28 marzo 2008

Il cuore del presente

di Sandro Mezzadraelezioni1.jpg

Non v’è dubbio che abbia ragione Giacomo Marramao (“il Manifesto”, 17 marzo): “è impossibile afferrare il cuore del presente senza sottrarlo al rumore dell’attualità”. E tuttavia, mi si consenta il gioco di parole, il presente resta il cuore del problema. Il presente: ovverosia le tensioni che lo segnano, i rapporti di dominio che lo organizzano, il “rumore sordo della battaglia”, per citare Michel Foucault, che si combatte in una dimensione diversa da quella da cui proviene il “rumore dell’attualità”. Il presente: ovverosia i salari che non consentono di arrivare alla fine del mese, la precarietà e l’attacco alla 194, ma anche le pratiche con cui i soggetti dominati e sfruttati conquistano quotidianamente spazi di libertà e di uguaglianza.

Ecco: a me pare che di questo presente si senta parlare davvero pochissimo nel “dibattito” che sta svolgendosi a “sinistra”, e in particolare sulle pagine del “Manifesto”. Il “rumore dell’attualità” lo ha dominato in una prima fase, quando ad appassionare il ceto politico dei quattro partiti (partiti? È un “partito” la “Sinistra democratica”? Mah…) che hanno dato vita alla Sinistra arcobaleno è stato il tema della composizione delle liste. Nessun moralismo al riguardo, sia chiaro: la politica è fatta anche di queste cose, ci mancherebbe. Ma quando è fatta solo di queste cose, c’è da preoccuparsi. E chiunque abbia avuto la ventura di ascoltare anche solo un paio di aneddoti sulle riunioni da cui sono emerse le liste della Sinistra arcobaleno sa bene che la preoccupazione è più che giustificata.
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Ma ora le liste ci sono. Ed è cominciato il “dibattito”. Vi ha fatto capolino il “cuore del presente”? Non direi. Al suo posto sono subentrati un paio di fantasmi: il fantasma della Politica e il fantasma della Sinistra, con le iniziali rigorosamente maiuscole come ai fantasmi si conviene. Altre volte, nella storia moderna, attraverso figure fantasmatiche e spettrali si è cercato di nominare (perfino di “afferrare”) il cuore del presente: mi vengono in mente, per fare qualche esempio, alcune tragedie di Shakespeare, il Manifesto del partito comunista e un paio di scritti di Freud. Non mi pare che questo stia avvenendo oggi nel “dibattito” in questione. Dal presente i fantasmi ci strappano per ricondurci verso passati più o meno lontani, verso quelle che sempre più appaiono come mitiche “età dell’oro”. Dai due fantasmi dominanti (quello della Politica e quello della Sinistra) si genera allora tutto un corteo di spiritelli, tra loro ora in competizione, ora solidali: la Costituente, i “partiti di massa” (anche la DC, per carità), la “programmazione economica” durante il primo centrosinistra, l’FLM (sarà bene specificare: è la sigla con cui all’inizio degli anni Settanta si unirono i sindacati metalmeccanici di CGIL, CISL e UIL) e via fantasticando. Diceva Goethe, citato in esergo da Freud nella Psicopatologia della vita quotidiana: l’aria è così piena di spettri che nessuno sa più come evitarli.

Sono solo tre esempi, molto diversi tra loro come si era promesso. E va da sé che si potrebbe continuare a lungo. Ma non è il caso. Il punto è sempre quello proposto da Marramao: afferrare il cuore del presente. E a me pare che il “dibattito” apertosi a “sinistra” si tenga rigorosamente a distanza da questo punto cruciale. Anzi: mi pare che riproduca un abito di pensiero, uno “sguardo” sui conflitti contemporanei, un immaginario che militano rigorosamente contro la possibilità di afferrare il cuore del presente; che popolano quest’ultimo di fantasmi da cui chi li prende sul serio, come si è detto, è costretto a rivolgere il proprio sguardo a un passato più o meno mitizzato, finendo per risultarne ipnotizzato e paralizzato. Poi magari una ragazza ventenne che ha sentito parlare dei fantastici anni del primo centrosinistra va al cinema, vede sfilare nello splendido film di Alina Marazzi, Vogliamo anche le rose, le icone patriarcali di quegli anni, e si sveglia. Facevano proprio così schifo quegli anni? Sì, facevano schifo. E ci sono volute la rabbia, l’indignazione e la violenza (ripeto: la violenza) di operai e studenti, di donne che non ne potevano più, perché si cominciasse a respirare un’aria diversa. Il Sessantotto di cui tanto si parla oggi è stato questo, un diverso sguardo sul presente nato dalle lotte e dalle tensioni di quel presente, divenuto di massa e capace di produrre nuova libertà e nuova uguaglianza: si consenta di dirlo a uno che in quell’anno aveva appena cominciato le elementari, e che ha sempre avuto una coscienza precisa del debito enorme contratto con quegli operai, con quegli studenti, con quelle donne.

Non abbiamo bisogno di miti, neppure di quello del Sessantotto così riletto. Ma abbiamo bisogno di nuove parole, di nuovi sguardi, di nuovi immaginari. Abbiamo bisogno di leggere la domanda di massa (che c’è) di una politica (con la p minuscola) nuova, abbiamo bisogno di individuare obiettivi per cui mobilitarsi davvero, che parlino ai comportamenti, ai desideri di liberazione, alle lotte che sono il cuore del nostro presente. E che cosa ci dice l’ineffabile Fausto Bertinotti dalle pagine del “Manifesto” (forum del 9 marzo)? Tra le altre cose, che dopo le elezioni la sinistra “avrà una scelta quasi obbligata”: quella di lottare per “la centralità dei partiti in una repubblica parlamentare e proporzionale”. Mi scusi, Presidente, ho capito bene? La “centralità dei partiti”? È questo il suo modo, doloroso e tormentato come è nel suo stile, di “uscire dal Novecento”?ja-stick.jpg Wow… Sul Novecento si sono dette un sacco di sciocchezze negli ultimi anni: ma la “centralità dei partiti”, così come l’abbiamo conosciuta nell’ultimo secolo, quella sì è finita per sempre. Lo pensano Obama e Veltroni, ma se ne sono ben resi conto Chávez e Morales, caro Bertinotti.
Votate pure per chi vi pare, il 13 e il 14 aprile. Ma i problemi sono altri. E come sempre abbiamo fretta, il tempo è una risorsa scarsa per chi vuole cambiare il mondo (permettete anche a me di dire un’enormità, tanto in giro si sprecano…). Ecco, il “dibattito” che si è aperto da un paio di settimane a “sinistra” in questo Paese mi pare una colossale perdita di tempo. When the earth moves again, cantavano i Jefferson Airplane un sacco di anni fa: quella, la terra, non ha mai smesso di muoversi. Basta saper guardare.

www.carmillaonline.com

21 marzo 2008

Non è mai troppo tardi....

Genova, il dossier dei pm: nella caserma
tutti sapevano e tollerarono violenze disumane

"Torture e impunità
nell'inferno di Bolzaneto"

di MASSIMO CALANDRI


"Torture e impunità
nell'inferno di Bolzaneto"

GENOVA - Nella memoria dei pubblici ministeri di Bolzaneto, il termine Duce compare 48 volte. Mussolini, 8 volte. E 28 Pinochet, 9 Hitler, una Francisco Franco. Nelle 791 pagine consegnate ieri durante il processo al carcere speciale del G8, si ripetono all'infinito quattro sostantivi: rispetto, legalità, difesa, pietà. Ma queste sono parole, scrivono i pm, "cancellate dalla semplice crudeltà dei fatti".

Parole annullate da "comportamenti inumani, degradanti, crudeli", dalla "sistematica violazione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali". Dalle violenze, dagli abusi psicologici, dalle minacce, dalle privazioni, dalle offese: tutte accompagnate da un costante richiamo fascista, con i detenuti costretti ad urlare "Viva il Duce!" e ad esibirsi in umilianti sfilate con il braccio teso in un grottesco saluto romano, mentre un telefonino rimanda sinistra la musica di Faccetta Nera. "Bastardi rossi!". "Voi, dei centri sociali!". "Ebrei di merda!". "Zecche comuniste!". "Bombaroli!". "Popolo di Seattle, fate schifo!".

Luglio 2001, tortura
Tre giorni e tre notti che "non potranno essere dimenticati", spiegano i pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati, ben sapendo che da sette anni c'è chi gioca col calendario e fa spallucce, contando sulla prescrizione. E però resta questo sofferto documento, di sette capitoli. Che risponde a due istanze fondamentali. La prima è di ordine tecnico-giuridico: fornire le prove inconfutabili di ciò che è accaduto, usando le parole delle vittime e chiarendo perché sono attendibili dalla prima all'ultima parola. La seconda è lasciare un documento storico. Esemplare. Una memoria, appunto, proprio perché nessuno dimentichi. Con l'augurio che il reato di tortura - "questo fu, a Bolzaneto" - venga un giorno disciplinato dal nostro codice penale.

Un capitolo, il terzo, è dedicato alle deposizioni dei 209 fermati. Indicati uno per uno. Nome, cognome, scheda segnaletica, fotografia, impronte. È un lungo racconto dell'orrore, basta pescare a caso. Nicola N., Siena, 1981: "Nel corridoio già dall'arrivo deve camminare a testa bassa. Prima di farlo entrare in cella lo fanno inginocchiare davanti alla cella e gli danno due pugni in faccia ed un calcio. Deve stare in piedi con le mani legate dietro alla schiena, ad un certo punto in ginocchio. Ad ogni spostamento viene colpito con calci, pugni, schiaffi colpi a mano aperta nella schiena e ginocchiate nello stomaco. Gli agenti gli dicono di tenere la testa bassa perché è un essere inferiore e non degno di guardarli in faccia, che è una merda e che con Berlusconi possono fare quello che vogliono".

"Ti piace il manganello?"
Ester P., Pinerolo, 1980: "Durante il passaggio nel corridoio riceve calci e sberle al passaggio, e insulti. "Puttana, troia". In bagno l'agente-donna le schiaccia la testa verso il basso sino a quasi toccare la turca mentre dal corridoio gli agenti la insultano con parole: "Puttana, troia, ti piace il manganello?". Dalla cella vede un ragazzo nel corridoio colpito con manganellate ai testicoli. In infermeria deve spogliarsi completamente e la fanno uscire nel corridoio in mutande e reggiseno. Prima della traduzione degli agenti con divisa grigia la fanno mettere in fila con gli altri e fanno fare loro il saluto romano, cantare "Faccetta Nera" e dire "Viva il Duce"".

Il taglio del codino
Adolfo S., spagnolo, Reicon de Olivedo, 1970: "Nel corridoio lo mettono in piedi contro il muro e mentre è in questa posizione descritta, gli agenti gli tagliano il codino. In bagno viene nuovamente percosso con la porta dello stanzino e dove gli agenti buttano nella tazza il codino tagliato e lo obbligano ad urinarvi sopra. Mentre è in corridoio viene riconosciuto da un agente che lo aveva identificato per strada che chiama un collega; lo portano poi in bagno, gli danno due forti colpi, lo chiudono nello stanzino e continuano a colpirlo; poi un agente, che a lui pare indossare la divisa dei carabinieri, gli mostra un distintivo e gli dice: "Avete ucciso un mio collega". Trascorre la notte al freddo, senza cibo e senza acqua e continua a ricevere colpi sino a che al mattino viene portato via".

"Non rivedrai i tuoi figli"
Valerie V., francese, Perpignan, 1966: "Fanno pressione per farle firmare un documento, le danno colpi a mano aperta sulla nuca, le mostrano le foto dei figli sul passaporto e le dicono che se non firma non li avrebbe più rivisti. Riceve anche insulti del tipo: "Comunisti, rossi". Sente urla dal corridoio e da altre celle, e supplicare. Sente che gli agenti fanno versi gutturali come di animali. Ricorda in cella chiazze di sangue e di vomito, e sente odore di urina. Non le danno da bere né da mangiare. Riesce a bere solo un po' d'acqua da un lavandino, prima di essere picchiata. Ricorda una ragazza americana in cella con lei, Teresa. Viene ammanettata con lei. La rivede nel carcere di Alessandria, e questa volta ha lividi su tutto il corpo".

L'impunità
Non ci furono casi isolati, scatti improvvisi di rabbia. I pm spiegano che "l'istruttoria dibattimentale ha dimostrato una pluralità di comportamenti vessatori perduranti nell'arco di tutti i giorni di presenza degli arrestati". "Vi è stata una volontà diretta a vessare le persone ristrette nel sito, a lederle nei loro diritti fondamentali proprio per quello che rappresentavano: tutti appartenenti all'area no global e partecipanti alle manifestazioni ed ai cortei contro il vertice G8".

"Non crediamo ad esplosioni improvvise di violenze. Il processo ha provato che i capi ed i vertici di quella caserma hanno permesso e consentito, con il loro comportamento e con la gravità delle loro consapevoli omissioni, che in quei tristi giorni si verificasse una grave compromissione dei diritti delle persone. Perché è questo ciò che il processo ha provato essere accaduto. Troppo grave è stato il concorso morale in tutte le sue forme, troppo grave la tolleranza, troppo grave ogni mancato dissenso da comportamenti violenti e scorretti, troppo grave anche solo il loro silenzio e la loro inerzia, troppo grave il rafforzamento del diffuso senso d'impunità che ne è conseguito".

La giustizia frustrata
La frustrazione dei magistrati è evidente. Citano Cesare Beccaria, Pietro Verri e Antonio Cassese, già presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene e dei trattamenti inumani o degradanti. "A Bolzaneto fu tortura", ripetono. E per dare forza alle loro argomentazioni, rimandano ad una serie di precedenti internazionali. Ricordano il caso Irlanda contro Regno Unito del gennaio di trent'anni fa, in cui si dà conto delle "torture" subìte dai simpatizzanti irlandesi da parte dell'esercito britannico.

Ma a differenza di tutti gli altri paesi, sottolineano, l'Italia non si è mai adeguata alla Convenzione europea dei diritti dell'Uomo. L'ha sottoscritta nell'89, però il codice penale quel reato non lo ha mai disciplinato. Tortura. "Altrimenti, gli imputati avrebbero dovuto essere condannati a pene comprese tra i due e i cinque anni di reclusione". Invece di anni ne hanno potuti chiedere 76, suddivisi tra 46 persone. Che "avrebbero dovuto comportarsi come caschi blu dell'Onu". E invece trasformarono quella caserma in "un inferno"

La Repubblica marzo 2008