26 ottobre 2006

Il Migliore

Non sappiamo cosa farete voi, ma l'Associazione "Il Fondo" sarà al gran completo davanti al televisore giovedì prossimo, 2 novembre, alle ore 21.00 a guardare "Il Migliore", trasmissione condotta da Mike Bongiorno su Rete 4. Perché? Eheheheh...

19 ottobre 2006

Caso Bianciardi - Io sto con Ettore, que viva l'anti-Fondazione

Inizi 2006. Una mail senza appello di Luciana Bianciardi blocca nei magazzini di Stampa Alternativa la nuova edizione del libro di Mario Terrosi, Bianciardi com’era, lettere a un amico grossetano, curata da Corrado Barontini e dal sottoscritto. Sembra così cassato, non senza scorno e amarezza, un anno di ricerche sode, approfondimenti critici e recupero per un più vasto pubblico dell’interessante esperienza della casa editrice grossetana “Il paese reale” attiva in Maremma negli anni ’70.
Editore e curatori, però, non ci stanno. Vien la primavera. E con essa il tour delle non-presentazioni del libro fantasma. A maggio a Pianizzoli (Massa Marittima) a giugno a Viterbo. I contributi di quegli incontri (Marcello Baraghini, Corrado Barontini, Stefano Pacini, Alberto Prunetti, il sottoscritto, Alessandro Tozzi) finiscono sul web. Intervengono sul tema anche Alessandro Collesano e Marzio Pieri (quest’ultimo in versi). Si accorge della cosa www.retididedalus.it sito del Sindacato Nazionale Scrittori. Marco Palladini, direttore della testata, pubblica i materiali della polemica, interviene egli stesso sul tema.
Ai primi di settembre Maria Iatosti scrive al sottoscritto per ringraziare i promotori dell’iniziativa. Chiede di poter leggere il libro fantasma. Esprime l’auspicio di un serio confronto sul tema con l’editore.
La solidarietà della Iatosti incrocia il tormentone dell’estate grossetana: le clamorose dimissioni in blocco del gruppo dirigente della Fondazione Bianciardi (Abati, Lorenzoni e altri). Fondazione la cui decennale attività è stata certo caratterizzata da alcuni meriti scientifici che non andranno sminuiti o rimossi, ma anche da non pochi difetti di metodo e prospettive. I più buoni parlano di “fondazione-cenacolo” i più cattivi di “obitorio culturale”. Si vocifera che il futuro della Fondazione sarà affidato a Luciana Bianciardi (irriducibile critica della gestione dimissionaria). Ma anche di un trasferimento della Fondazione stessa a Milano sotto l’egida di Vittorio Sgarbi.
Qualche giorno dopo, colpo di scena nel corso della IV edizione del Festival di letteratura resistente a Pitigliano. Alla presentazione del librino millelire della giornalista Irene Blundo, Bianciardi com’era a Grosseto (nel ricordo di Isaia Vitali), sale sul palco Ettore Bianciardi, figlio maggiore di Luciano, che prende duramente le distanze da scelte, comportamenti e veti della sorella. Ettore propone a Baraghini di ripubblicare a breve gli articoli di sport e costume che Luciano scrisse nei tardi anni ’70 per il Guerin sportivo. Ma soprattutto lancia la provocatoria proposta di una giocosa e creativa Anti-Fondazione che impedisca il risorgere della paludata Fondazione (sotto qualunque guida). Nella convinzione che, lungi dal valorizzare e diffondere l’opera di uno scrittore, istituti di questo genere finiscano troppo facilmente per ridursi a medaglifici intrisi di patetico localismo ecc.
Infine. Al di là della possibile riapertura del caso del Terrosi-Bianciardi fantasma e della possibilità di riportarlo in “vita” (vicenda che comunque, e per fortuna, con la querelle intorno alla Fondazione grossetana non c’entra punto), questo groviglio di malaventure bianciardiane mette in evidenza due questioni di più generale interesse.
Prima: l’attuale legge sul diritto d’autore e le immancabili divergenze di “pensiero” tra eredi penalizzano spesso volontà e possibilità di soggetti terzi di diffondere l’opera e l’eredità culturale di uno scrittore.
Secondo: la formalizzazione di istituzioni legate al nome di un autore si trasformano puntualmente in centrali di potere culturale (se non di profitto) che finiscono per allontanarsi facilmente, troppo facilmente, dalla propria ragione originaria. E questo, mi si permetterà, è quanto di meno bianciardiano sia dato immaginare sulla faccia della terra.


Antonello Ricci

13 ottobre 2006

Il paese delle barzellette

Un sindaco chiede un preventivo per pitturare la facciata del municipio e gli arrivano tre offerte. Quella di un tedesco di 3.000 euro, quella di un francese di 6.000 e quella di un italiano di 9.000 euro. Davanti a tali differenze convoca una riunione con i tre concorrenti affinché giustifichino i loro preventivi. Il tedesco gli dice che vuole usare una vernice acrilica per esterni che costa 1.000 euro e che vuole dare due mani, poi tra impalcature e pennelli si spendono altri 1.000 euro ed il resto è il suo guadagno. Il francese giustifica il suo preventivo dicendo che lui è il miglior pittore in circolazione, che usa una vernice poliuretanica e che vuole dare tre mani. La pittura viene quindi 3.000 euro, tra impalcature e pennelli si spendono altri 2.000 euro e gli altri 1.000 sono il suo guadagno. L'italiano, che viene ascoltato solo per curiosità poiché il suo preventivo non è paragonabile agli altri, dice:"Sindaco, il mio è sicuramente il preventivo migliore: 3.000 euro sono per te, 3.000 sono per me e 3.000 sono per il tedesco che pittura la facciata..."

A parte le risate, questa è l’immagine dell’Italia, ci ragionavo oggi, col mio consueto pessimismo cosmico, centro di gravità permanente dell’insoddisfazione. Ma, a parte mie considerazioni personali (ed inutili) sulla vita e sul mondo, le cose non vanno proprio, anche se rimaniamo una potenza mondiale, c’è il sole, la pizza, siamo campioni del mondo e abbiamo il Papa cazzuto antiislamico. Non è che poi le cose non vadano settorialmente, o il problema sia limitato ad alcune zone d’Italia, dove pure le cose vanno indubbiamente peggio che in altre, quanto meno sotto il profilo del livello di vita, anche se loro hanno il sole e il mare e un pochino se ne fottono: è che qui, come ti giri, c’è qualcosa che non va. Ed anzi, è meglio girarsi in maniera circospetta perché appena lo fai te lo buttano al culo, diciamo qui a Roma in maniera forse troppo cruda, ma maledettamente vera. Purtroppo dal mio osservatorio privilegiato, per certi versi, di avvocato, ne vedo passare troppe, alcune divertenti altre decisamente avvilenti, per poter anche solo lontanamente pensare positivo. Ma il problema è che buona parte di quello che entra nei Tribunali Italiani come merda (non parliamo di quello che non ci entra nemmeno, troppo complicato), rimane merda, senza che nessuno pensi minimamente ad emendarla quanto meno di una parte dell’olezzo che emana. Intendiamoci, non voglio fare un generico discorso disfattista sulla Giustizia che non funziona, sui giudici che non lavorano, sui cancellieri che non lavorano, sugli avvocati che lavorano anche troppo e su tutto il resto: ci sono situazioni e realtà di ogni tipo, a volte anche positive, e non è possibile dire che tutto e tutti sono male, ci sono svariate persone che si fanno il culo onestamente anche per chi non se lo fa. Il problema è che la Giustizia è proprio pensata, messa in piedi ed amministrata male, se ci vedessero i poveri Romani che hanno inventato il diritto si metterebbero le mani nei capelli: solo nell’ambito civile ci sono 23 procedimenti diversi, ognuno con un rito tutto suo, un disastro…ma se quello che fa cadere le braccia nell’ambito del disastro italico è questa tendenza generale dell’italiano al personalismo sfrenato, quello che finisce quasi per amputarmele è che non è possibile rivolgersi alla Giustizia italiana per avere Giustizia di fronte alle cose che non vanno. Ecco, l’incompetenza in particolare a me mette paura. Soprattutto la mia, in verità. Di tanta gente sento dire che sono fenomeni, sono bravissimi, sono questo e quello, cotale e siffatto, poi magari ci parli ed è un disastro, sono gravi solo con le parcelle. Eccole le tre i di Berlusconi, da far applicare a tutti: incompetenza, inaffidabilità, ignavia. Queste le tre i da migliorare per salvare l’Italia, e quanti di quelli che credono di essere chissà chi non ne hanno nemmeno mezza, limitandosi ad apparire bravi, tanto non serve esserlo. E fino a che l’avvocatura oggi in sciopero contro il Decreto Bersani, non protesterà vibratamente contro mille altre cose che non vanno, e che nessuno ha la minima intenzione di far andare bene, è poco credibile, tesa solo a salvare quelli che sembrano privilegi, ma sono solo il retaggio di un tempo e di una generazione diversa, quando a fare gli avvocati erano in pochi e più o meno ci campavano tutti di questo mestiere. Ma torniamo all’Italia, che è un problema più grosso, a forma di stivale. Un tunnel di cui non si vede l’uscita, francamente, che si entri da destra o da sinistra cambia poco, non sono di quelli che crede che la Sinistra al Governo possa rivoltare le cose in modo tale da cambiare lo Stato. E soprattutto gli Italiani. Ci vorrebbero riforme serie, volte a spazzare via una volta per tutte una serie di privilegi assurdi, di rendite di posizione, di amicizie, panza e sottopanza, amici degli amici, consulenze di vario genere. Quei 9000 euro della barzelletta diventerebbero 3000 all’improvviso. Forse 4000 o 5000, ma staremmo meglio tutti. E non è il solito discorso sull’evasione fiscale o sul pubblico impiego assenteista: ognuno dovrebbe fare un qualcosa in più e meglio. Ma deve essere sempre l’altro a partire, questo è il problema vero. E nessuno partirà mai: da qui il pessimismo cosmico. Qualche giorno fa, invece, si parlava con altre persone dell’ideale della fuga (con la u); l’idea di prendere e andarsene, lasciando qui tutto alle spalle. Andrebbe fatto, se non altro per salvarsi la vita, o per salvare quella delle generazioni a venire, che staranno anche peggio di noi, con più traffico, più ingiustizia, più smog, meno posti di lavoro. Solo che quella che un tempo veniva considerata una fuga personale, pensata quasi più come sconfitta che altro, ora diventa una vittoria; andare via come massima aspirazione, come sogno proibito. Ed allora forse diventa importante rimanere e cambiare quello che si può cambiare, quindi quasi niente, turandosi il naso ma cercando di mettere nel secchio dell’immondizia le cose che non vanno. Anche le proprie. Sapendo che sono tutte battaglie perse, ma che se se ne vincesse anche solo una ogni tanto, allora avrebbe avuto un senso rimanere. Senza pensare ad un atto di eroismo, ma solo che si è persone serie in un Paese di barzellette. Basterebbe. Anche senza 3000 euro in tasca.


Alessandro Tozzi

04 ottobre 2006

Perdonateli

Ieri c’era Saverio Tutino a svendere il suo Premio Pieve Santo Stefano per i diari autografi alla Banca Bassotti Toscana e, peggio ancora, a dar voce non a chi non l’ha mai avuta – come dovrebbe essere secondo lo spirito del Premio –, ma a uno che già ne ha tanta da assordare un sordo.
Oggi tocca a Adriano Sofri, a Roma, fare da zerbino e lacchè al campione degli scrittori del nulla: Walter Veltroni.
«Veltroni è 24 ore su 24 sempre aperto» ha dichiarato. Ma che stronzata! Provate ad andare in Campidoglio alle tre di notte, che se insistete a farvi ricevere dal sindaco Veltroni vi beccate piuttosto qualche strapazzata dai vigilantes.
Poi l’ex capo di Lotta Continua, non sapendo che altro dire, s’è esibito in una cinquantina di citazioni, da Klee a Giovanni ventitreesimo, da Modugno a Bergman. Tanto del libro di Veltroni non c’era nulla da dire, se non che con le pagine tutte bianche sarebbe stato meglio.
Perdonateli: Tutino e Sofri non sanno più quello che fanno e che dicono, o forse semplicemente hanno bisogno di lenire la solitudine della loro vecchiaia con qualche telecamera, e l’ex compagno divenuto sindaco se ne porta appresso parecchie, tanto paghiamo noi...
E soprattutto, insisto, leggetevi Il compagno Veltroni: Dossier sul più abile agente della CIA. Divertimento assicurato e in più molti buoni motivi per riflettere. Lo potete trovare e scaricare, anche per diffonderlo, all’indirizzo su Libera Cultura all'indirizzo
www.stampalternativa.it/liberacultura/?p=39.


Marcello Baraghini