12 luglio 2006

Appello per i fatti al G8 di Genova

APPELLO PER UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SUI FATTI DEL G8 DI GENOVA


In Italia, nel luglio del 2001, abbiamo vissuto quella che Amnesty International ha definito "la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale".
Quella ferita, inferta così violentemente il 20 e 21 luglio, ha lasciato un'ennesima macchia di sangue nelle pagine della storia del nostro paese, il sangue di migliaia di giovani umiliati, malmenati e torturati da coloro che sarebbero stati addetti a preservarne la sicurezza; la vita rubata al giovane Carlo Giuliani, vittima sacrificale di una mattanza indistinta.
La ferita dei giorni di Genova è rimasta aperta e dolorante nelle coscienze di tanti italiani e italiane che ancora s'interrogano sulle responsabilità politiche e materiali di quei gravi fatti, di chi si chiede come mai a cinque anni di distanza ancora non si sia fatta chiarezza sulla linea di comando, sulle inadempienze, sugli abusi di potere, sugli occultamenti di prove o sulla loro invenzione.
Subito dopo quegli avvenimenti fu istituita una Commissione di indagine conoscitiva bicamerale dotata di poteri d'indagine limitati. La natura stessa della Commisione, nonché il breve tempo in cui si svolsero i lavori (conclusi il 20 settembre 2001) denotano la volontà del governo di centrodestra di chiudere velocemente la faccenda, auto-assolvendosi agli occhi del Paese. Tale Commissione ha conseguentemente prodotto solo una sommaria e lacunosa ricostruzione dei fatti accaduti a Genova, senza arrivare ad una ricostruzione puntuale degli avvenimenti.
Anche i successivi eventi processuali (a cominciare dalla archiviazione dell'omicidio di Carlo Giuliani) sono risultati viziati dalla stessa logica: chiudere la "pratica Genova" nel più breve tempo possibile. Si sono dunque banalizzati i fatti, riconducendoli ad una logica di "manifestanti violenti" contrapposti a "sporadici eccessi delle forze dell'ordine". Tutto questo col risultato di non poter vedere la precisa linea di repressione del dissenso di cui Genova ha costituito l'episodio più grave, seguito da altri meno noti ma non per questo meno inquietanti. Seguendo il solco ideale del disinteresse tracciato dalla Commissione parlamentare, possiamo leggere non solo le vicende processuali, ma anche la grave distrazione dei maggiori media italiani, che stanno lasciando scivolare i processi in corso per i fatti di Genova nella più completa apatia.
Se il nuovo governo vuole imprimere una svolta democratica al nostro paese, da qui deve cominciare, perché non può esserci futuro democratico laddove una macchia così grave viene lasciata alle spalle, perché non può esservi saldezza di diritti in un paese in cui rimangono troppi dubbi sull'omicidio di un giovane ad una manifestazione.
Il giorno dell'insediamento del nuovo governo è stato ripresentato al Senato un disegno di legge sostenuto da 60 senatori e senatrici che prevede l'istituzione di una commissione d'inchiesta sui giorni del G8 che abbia gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria, che possa cioè utilizzare tutti gli strumenti utili ad acquisire informazioni necessarie al raggiungimento della verità. Analoga iniziativa è in corso alla Camera dei deputati, con la possibilità quindi di ottenere una Commissione bicamerale, che avrebbe ancora più peso politico. E' urgente che questo disegno di legge venga discusso al più presto dal Parlamento per essere approvato e l'inchiesta possa rapidamente partire.
E' necessario che tutti e tutte coloro che in questi anni hanno condiviso la lotta per ottenere verità e giustizia si impegnino a far si che ciò avvenga. Bisogna insistere affinché ogni parlamentare si senta in dovere di assolvere una richiesta forte proveniente dal paese: nessuna lungaggine burocratica, nessun ostacolo dovrà frapporsi questa volta all'istituzione di un organismo, realmente aperto all'ascolto di tutti i soggetti che hanno faticosamente lavorato in questi anni alla ricostruzione dei fatti, e che possa dunque far luce sul black out di civiltà che ha investito il nostro paese nel luglio del 2001.

Chiediamo a tutti e tutte di impegnarsi attivamente affinché si possa finalmente in questo Paese, almeno su questa vicenda, restituire alle parole verità e giustizia il loro significato.

PER ADESIONI SCRIVERE A:
commissioneg8@yahoo.it

AIUTACI A DIFFONDERE L'APPELLO E A FARLO FIRMARE!
Scarica l'appello: http://www.piazzacarlogiuliani.org/carlo/include/dox/appello.doc



RICOMINCIAMO DA GENOVA


Mercoledì 19/07 DEMOCRAZIA E MOVIMENTI
ore 15.30 Inaugurazione mostra Diritti Negati
ore 17.30 Ne parliamo con...
ore 21.00 Parlano le comunità genovesi di migranti
ore 22.30 L'AMERICA NON ESISTE IO LO SO PERCHE' CI SONO STATO

Giovedì 20/07 PER NON DIMENTICarlo
ore 15.00 Musica e poesia, con trampoli e sorprese in Piazza Alimonda con la partecipazione di tanti amici:
Alessio Lega, All Jurassic, Les anarchistes, Cisco e Guido Foddis, Luca Lanzi e Casa del vento, le sorelle Fennec con Roberto Giuliani, Renato Franchi & Orchestrina del Suonatore Jones, Pierugo Marika e Fabio...
... e con finale giullarata musicale:
(Re) Carlo (non) torna dalla battaglia di Poitiers
di e con Giulio Cavalli
alla fisarmonica Guido Baldoni
ore 22.30 CONCERTO DI CAPAREZZA E ASSALTI FRONTALI

Venerdì 21/07 DEMOCRAZIA E REPRESSIONE
ore 16.00 Presentazione libro
ore 17.30 Ne parliamo con...
ore 20.00 Cena organizzata dal Comitato Verità e Giustizia per Genova
ore 22.00 Fiaccolata alla Diaz

Sabato 22/07 DEMOCRAZIA E COSTITUZIONE
ore 15.30 Ne parliamo con...

Segnaliamo che Sabato 22 alle ore 9.30 presso il Teatro Instabile (via Cecchi 4) si terrà l'incontro Ripartire da Genova per il ritiro dall'Afghanistan.

Primi firmatari: Vittorio Agnoletto, Mario Agostinelli, Marco Bersani, Antonio Bruno, Donatella Della Porta, Tommaso Fattori, Alessandra Mecozzi, Emilio Molinari, Andrea Morniroli, Tonino Perna, Riccardo Petrella, padre Giuseppe Pirola, Anna Pizzo, Raffaele Salinari, Gigi Sullo, Danilo Zolo.


Per adesioni ritiroafghanistan@gmail.com



TI ASPETTIAMO!

Zapatero non va alla messa col pastore tedesco

Zapatero uomo laico serio. Altri, ominicchi.

07 luglio 2006

Dalla nostra inviata in Canada

Di Manuela Ardingo


Il di piu' che noi siamo ancora in grado di intravedere tra i sogni, qui non ha piu' alcuna possibilita' di risolversi simbolicamente. Perche' tutto e' gia' in atto, tutto e' gia' stato espresso. Tutte le possibilita': sviluppate, digerite, assimilate.

E, invece, attraverso la privazione si capisce. Attraverso il sacrificio si cresce. Sempre di piu' sono convinta che la verita' sia nella sottrazione. Una sottrazione scelta e consapevole che nulla ha a che vedere con certi integralismi di facciata che si vedono in giro. Anche l'integralismo pauperista, infatti, e' un sintomo dello stesso male. Una sfida alla normalizzazione del mondo. Solo incidentalmente l'uomo moderno e' indotto al sacrificio, salvo poi accorgersi di quanto tale sacrificio sia nutriente. E l'inerzia sottesa a una tale mancanza di coscienza risulta, ormai, insopportabile. E triste.

Tutto sembra viaggiare verso il risolto, il prodotto, il realizzato. Passare dalla potenza all'atto sembra tutto cio' di cui abbiamo bisogno. Invece la vita sta nel divenire e solo la morte e'. Noi, al piu', ci accontentiamo di esistere. Vogliamo tutto e subito. Vogliamo poche deviazioni e dritti alla meta. Non c'e' piu' spazio per gli scherzi del destino ne' per le malinconie piu' feconde. Non c'e' piu' il fertile stato d'animo dell'insoddisfazione. Noi, in realta', vogliamo morire. Noi sappiamo che anche le nostre piu' cieche pulsioni fanno parte della vita. Noi sentiamo che, ancora, da qualche parte, esiste qualcosa di inespresso.

Eppure, forse provvidenzialmente, continuiamo a vivere come se solo esistessimo. E sono moltissime le volte in cui mi osservo dall'alto, estaticamente, e mi chiedo: chi sono? E non so se guardare al tutto o alla parte. Se sia meglio accumulare nuove strade o solo approfondire quelle vecchie. Se esistere per ottant'anni sia uguale a vivere per quaranta. Se quello che penso possa fare la differenza. E, soprattutto, che tipo di differenza sia.

Leggo Baudrillard e mi colpisce una frase: una volta aggirata ogni trascendenza, le cose sono soltanto quelle che sono e, cosi' come sono, non si sopportano. Forse la nostra irrequietezza nasce solo da un'ossessione di profondita'. Forse, mi dico. e' quindi la noia che ci fa piu' belli. E' la noia che ci spinge avanti, di perche' in perche', fino alla fine dove non c'e' risposta. Ma e' meglio cosi', lo imparo ogni giorno. Perche' se da subito fossi quella che idealmente dovrei essere non diventerei mai quella che sono.

Non avrebbe piu' senso conoscere parole come obsoleto e sciabordio, ne' sentirsi orgogliosa di conoscere una lingua bella come l'italiano. In inglese tutto e' ottimizzato e piatto. Si usa la stessa parola per coprire le sfumature di dieci nostre parole. Ed e' evidente, senza scomodare Meneghello, che: laddove non esiste una parola non esiste neanche il concetto che la rende necessaria. Ma scegliere una parola tra venti, richiede energia e una certa sensibilita'. Gesti fuori mercato, attitudini poco convenienti. Meglio, allora, spalmare un good su ogni sensazione positiva piuttosto che mettersi li' a distinguere. Meglio far sparire dal linguaggio globale i simboli e le sfumature: non servono, distraggono e fanno perdere tempo. Meglio poche parole e nessuna possibilita' di fraintendimento. Tutto deve essere chiaro, leggibile, orribilmente user friendly: fa' una cosa che anche un idiota possa usare e solo un idiota vorra' usarla. Tutto deve significare solo cio' che significa, senza sforzo. Senza svolazzi poetici, senza concetti complessi, senza letterarie romanticherie.

Il punto e' oscillare tra due estremi ugualmente illusori: il mondo non esiste se io non ci penso o io non esisto se il mondo non mi pensa? Il mondo non esiste solo perche' lo conosciamo, e' un fatto. Anche se, come scrivevo all'inizio, esistere non e' tutto: non e' neanche una minima parte del tutto. Capire che le due illusioni siano in qualche modo collegate e' quanto ho imparato in questi giorni.

Il mondo non ha alcuna predestinazione alla conoscenza, scrive Baudrillard. Ma la conoscenza appartiene al mondo almeno quanto i miei occhi. Appartiene quindi allo stesso sistema di rappresentazioni che ho imparato a temere da qualche tempo. Sistema insolubile che prevede situazioni in cui una piccola parte del mondo, io, pretende di essere lo specchio del mondo stesso. Situazione impossibile perche' lo specchio fa parte del mondo esattamente quanto la conoscenza e la mia voglia di divenire. E' un po' la metafora dello specchio di Nietzsche: Se cerchiamo di considerare lo specchio in se', finiamo per scoprire su di esso nient'altro che le cose. Se vogliamo cogliere le cose, ritorniamo in definitiva a nient'altro che lo specchio. Questa e' la piu' universale storia della conoscenza.

E l'altro giorno, arrivando in macchina da Boston, mi spiavo nello specchietto retrovisore. Mi guardavo negli occhi, senza concedermi il resto. Poi ho cominciato a pensare a me e alla familiarita' che ho con il mio viso. A quanto mi siano estranee le mie espressioni e a quanto, invece, siano completamente intellegibili le mie impressioni. Pensavo: chi sei?, tornando ai miei occhi. Poi ho smesso e ho cominciato a guardare piu' giu' e piu' intorno. Ho cominciato a intuire una superficie altra a sostenere la mia immagine. E, quasi d'improvviso, mi sono accorta di una frase scritta in nero sullo specchietto:

OBJECTS IN MIRROR ARE CLOSER THAN THEY APPEAR!

Touche'.

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