magazzini di stampa alternativa e rubarselo...

Anonimo ha detto...

Tutto giusto, tutto vero. Letto - e da tempo - Corrias, letto anche "Disse escatollo e nessuno raddoppiò" (a proposito, ma voi lo sapete che cos'è l'escatollo?), letto il leggibile di Bianciardi, povero cuore. Povero grande cuore (e ultimamente molto amo i cuori, specialmente quelli appena un po' troppo grandi e un po' troppo "liberi battitori"...).
Ma.
Avvocatesse?
Che se arrivano sono arrivatesse? Che quando se ne vanno se ne sono andatesse? E magari sul piu' bello arriva una vigilessa (non addormentata, no, proprio vigile: o vigilessa) che a tempo perso fa la studentessa, vero? Una studentessa che quando va a scuola e' presentessa e se manca è assentessa, perchè magari è andata dal dottore che è una vera signoressa, visto che non è una dottora, e allora è stata una sua pazientessa?
Avvocata, Stefano (o Alessandro), avvocata: arrivata, andata, vigile, studente, presente, assente, signora, dottora, paziente.
Non so se Bianciardi sarebbe stato d'accordo, e forse non m'importa e forse sì: ma il mondo è sessuato, la lingua è sessuata, e le avvocatesse lasciamole al passato. O al passatesso?
Fiamma

Anonimo ha detto...

ovviamente nel quotidiano mi rivolgo alle colleghe chiamandole avvocato
il tono di quelle righe credo consentisse il termine avvocatesse, anche se
non ho mai approfondito quale sia quello corretto, dico la verità, magari
qualche luminare potrebbe perfino sorprenderci e dire che avvocatessa è
giusto, vai a sapere

una cosa la so: se una donna mi fa una multa con una faccia da cazzo è una
vigilessa :-ppp
(se è un uomo è un vigile con una faccia da cazzo)

Anonimo ha detto...

Ah no, caro! Se c'è una volta che una vigilessa è una vigile è quando ha la
faccia da cazzo!!!:-ppp:-ppp:-ppp
Comunque il luminare dira' cio' che vorra' ma la luminare - e io,
modestamente, lo nacqui - continua a usare la participia passata.
Prima, durantessa e dopo ch'essa sia passata di moda.
Baci anche a te, va là.
P.S. Posso assurgere ai cieli dei detentori di una delle pocherrime copie?

Anonimo ha detto...

P.S. Se vuoi inoltra questa mail, pubblicala nel blog, fanne strame e/o
carne di porco (porchessa?): non credo nelle scritture private (roba da
notai) o meglio credo che qualsiasi scrittura privata sia per definizione
privata, sì, ma di senso. Baci.

Anonimo ha detto...

(Articolo tratto da "Il Giornale" 22 marzo 2006)

Epistolario. Mario Terrosi e il vero Bianciardi

"Anche a Milano è un pianto, chiudono gli stabilimenti, ci sono cinquantamila disoccupati, molti lavoratori a orario ridotto. E piangono, forse molto più di quel che sarebbe lecito. Prima era di moda la sbruffoneria, ora è di moda il contrario, il fingersi poveri, mendicare compassione.Prima urlavano al miracolo, ora urlano alla fine del mondo. Lascamoli piangere." Fine gennaio 1965. Luciano Bianciardi si è già ritirato (in tutti i sensi) a Rapallo, dopo gli anni trascorsi "su", nel volontario esilio milanese. E scrive "giù", a Grosseto, all'amico di sempre Mario Terrosi. L'amico delle fanciullesche sassaiole, delle confessioni intime, delle illusioni e dei disinganni. Ce l'ha con tutti e con nessuno. E' stanco e non lo nasconde. Si lascia andare. La sua battaglia non è più soda,e la vita continua ad essere agra, anche se ha sopra quel poco di zucchero dato dalla sicurezza economica. Il primo volume dell'"Antimeridiano" bianciardiano è in libreria da tre mesi. Ma non c'è il rischio che le lettere all'amico lontano (-Bianciardi com'era- Stampa Alternativa pag.73 euro 10) vengano schiacciate dal poderoso tomo. Al contrario, visto che ci portano la viva voce dell'ironia ("Ho difuso la voce che Calvino sta scrivendo un altro libro, e che lo intitolerà il Marchese ritardato; è la storia di una giovane coppia che teme di avere un figlio, ma poi arriva il marchese e si tranquillizzano" 1 marzo' 62) della resa ("Lavorare è diventato una specie di intossicazione. Se non sto almeno cinque ore al giorno alla macchina da scrivere, mi sembra che mi manchi qualcosa.Speriamo che un giorno non mi spezzi..." 1 agosto ' 59) del dolore (" Oggi sono giù di morale. Tacconi Otello mi ha querelato per diffamazione: cioè per avere scritto che la Montecatini lo licenziò in seguito ad un suo comizio di accusa contro i metodi della società. Io mi chiedo che mondo è questo." 5 maggio ' 63). In appendice, un breve intervento di Antonello Ricci, mette in parallelo la Rapallo di Bianciardi (ribattezzata Nesci-cioè stupidi- in Aprire il fuoco) con il castellaccio ghibellino abbandonato a pochi km da Viterbo di cui si innamorò Pasolini nello stesso 1964 che vide l'arrivo del grossetano in Liguria. Bianciardi lavora in una camera pentagonale, come pentagonale è la torretta da cui Pasolini spedisce le sue Lettere luterane. Sull'ultima lettera di Luciano a Terrosi invece, il timbro postale è del 24 settembre 1971: "Io ho un poco di febbre e dunque ti lascio, torno a letto e mi leggo i racconti di Mario Terrosi". Cinquanta giorni dopo, Bianciardi morirà. A Milano.

Daniele Abbiati

Anonimo ha detto...

Avvocato (maschile), avvocatessa (femminile), la variazione sessuale si fa così, secondo il vocabolario. "Avvocata" è forma molto meno comune anche se accettata, [soprattutto nel "Salve regina": "Orsù, dunque, avvocata nostra..."].
Perciò, Tozzi, per una volta direi di andare tranquillo.
Poi, se la lingua evolverà abbastanza, potrai persino dire che mia figlia e' una studenta e io una professora.