27 aprile 2006

La valigia delle storie



Dal nostro inviato Alberto Prunetti

Avrei voluto recensire Il collare di fuoco di Valerio Evangelisti (Mondadori), ma poi le parole hanno preso una deriva propria e quel libro è diventato un pretesto per parlare d’altro. Ecco quindi, al posto di una recensione, alcuni appunti sparsi su storia e narrazione, sulla storia dei professionisti dell'accademia e quella di uno scrittore di genere, quale appunto si considera Valerio Evangelisti.

RACCONTARE STORIE
Storie entusiasmanti hanno bisogno di storici capaci di innescare delle esplosioni a ripetizione nell’intelligenza del lettore. Ecco perché non mi ha mai entusiasmato la storia raccontata dagli storici di professione. Ho seguito alcuni anni fa le lezioni di uno storico accademico sul movimento operaio americano. Avevo appena letto un classico, Dynamite: the Story of Class Violence in America di Louis Adamic, e mi aspettavo, su un argomento tanto esplosivo, che l’oratore riuscisse a tradurre la carica di radicalità di quelle vicende. Invece niente, miccia bagnata. L’accademico era un perticone ben vestito. Non parlava di uomini, ma di associazioni di mestiere. Non descriveva fughe, anni di carcere, perquisizioni e sangue per terra ma preferiva tracciare “i percorsi delle tendenze recessive” e lo “sviluppo delle lotte sul piano istituzionale”, tutte cose che non sporcano troppoper terra. Il gergo dei ribelli nordamericani non arrivava alle sue orecchie, e quindi non aveva modo di dare voce a quegli echi dimenticati della storia.

TRA FINZIONE E DOCUMENTAZIONE
L’esigenza di unire discorso storico e narrazione, varcando il fossato tra saggistica e fiction, nasce spesso da esigenze di impegno radicale. Un utile stratagemma narrativo è quello di far saltare i ponti tra realtà e finzione. L'esempio latinoamericano della no-ficción può indicare alcuni punti di fuga della narrativa storica. Questa etichetta viene spesso utilizzata per indicarei reportage romanzati di Rodolfo Walsh, un esempio di commistione tracronaca e reportage da un lato, e finzione narrativa dall'altro. Osvaldo Bayer, che di Walsh era amico, ha spostato il taglio dell'investigazione di reportage nel passato, saldando l’investigazione storica con la narrazione e creando opere magistrali come il Severino Di Giovanni o La Patagonia rebelde. Bayer è un giornalista e uno sceneggiatore cinematografico, e i suoi libri di storia sono organizzati con un plot stringente e numerosi colpi di scena. Credo che l'opera di Bayer possa indicare delle prospettive interessanti per la narrazione storica. Aggiungerei come casi esemplari l'opera di Bernard Thomas (autore di un libro fondamentale sulla banda Bonnot) e il più recente Bello come una prigione che brucia, di Julius van Daal, in cui il racconto storico prende le tinte radicali della scrittura situazionista.

NO AL POLITICALLY CORRECT
Sono scettico quando un scrittore costruisce un personaggio con marche di “positività”, e fa di tutto per proiettare su questo personaggio dei meccanismi narrativi di identificazione. Mi è capitato di leggere dei racconti storici basati su procedimenti identificatori con romantici avventurieri del passato, adamantini nella loro purezza…. Il risultato letterario era interessante, ma percepivo il peso di una eccessiva correttezza politica. Non è questa la strada scelta da Evangelisti, che dopo aver aggirato le trappole dell’accademismo riesce anche a non cadere nelle
secche dell'agiografia politica. Non c’è niente di agiografico nei suoi personaggi, nessun “santino rivoluzionario”. Niente che ricordi i “medaglioni”, le biografie eroiche dei martiri della rivoluzione, che apparivano sulla stampa sovversiva del passato. L’identificazione con i “buoni” è sempre trattenuta, mentre spesso sono proprio i “cattivi” colori che si fanno - loro malgrado - portatori delle tesi critiche politicamente più radicali (penso in particolare alla figura del residente Porfirio Díaz ne Il collare di fuoco, che ha qualche tratto eymerichiano per il suo machiavellismo).

QUANTO CARICARE LA REALTA'?
Fino a qualche tempo fa pensavo che fosse necessario caricare la realtà a fini radicali: pensavo che la “verità storica” dovesse essere costruita con una sorta di volontarismo ribelle. Adesso penso che si possa essere realisti e caricaturali allo stesso tempo. La realtà è gia carica di eventi assurdi, pazzeschi, insopportabilmente ingiusti e crudeli. La realtà è già caricaturale, il realismo è già espressionista. Però questa formula si può leggere anche all'incontrario, per cui l'espressionismo può rappresentare la faccia più veritiera della realtà (non lo porto come caso esemplare di questa tendenza, ma ci sono romanzi di fantascienza che si possono leggere come opere di denuncia e di satira politica). Aggiungere elementi di finzione alla narrativa storica permette di offrire un quadro più vivido della realtà: l'ingiustizia si farà più aspra, i potenti più odiosi, i liberatori un po' più meschini, e questo può essere un buon antidoto contro una visione troppo edulcorata dell'esistente.

REINVENTARE LE STORIE
A volte si sente il bisogno di raccontare una storia con parole nuove. Con il tempo il linguaggio si “ossifica”, e bisogna svecchiare le forme morte della lingua per restituire vitalità a certe storie. Pensiamo a quante storie sono sepolte, oltre che negli archivi, nei libri noiosi. Ho passato un bel po' di tempo a spulciare storie tra le note delle pubblicistica erudita locale. Ho trovato troppa minuziosa erudizione da un lato, e troppa correttezza politica dall’altro. Ero attratto da certi personaggi proprio per le loro lacune come santini rivoluzionari. Nelle mie letture non cercavo romantici cavalieri dell’ideale, ma braccianti duri, avvezzi a una vita difficile, abituati a risolvere le loro contese a cazzotti e fucilate. Insomma, gli storici di professione spesso non sono in grado di trovare le parole adatte a descrivere certe vite, quando c'è bisogno di far sentire la polvere e il sudore, le bestemmie e gli zoccoli dei muli...

LA STORIA DI "GENERE"
Torno solo adesso al libro di Evangelisti, da dove volevo partire. Di Evangelisti già mi aveva sorpreso la capacità di coniugare la precisione dell'affresco storico con la tensione narrativa e il colpo di scena. Non dico niente di nuovo: molti lodano Evangelisti per le sue capacità narrative. Ma io vorrei che per un attimo si pensasse alla capacità di Evangelisti di condurre un lavoro di indagine storica. Perché a me Il collare di fuoco sembra proprio questo, un libro di storia. Certo, i perticoni dell'accademia rimarranno inorriditi. Ma come? Un libro di storia con passi truculenti, riferimenti sessuali, descrizioni meticolose di campi di battaglia ricoperti di sangue... Beh, si tengano i loro libri, scritti per vincere una cattedra o un concorso. Io invece ammiro chi della vita fornisce le rappresentazioni più fisiologiche. Del resto, raccontare storie non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. Raccontare è un atto di violenza.

LA VALIGIA DELLE STORIE
Violenza perché raccontare storie è in parte rubarle, è strapparle al loro contesto. Raccontare storie può servire a soffiare sul fuoco. Può servire a trovare nuovi complici. Può servire a interrogarsi sul presente. Può servire a trovare altre storie ancora. Spesso la gente chiede a chi scrive le storie: “ma dove hai trovato questa storia? In quale archivio posso andare a trovare storie come queste?” In realtà, le storie si trovano spesso per sbaglio. Non so dove Evangelisti abbia trovato le storie che racconta. Ho il sospetto che sia lui stesso un viaggiatore e un lettore instancabile. Viaggiare serve anche a trovare delle storie. Si cerca una cosa, e si finisce per trovare qualcos'altro, una storia inaudita e sorprendente. Per trovare le storie da raccontare, bisogna avere una propria storia da vivere. Allora le storie ci verranno incontro da sole. Dopo ogni viaggio, tornare a casa con una valigia piena zeppa di storie.

(articolo pubblicato su "A - Rivista anarchica" maggio 2006 www.arivista.org )

25 aprile 2006

Ora e sempre...



ogni contrada è patria del ribelle, ogni donna a lui dona un sospir.....

24 aprile 2006

Errori

L’errore è la nota tipica della nostra vita, difficile riuscire ad evitarne nei vari frangenti della nostra esistenza umana, che si tratti di lavoro, amore, rapporti umani o anche aspetti molto più banali del vivere quotidiano.
Che si sia in buona fede o meno nel commetterne conta quasi niente, l’ignoranza della legge non scusa, recita il brocardo latino. Pure sarebbe impossibile ipotizzare una vita senza errori –Dostojevski diceva che gli errori sono stazioni sulla via della verità del resto- sembrerebbe finta, quasi non vissuta.
Asettica, ma nel senso deteriore del termine.
Anche se tutti vorremmo, ogni tanto, non fare sbagli, o uscire da situazioni contrappuntate, come in un reato continuato, da una situazione di errore alla base di tutto, dove semplicemente si insiste a perpetuare uno sbaglio commesso magari anni prima.
L’errore classico che si commette, dal punto di vista pratico, è spesso un errore di punto di vista, di miopia applicata allo scorrere della vita, di incapacità legata all’avere sempre e comunque noi stessi come unico punto di riferimento.
Come potrebbe riferire un esperto giocatore di carte, e che ben conosce il valore di ogni singola giocata, l’importante non sono soltanto le carte che si hanno in mano, ma tanto più le carte che hanno in mano gli altri in quel frangente, e che spesso noi finiamo per considerare troppo poco, fissandoci soprattutto sulle nostre, quasi solo da quelle si possa trarre ispirazione per condurre il gioco.
Così nella vita, spesso finiamo per focalizzare unicamente quello che accade dentro di noi, senza porre maggiore attenzione al contesto e agli altri.
Come uno scambio di lettere nel quale si finisca per leggere quasi più la lettera scritta da noi che quella che abbiamo ricevuto, e che pure dovrebbe –quella sì- spalancarci mondi e visioni sulle quali prendere spunto per giocare la carta successiva. Ma questo spesso non accade, si rimane ognuno a fissare la propria lettera, inchiodato nella propria trincea virtuale, senza spostarsi di un passo, senza altre idee se non quella di rispondere con nuovi argomenti che però spesso quasi non tengono conto di quello che si è letto, se non in minima parte.
Come due avvocati che arrivino in udienza, si scambino le rispettive memorie, ma non ne tengano conto al momento della discussione, ognuno inevitabilmente legato a quello che ha scritto lui, derubricando come inutile e fuorviante quello che ha appena letto, alla sua visione del mondo da portare avanti e della quale convincere il giudice, che deve imporla conseguentemente all’altro per diritto divino.
Che si vinca o che si perda quella causa, e quella dopo, e quella dopo ancora, poco importa, se non l’onore e l’eventuale appello da proporre, sempre più incattiviti: si aveva comunque ragione, a prescindere.
Questo l’errore: la ragione non esiste.
Esistono incastri che rendono determinate situazioni giuste e perseguibili, ma una ed una sola ragione non c’è, forse non ce l’ha nemmeno Dio sotto mano, se potesse parlare per una volta, invece di continuare anche lui solo a leggere e a far leggere agli altri il Vangelo, senza confrontarsi con la vita reale.
Lui però è immortale, ha ancora parecchio tempo per correggersi…

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23 aprile 2006

Strani incroci

Se Bertinotti andasse veramente alla Camera e Andreotti al Senato, saremmo arrivati al massimo del compromesso storico attuabile in una democrazia moderna, credo.
Mancherebbe solo Fini Presidente della Repubblica... (e magari anche berlusca Presidente della Corte Costituzionale, perchè no)

at

21 aprile 2006

Il Caimano; 9 e 1/2

9 e ½
[recensione preventiva, vincitrice dell'ononimo concorso, già apparsa sulla rivista "Duellanti" di aprile]
di Manuela Ardingo

Il talento sta a destra e la verità a sinistra, si scriveva un tempo in una superata dialettica forma/senso. Eppure Il caimano è un film sciantoso: sinistra o non sinistra. E, allo stesso tempo e proprio per questo, più vero del vero realista. E’ trasversale e dinamico: smaschera l’alibi conservatore alla base di ogni estetica, lo scavalca e va avanti.
Suggerisce, scena dopo scena, che il senso è la struttura. Nel film come nella vita. Che ogni frammento, preso singolarmente, è falsità. O, meglio: solo una parte di verità che, di per sé, non sembra più vera di una bugia qualunque. Solo un attributo della forma.
Da qui il superamento dialettico, tanto politico quanto estetico: la verità vive nei fili relazionali che imbastiscono il mondo e la bugia nei ruoli piccolo/borghesi del modo.
Moretti non racconta una storia, racconta la Storia: sa bene che il valore del suo realismo è tutto nell’insieme.
Così ci invita a fare un giro al circo, quello pensato creato e gestito da una persona sola. Perché è troppo di sinistra per accettare lo stato delle cose, ma anche per permettersi di non spiegare il senso etico del suo rifiuto.
Non si è concentrato su un filone unico e realista, per non vestirlo di ideologia. Non ha collezionato una serie di episodi stilosi, per una sorta di responsabilità: esiste un momento in cui l’arte cristallizza la vita e anticiparlo non è più da Moretti.
Lui sa andare oltre, sa che la crisi di un personaggio riguarda l’Italia tutta. E che, linearmente, è nella somma delle crisi di tutti i personaggi possibili – fili compresi - che si nasconde l’essenza del mondo.
Solo il quadro d’insieme è vero e solo il caimano è nelle condizioni di modificarlo. Il caimano più Moretti, forse.
Asa Nisi Masa, Asa Nisi Masa, Asa Nisi Masa…

Note sul registro: facciamoci due risate dopo tante amarezze

L'alunno Stefano ***** consegna il compito in bianco e pretende una votazione superiore all' 1 perchè dice di aver scritto in modo corretto il nome, il cognome, la data e la classe. Visto che la cosa accade da un po' di tempo richiedo un colloquio con voi genitori. Grazie"
"L'alunno A******* danneggia entusiasticamente le strutture della scuola"
"P**** dichiara falso nome"
L'alunno Mastro chiede alla sottoscritta un buon voto in storia in cambio di prestazioni sessuali. Si chiede intervento del preside"
L'alunno S***** si lamenta della votazione troppo bassa nel compito di tecnologia, e minaccia il professore con l'intervento di un famigerato cugino senza scrupoli"
"La classe mette in dubbio la validità dei miei studi, sostenendo che la sottoscritta abbia comprato la laurea"
"Dopo continue richieste di autoaccusa, la classe non dichiara il colpevole del posizionamento di un petofono radiocomandato sotto alla mia sedia. Viene inoltre impedita dagli aluni la perquisizione degli zaini atta a scovare il comando remoto. Richiedo un assemblea straordinaria con tutti i genitori"
L'alunno N.Z. durante l'appello ripete i cognomi dei compagni accompagnandoli con bestemmie in rima"
"La classe 4B nasconde le chiavi della macchina al professore e lo invita a trovarle dicendo acqua o fuoco"
"L'alunno G. viene ammonito per aver guidato la classe a fare una OLA in onore di un avviso nel quale si annunciava l'entrata in terza ora nel giorno seguente."

19 aprile 2006

Sentendo parlare Sandro Bondi ho pensato che

Alta sui naufragi dai belvedere delle torri china e distante sugli elementi del disastro dalle cose che accadono al disopra delle parole celebrative del nulla lungo un facile vento di sazietà di impunità sullo scandalo metallico di armi in uso e in disuso a guidare la colonna di dolore e di fumo che lascia le infinite battaglie al calar della sera la maggioranza sta la maggioranza sta recitando un rosario di ambizioni meschine di millenarie paure di inesauribili astuzie coltivando tranquilla l'orribile varietà delle proprie superbie la maggioranza sta come una malattia come una sfortuna come un'anestesia come un'abitudine

De Andrè-Fossati

Storie Italiane

Qualche mese fa Berlusca ha mandato la lettera a tutte la famiglie con nuovi nati nel 2005, dicendo loro di andarsi a prendere l'assegno di 1000 euro alle Poste, e non perdendo l'occasione di farsi bello per questo.
Nulla di male, lo fanno tutti.
Le famiglie che hanno ricevuto la lettera sono così andati a ritirare i 1000 euro alle Poste, autocertificando la nascita del figlio. Solo che il bonus era dato unicamente alle famiglie di italiani e comunitari. Ma la lettera è arrivata a tutti, extracomunitari compresi, gente comunque in regola in Italia (che se non sei in regola non ti metti a chiedere 1000 euro allo Stato, autodenunciandoti).
I quali sono andati così, in buona fede (ti arriva una lettera a casa del Premier, che fai, li lasci?), a ritirare i soldi. Non so come e perchè glieli abbiano dati, ma lo hanno fatto.
E ora circa 3000 famiglie, per questi 1000 euro, rischiano di essere accusate di truffa aggravata nei confronti dello Stato italiano. Il che (a parte la risibilità della somma), oltre a incidere sulla fedina penale, inciderà anche sull'eventuale rinnovo del loro permesso di soggiorno, visto il reato in teoria commesso (l'ignoranza della legge, come si sa, non scusa, e la lettera di berlusca non so se sarà un'esimente).
Che storia, tutta italiana. Come sempre. Che dietro a questo ci sia lo zampino di Bossi per cacciare un po' di negracci dall'Italia?

Aletozzi

18 aprile 2006

Far volare le parole

"FAR VOLARE LE PAROLE"

INTERVISTA A DANIELE BIACCHESSI SUL SUO "TEATRO-INCHIESTA"

di Silvio Antonini

Daniele Biacchessi, premio Cronista 2004 e 2005, è giornalista, scrittore, nonché autore e reader teatrale. Nei suoi lavori, tra la narrazione e l'inchiesta, si occupa a 360° dei "misteri" d'Italia: dal fascismo alle stragi, quelle nere, quelle impunite, quelle di stato, quelle di mafia, del terrorismo e dei disastri ambientali. È approdato per la prima volta a Viterbo città il 21 luglio dello scorso anno, con il reading La Storia e la Memoria: un excursus che parte dalle stragi nazifasciste della seconda guerra mondiale per giungere alla strategia della tensione, lambendo l'attualità. Il 26 aprile 2006, nell'ambito delle iniziative organizzate dal CAT (Coordinamento Antifascista della Tuscia) per la rassegna RESIST, Biacchessi porterà in scena Fausto e Iaio. La speranza muore a 18 anni dal titolo del libro che lo stesso diede alle stampe per Baldini & Castoldi, 10 anni or sono. È un reading accompagnato da immagini e musica sull'assassinio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci - due diciottenni che frequentano il Centro Sociale Leoncavallo - avvenuto con 8 colpi di pistola la sera del 18 marzo 1978, in via Mancinelli, a Milano.
Attualmente Biacchessi è Caposervizio di Radio24-Il Sole24ore, ove conduce il programma "Giallo e Nero". Tra gli spettacoli in scena - oltre a quelli sopra citati: La Fabbrica dei profumi e Quel giorno a Cinisi. Storia di Peppino Impastato con Gaetano Liguori al pianoforte.
Ha pubblicato, oltre a quello su Fausto e Iaio, altri 13 libri d'inchiesta: La fabbrica dei profumi (Baldini&Castoldi,1995), Il caso Sofri (Editori Riuniti, 1998), L'ambiente negato (Editori Riuniti,1999), 10,25 cronaca di una strage (Gamberetti, 2000)...

Come hai iniziato la tua attività di giornalista?
Ho iniziato nel 1975 a Radio Lombardia, poi sono approdato a Radio Popolare, Radio Regione, Telemilano2, Italia Radio, per undici anni, e ora, da sei anni, a Radio24, dove svolgo le mansioni di caposervizio delle news. Ho inoltre collaborato con la Rai, "l'Europeo", "Avvenimenti", "Mucchio Selvaggio" e "l'Unità", per vent'anni. Ora scrivo su "il Sole 24ore". Mi occupo di politica, cronaca nera, giudiziaria ed esteri.

Cosa ti ha spinto verso il teatro civile?
Ho scritto 14 libri d'inchiesta per Baldini Castoldi, Mursia, Editori Riuniti, Gamberetti, Pendragon. Avevo bisogno di far volare le mie parole, quelle migliori, più poetiche. E l'unico modo per compiere questa operazione era raccontare, narrare, come un tempo facevano i nostri nonni davanti al camino. Raccontare una storia anche tragica, anche difficile, fa volare le parole e crea uno straordinario contatto con chi ti ascolta. Io racconto una storia, tu la ascolti, puoi chiudere gli occhi e crearti una storia parallela, più tua, più vicina alla tua esperienza di vita, ai tuoi ricordi, alle passioni, alle emozioni.

In questi anni il teatro civile ha avuto in Italia molto successo; vengono subito in mente in nomi di Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Marco Paolini ecc. Quali sono le esperienze secondo te più interessanti?
L'Italia é un paese di narratori: Dario Fo, Franca Rame e Giorgio Gaber, soprattutto. Paolini e Celestini, pur grandissimi, sono venuti dopo. Dunque quello che viene chiamato erroneamente teatro civile c'era ben prima di loro. Era teatro di narrazione, monologhi che raccontano storie. Io non mi ispiro alle correnti italiane. Mi sento più legato al concetto di reading, lettura, accompagnato dalla musica eseguita dal vivo, con immagini che scorrono dietro le mie spalle, con sonori che appaiono durante i miei spettacoli. Ne La Storia e la memoria si sente lo scoppio della bomba in Piazza della Loggia a Brescia, il 28 maggio 1974. Nello spettacolo su Peppino Impastato, che inizio a raccontare a Cinisi, vicino a Palermo, e che ho realizzato con il grande pianista di jazz Gaetano Liguori, si sente la voce di Peppino a Radio Aut. Cerco di lavorare su qualcosa che n Italia non c'é mai stato, più che cavalcare il solco di una tradizione. Negli Stati Uniti, negli anni Sessanta, risultavano straordinari i reading di Lawrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg e Bob Dylan, e ancor prima quelli di Jack Kerouac alla libreria City Light di San Francisco.

È diffusa l'idea che attori ed artisti in generale in questi anni spesso si siano trovati a supplire le carenze di politici che non riescono più a scaldare i cuori della gente. Cosa pensi a riguardo?
I politici, tutti - e non é qualunquismo - annoiano. Ecco perché noi narratori siamo ascoltati. Perché siamo appassionati, trasmettiamo emozioni. E le persone, che non sono stupide, capiscono.

C'è il rischio che il teatro civile diventi una moda, visto soprattutto il suo successo anche in termini "televisivi"?
E' un pubblico vasto ma ancora molto ristretto. Una moda, ma positiva.

Parlaci un po' dello spettacolo Fausto e Iaio che stai portando anche a Viterbo.
E' una storia solo apparentemente del passato. E' la storia di due ragazzi di 18 anni che vanno a morire una sera di marzo fischiettando il blues. Fausto e Tinelli erano due miei amici, abitavano nel mio stesso quartiere. Due ragazzini curiosi e onesti, non erano dei leader. Sono stati uccisi con 8 colpi di pistola. Un'esecuzione in piena regola, due giorni dopo il rapimento di Aldo Moro. E' una vicenda emblematica che vale per tutte quelle persone di sinistra che sono state ammazzate per le loro idee e che non hanno mai trovato giustizia.

Il revisionismo storico ultimamente ha allargato il proprio raggio d'azione anche alla straordinaria stagione di lotte del '68-'77, con la tentazione di applicarvi gli stessi parametri che il revisionismo usa per la Resistenza. La si vede quindi come un'inutile guerra civile nella quale vi furono i famosi "caduti da tutte e due le parti". Anche a "sinistra" molti si prestano a questa interpretazione. Che cosa ne pensi, tu che parli molto di quella stagione nei tuoi lavori?
In Italia non c'é stata una guerra civile, bensì una guerra di liberazione dai nazifascisti. I repubblichini di Salò erano alleati con i nazisti che occupavano il nostro paese in modo illegale. A Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto e Fivizzano sono morte vittime innocenti che gli aguzzini martoriavano, quando ormai erano in ritirata. Questa é la storia. Pansa parla di guerra civile ma compie un falso storico. La Resistenza é una pagina amara ma fondamentale per la storia italiana. Non si può scherzare sulla memoria di chi l'8 settembre 1943 ha scelto di stare dalla parte della democrazia e di una società più giusta, contro ogni dittatura.

Hai letto Cuori Neri di Luca Telese sui ragazzi di destra uccisi negli anni '70?
Quel libro é una legittima operazione commerciale, nulla di più. Sul piano storico non aggiunge nulla a quanto già si conosceva sull'argomento. Non c'era bisogno di un Telese qualsiasi, che a quei tempi era poco più di un bambino, per farci conoscere le storie di Ramelli, Pedenovi e di tanti altri di destra uccisi in quegli anni. Anche per molte di quelle storie non vi é giustizia, ma non si possono riscrivere gli anni Settanta. Sono stati anni di bombe nere, stragi su treni, nelle banche, nelle piazze, centinaia di morti, migliaia di feriti. Anche questa é storia.


Infoline per Daniele Biacchessi:
retedigreen@retedigreen.com; www.retedigreen.com

15 aprile 2006

Io amo sempre di più quest'uomo

Nonostante il ricalcolo dei voti abbia dimostrato che c'era solo qualche errore materiale, e il suo Ministro dell'Interno abbia detto che le elezioni sono state regolari e tutto è andato per il meglio, diminuzione dei voti nulli compresi, Berlusconi ha detto che non è possibile, le elezioni vanno annullate, e che lui resisterà. Tutto per non chiamare Prodi e congratularsi. Davvero un clima da grande coalizione anima questo paese...
Buona Pasqua di resurrezione delle coscienze a tutti.
ma ci vorrebbe un miracolo...

aletozzi

12 aprile 2006

Notte senza fine

In Italia il passato non passa. Neppure le notti finiscono mai. Lo spettacolo in compenso abbonda, versante tragicomico. Sono disperatamente allegro dopo una notte da incubo, finita alle tre con le note della canzone popolare di Fossati ed uno sbandierio da "Dio c'è! (qualche volta)" dalla piazza ulivista o unionista che dir si voglia. A me nonostante tutto veniva in mente un altro autore, Tenco, e altre parole... " vedrai, vedrai, vedrai che cambierà, forse non sarà domani, ma un bel giorno cambierà... vedrai, vedrai... ". Quando?! Quando sarò sottoterra ed i miei nipoti gireranno il mondo? Mi scopro a ripetere esattamente le parole di mio nonno... no, non passa mai il passato in questo strano paese. Però, per un giorno bando a questa consapevole nostalgia di un futuro mai prossimo. Un abbraccio a tutti voi che ci avete creduto anche quando non si poteva più, e mio figlio cercava il primo volo per la Spagna mentre l'altro telefonava disperato dal turno di notte in fabbrica. Un abbraccio ai miei amici maricones e anarchici che non votano mai ma questa volta sì maremma infame, a Marco che si è fatto 1800 km in due giorni per tornare a votare, agli amici che telefonavano da Napoli dicendo che resistevano fino all'ultima mozzarella dal Maschio Angioino, che nel dubbio non ci resta che piangere però ridendo. Un abbraccio alla Toscana che ha dato la più alta percentuale di voti alla sinistra e la più bassa a Silvioduce, che qui il duce non è mai garbato, e mia nonna nascondeva le fedi per non dare l'oro alla patria e più tardi anche degli ebrei per non darli ai nonni di Fini e Tremaglia. Un abbraccio a tutti noi, domani è un altro giorno, non si sa mai...

11 aprile 2006

Vittoria?

Dopo un'incredibile notte passata davanti a tutti quei faccioni della tv, che non sapevano bene che dire, ma che avevano vinto tutti, verso le 3, quando il risultato delle urne aveva già dato il Senato a Berlusconi per un seggio, e la Camera ancora in bilico (si parlava di 25.000 voti di vantaggio a 30 seggi dalla fine), è sceso fra i giornalisti Piero Fassino, il quale ha annunciato che l'Unione ha vinto le elezioni. Momenti di grande commozione, poi la domanda "scusi, ma al Senato?". Fassino è scappato via. Per ripresentarsi qualche minuto dopo sul palco a Santi Apostoli con tutti gli altri faccioni a festeggiare, con tanto di champagne. Nel frattempo Forza italia stava impazzendo: ma come, festeggiano se nemmeno hanno vinto per intero? e no, questa è una cosa tipica da berlusconi, mica roba da sinistra. E giù botte, con Schifani che per una sera ritrovava perfino profilo di costituzionalista, lui che per 5 anni ha detto cose che la metà bastavano per la galera a vita. Abbiamo quindi spostato l'attenzione verso l'elezione dei 6 senatori da parte degli italiani all'estero, certi che avrebbe vinto la destra a mani basse, basti pensare che il voto glielo ha dato il mitico tremaglia. E invece si è spalancata una fiammella di speranza: l'Unione aveva il doppio dei voti, dato poi confermato, e ormai definitivo. Siamo quindi un seggio avanti, in teoria, forse anche due, perchè un avvocato di Buenos Aires ha detto che appoggerà comunque chi ha vinto, ha davvero capito tutto lui. L'attenzione si è quindi spostata verso i senatori a vita. Cossiga verso le 2 ha diramato un comunicato stampa dicendo che si astiene: meglio così, almeno non rompe i coglioni. Fatti due conti, Scalfaro Colombo e Napolitano sono certi a sinistra, Pininfarina e Andreotti a destra, la Levi Montalcini poveretta (alla sua età farle decidere le sorti di un governo, lei che è una scienziata...), forse neutrale. Morale: la Sinistra ha vinto. Di poco, di pochissimo, ma ha vinto. Attendiamo il ricalcolo delle schede, che durerà mesi, ma forse ce l'ha fatta. Ma il caimano non muore mai, e chi avrebbe pensato a un risultato così sofferto? a poche migliaia di voti decisivi, oltre che quelli del voto degli italiani all'estero? Morale: l'Italia è un paese da oggi ingovernabile. Attenzione a inciuci, governi di unità nazionale, appelli alla lega e all'Udc per questo o quel provvedimento da far passare, Prodi che entro due anni se ne andrà (speriamo per sempre), e tutto il resto. Ma la scena dell'Unione che festeggia e Forza Italia che comincia a fare comunicati stampa in serie dicendo "ma che cazzo festeggiate?", appartiene già alla Storia, anzi alla Storia alla rovescia, di questo derelitto sghembo Paese. Coraggio ragazzi, abbiamo vinto. Basterà?

09 aprile 2006

Il destino è dietro l'angolo

Ascoltando il telegiornale stasera, mi ha colpito la tragedia accaduta a l'Aquila ad un gruppo di sordomuti della provincia di Roma.
Andati fin lì in pellegrinaggio (incredibile) alla Chiesa di S. Maria in Collemaggio, non ho capito se prima o dopo la visita, mentre erano nei pressi della stazione, si sono visti cadere in testa un albero plurisecolare (non c'era un filo di vento, fra l'altro, e l'albero stava lì tranquillo, senza che nessuno avesse mai pensato potesse cadere), che ha ucciso uno di loro e ne ha feriti altri sei, in maniera più o meno grave.
Si vedono film già visti e si ripetono cose già dette: come si concilia tutto questo con Dio, o con qualunque altro essere superiore che si diverta a giocare con la vita degli uomini? Suonano scontate, ma del tutto insufficienti, le parole dei cattolici convinti in queste situazioni: il male esiste, Dio ha deciso così, questo è quanto doveva fare la Provvidenza, ognuno ha un suo destino. Tutto già sentito. E ampiamente digerito, sono domande che ormai uno non si pone nemmeno più, a meno che una cosa molto brutta non tocchi noi o i nostri cari, in maniera diretta. Solo che ogni tanto la domanda, come la goccia cinese, ritorna, pur sapendo non vi sia risposta che tenga.
Alluvioni nei paesi del terzo mondo, carestie, disastri vari, milioni di bambini innocenti (loro sì innocenti) che muoiono: si può pensare ad un Dio del tutto fuori da quello che accade nel mondo? oppure non in grado di impedire tutto, e mica ha 6 miliardi di occhi... Forse sì, però poi diventa altrettanto complicato tirarlo in ballo quando si parla di miracoli: lì Dio, per i cattolici, c'è. Ma ci sarebbe comunque, a pensarci bene. Nel senso che vale più un mezzo miracolo che migliaia di eventi nefasti non "impediti" (che brutto termine: si potrà un giorno mettere sotto processo Dio per omissione di soccorso?), aiuta a tener viva la fiammella, a credere che quel mezzo miracolo possa toccare magari un giorno a noi: che non sia questa la grandezza del miracolo, e dunque di Dio? Cioè di tener vivo quello che si può, illudendoci che lui c'è per tutti, quando invece è evidente che nel 99% dei casi è assente, oppure ragiona seguendo ragioni diverse e a noi imperscrutabili.
Forse per il sordomuto è stato meglio così, vai a sapere sul libro del Destino cosa sarebbe stato previsto ancora per lui se fosse vissuto.
Forse in tante altre circostanze è meglio così, se in Africa non morissero milioni di bambini il pianeta scoppierebbe e addio tutti.
Se un alluvione non si portasse via mezza India tutti gli anni, idem.
Messa così, potrebbe anche andare, magari anche aiutarci in questi momenti di impasse, del dentro o fuori preferisco la soglia, dei dubbi giganti come nuvole dentro i nostri cuori, dell'accettare quello che ci capita sempre e comunque, che qualcuno pensa sempre per te.
Ma non ci aiuta a capire, quello non è previsto; solo può spingere ad avere fede, ancora fede, sempre più fede, a piacere. Per uscirne.
Forse i suoi sono dei messaggi di mortalità, diversi dalla morte.
Nel senso che la morte ha una linearità nel suo caleidoscopio, e tendiamo oramai ad esserne immuni, ne vediamo talmente tutti i giorni.
Forse le morti assurde, quelle fuori dagli schemi, ci aiutano a riflettere sul nostro essere comunque di passaggio, volenti o nolenti; ci spingono ad essere migliori per l'indomani, ove arrivasse anche per noi una mazzata; ci possono portare ad essere compassionevoli verso chi soffre, pensando che un domani potrebbe toccare anche a noi.
Forse è questo. O forse no.
L'unica certezza è che non c'è risposta, anche se i cattolici ferventi e gli atei si affanneranno a darla, in entrambi i casi tutto va precisato, delimitato, ricompreso e catalogato. Anche l'albero secolare che cade sulla testa del sordomuto a 300 Km da casa, andato lì per un pellegrinaggio.
Lasciandoci così da soli, in mezzo al guado, a chiedere un segno.
Che, ahinoi, non arriverà mai.

Alessandro Tozzi

08 aprile 2006

Tasse

Dopo l'Irpef, l'Irap, l'Ici, ora è la volta della Tarsu: berlusca ha detto che ci toglie anche la tassa dell'immondizia se viene eletto.
Peccato solo che la campagna elettorale sia finita, che se durava altri due mesi toglieva tutte le tasse e si stava un po' meglio in questo Paese di merda...

Giulio Tremonti
(detto macchietta da D'Alema)

07 aprile 2006

Coglione? No Orgoglione!

Grande scoop del nostro blog grazie al nostro agente a Colle Alta, il nostro redattore Uvaozio...
Peccato sia finita, ci stavamo divertendo...intanto la palma del manifesto elettorale più bello la diamo a quello della fiamma tricolore visto in quel di Siena, vicino al manicomio. Sfondo nero (originali, eh?) logo della fiamma a destra (chiaro..) in basso, foto grande di una squdraccia fascista anni ' 20 e titolo (tricolore) in alto: scegli la squadra del cuore. (che poi è quella di silvio, non c'è più nemmeno i fascisti di una volta...)
Se ne avete di migliori, mandateli.

06 aprile 2006

Da Parigi con furore

Riceviamo e, ben volentieri, pubblichiamo questa mail

Parigi oh cara! Me ne sono andato dai lidi italici definitivamente stufo della farsa tra un prete pacioso e pedofilo e un bandito bugiardo e buffone. Tra il peggio e il peggio assai ho scelto di andar a cercar di respirare altrove. Vengo a sapere che i leghisti in caso di vittoria di Prodi minacciano di espatriare in Svizzera, bene; mi terrò alla larga da quelle merde. La mia direzione era Barcelona anarchica e repubblicana, ma i venti di rivolta che soffiano dalla patria della rivoluzione laica dell'89 non mi potevano lasciare indifferente, e così da un pò sono qui, riconciliato con l'umanità da questa vera mobilitazione ininterrotta, manifestazioni,blocchi, scioperi a gatto selvaggio, e con l'appoggio tangibile della grande maggioranza della popolazione. Mi viene da sorridere a pensare che la legge che viene affossata qui è passata, e in forma peggiore, in Italia, senza colpo ferire, chè anzi il suo estensore M. Biagi è stato pure santificato, visto che per un incerto del mestiere ha fatto una brutta fine. Mi viene da masticare amaro a leggere quello che i giornali francesi ed europei scrivono dell'Italia, ma tant'è, che a me fa venire in mente quel tipo che ne buscava senza reagire, e alla domanda perchè non lo facesse rispondeva che voleva vedere fino a che punto l'altro sarebbe arrivato. L'unico altro paese al mondo che ha un tipo simile primo ministro è la Thailandia, ma pare che lo stiano cacciando anche qui a furor di popolo. Da noi niente, oggi "coglioni", domani chissà.....A presto, il vostro lettore all'estero, Paolino.

05 aprile 2006

Io amo quest'uomo

Hai ricevuto il libro di Silvio? Io sì. Vai a pagina 154: c'è una serie di informazioni interessanti, tra cui, quella che più mi ha colpito è la prima. È scritto che nel 2006 il reddito medio degli Italiani è pari a 27.119 dollari, mentre nel 2001 era di 24.670 dollari. Facendo due conti, perciò, risulta che il reddito medio degli Italiani è cresciuto di circa 2.500 (2449) dollari. Mi sono chiesto: ma perché mi danno le cifre in dollari? Io già ho difficoltà a capire le cifre in Euro, figuriamoci con la moneta di uno stato estero. E come me, anche moltissime famiglie, massaie e pensionati che hanno ricevuto il libro! Comunque, per capire meglio queste cifre, mi sono fatto un po' di conti; sono andato sul sito internet www.uic.it, che è il sito dell'Ufficio Italiano dei Cambi, per tradurre le cifre in euro. Dunque, il 22 maggio 2001 (qualche giorno dopo le ultime elezioni politiche), per fare un dollaro ci voleva un euro e 15 centesimi, quindi 24.670 dollari (reddito 2001) moltiplicato per 1,15 fa: 28.370,5 euro. Poi, il 31 marzo 2006 (l'altro ieri), per fare un dollaro bastavano solo 83 centesimi di euro, quindi 27.119 dollari (reddito 2006), moltiplicato per0,83 fa: 22.508,77 euro. In altre parole, mi si spacciano le cifre in dollari per farmi credere che il reddito medio sia aumentato, mentre, invece, di fatto è diminuito di 5861,73 euro!!!

Che Guevara

04 aprile 2006

Cronache dal Tribunale

Qualche giorno fa mi sono trovato ad impugnare davanti al Giudice di Pace –che ora sono competenti loro- un’espulsione di un ragazzo marocchino, amico di amici, trovato senza permesso di soggiorno ed espulso, per la seconda volta nel giro di circa un mese, dall’Italia. Avvertito che per strane incomprensioni, forse economiche, con l’avvocatessa che avrebbe dovuto curare l’aspetto penale della vicenda, il ragazzo aveva bisogno anche di un avvocato che lo tutelasse di fronte al giudice penale, cerco di sistemarlo a qualche collega del settore, ma senza trovarlo, che fra udienze in giro, febbri di figli, cazzi&mazzi piazzare un marocchino gratis, sia pure ad amici, capisco che non sia il massimo della vita. E dunque, rimasto col cerino in mano, vado io all’udienza penale, quasi un esordio, anche se le prime due udienze penali della mia vita restano due udienze fatte qui in Tribunale penale come difensore d’ufficio pescato nei corridoi, con tanto di amica Vpo come controparte: una chicca. Ieri sera parlo con l’avvocatessa, spiegando che io non so nulla, solo che in qualche modo lei era stata sostituita, anche se lei mi spiega che non ha mai avuto alcuna revoca e dunque l’indomani dovrà venire in udienza. Oggi arrivo dunque puntuale, più o meno, in aula. E’ in udienza un avvocato lentissimo, ed improbabile, che difende un ragazzo albanese, e prova a sostenere con esiti improbi che sia minorenne, ma il giudice respinge ogni cosa, e alla fine si arriva a patteggiare. Dietro di loro, nel frattempo, in un’aula di 80 mq due carabinieri portano via uno in manette, con la sua enorme madre davanti piangente che quasi apre il corteo, chiuso da un amico che, prima che esca dall’aula, lo bacia in bocca, gridando ai carabinieri che sono degli infami, con uno dei due che lo rimbecca “infame sarai tu”, e questo che esce dall’aula e gli corre appresso. Ma questo è il penale, prendere o lasciare, e forse per questo ho lasciato, anche se qui davvero ci sarebbe da scrivere e descrivere: suoni, odori, parole, dialetti, soldi nelle buste date dai clienti ad avvocati improbabili, giudici con il cronometro davanti pur di fronte a casi umani, e tutto il resto. Tocca a me. Nel senso che il giudice chiama la causa e l’avvocatessa si materializza ai miei occhi, anche se era sempre stata lì. Spiega al giudice che sono subentrato io e lui ne prende atto. Io alzo la mano, come a scuola, gli porto la nomina, e anche il ricorso fatto al giudice di pace, e il fax di convocazione per l’udienza, fissata fra una ventina di giorni. La mia idea sarebbe quella di avere qui un rinvio, in attesa di sapere cosa ci dice il giudice di pace sul merito dell’espulsione. Anche perché, se qui si va ora nel merito, mi pare di capire vi sia ben poca linea difensiva, visto che l’unico argomento reale –cioè quello dell’impossibilità di tornare in patria per mancanza di soldi- potrebbe essere bypassata dal fatto che il ragazzo è stato trovato con parecchi cd pirata che stava vendendo, e quindi il giudice avrebbe difficoltà a pensare che questo non ha i soldi per tornare a casa (il che, passati 5 giorni dall’espulsione, sarebbe obbligatorio). Alzo quindi la mia mano e chiedo il rinvio, sulla base del ricorso. Il giudice se lo leggiucchia, poi in pochi secondi mi dice “poiché il ricorso impugna solo il secondo decreto di espulsione, mentre qui si parla del primo, essendo tale ricorso inconferente, rigetta la richiesta”. Pezzi di mondo mi crollano addosso, mica mi toccherà discutere? Faccio presente al giudice che il primo decreto io non l’ho avuto, né ho avuto modo di reperirlo, pur avendo fatto accesso alla Prefettura, e che comunque in via istruttoria ne ho chiesto l’acquisizione e l’ho impugnato, sulla base dei medesimi presupposti. Lui mi guarda, guarda il ricorso, e mi dice che non trova il punto. Gli dico dove trovarlo, glielo leggo, lui ci pensa un attimo, lo rilegge, e tranquillo mi ribadisce che rigetta la mia richiesta. Altri piccoli pezzi di mondo crollano. Soprattutto quando il giudice mi guarda, quasi ridacchiando, chiedendomi “avvocato, che vuole fare?” Ieri dei colleghi mi hanno parlato di giudizio abbreviato, ed io ironizzavo che di abbreviato conoscevo solo lo scagotto: ora credo si debba fare quello. Incrocio lo sguardo della PM, che mi pare assai poco lucida, la quale mi guarda e mi dice “se vuoi patteggiamo”: come patteggiamo? Che cosa? Io non patteggio con nessuno qui al penale, che sia chiaro…Siccome si capisce che non sono pratico, anche se tutta questa manfrina sarà durata 15 secondi, il giudice mi fa “avvocato, abbiamo l’abbreviato…” (quasi come un cameriere che, vedendoti in difficoltà sulla scelta di un piatto dal menù ti dica cosa c’è di pronto, il tono è quello), subito incalzato dietro da un ragazzo che si stacca dalla parete e viene in mio soccorso al banco degli avvocati dicendomi in un orecchio “fai l’abbreviato che te lo assolvono”, con io che annuisco al giudice “abbreviato, abbreviato”, e lui che ridacchia dicendomi che è meglio che io mi fidi di lui, meglio lasciar fare…Questo ragazzo, un avvocato che avrà un paio d’anni meno di me, rimane dietro di me e mi dice “devi solo dire che per giurisprudenza costante del Tribunale chiedi l’assoluzione perché il fatto non sussiste, ne assolvono sette su dieci”. La PM, per non sbagliarsi, in tre parole chiede 5 mesi di reclusione (però), mentre io mi vedo gli insulti degli amici degli amici per essersi fidati di me come avvocato penale, ed io fidato del fatto che oggi sarebbe stato solo un cazzo di rinvio. Ancora il mitico mi tranquillizza, aggiungendo, mentre la PM parla “nun te preoccupà, le espulsioni so cazzate, le dovrebbero abolire…piuttosto se tu sei civilista me dovresti dà una mano con una risoluzione di un contratto al giudice di pace, me dici come se fa, che è importante?” Ma il giudice ora mi passa la palla. Ridacchiando faccio mie le sette parole del collega, che lui ha sentito, ne aggiungo alcune delle mie, sul ricorso al giudice di pace e sull’opportunità di molti di questi ragazzi di non poter tornare a casa per mancanza di soldi, e chiudo. Il giudice si ritira. Il mitico avvocato, con in mano un foglio protocollo dove scrive cifre, va dal PM e patteggia pene e multe per tre slavi che ha dietro, poi va dagli slavi e je dice che è tutto a posto, anche se uno ci rimane male che lui “non c’entra un cazzo, e lei avvocato lo sa”, e lui gli fa le facce dicendo (davanti ai poliziotti) “eddai, non dire cazzate, sei mesi con la condizionale so ‘bboni, lassa fa”. Poi, con in mano una cartella clinica di una ventina di pagine, si dirige dal cancelliere, un romano sui 50 dal capello fluente che sembra uscito da un film di Verdone, chiedendogli se fosse possibile farne una copia. Questo lo guarda, prima gli chiede se doveva fargliela solo del frontespizio poi, alla richiesta di fare tutto il plico, gli sbotta a ridere davanti dicendo “e me ce vò un giorno de ferie…”, lasciando morire lì il discorso. Ma ecco che rientra il giudice. Assumo una posizione da penitente, ascolto gli articoli del codice penale come se ascoltassi un numero di telefono svizzero, per scoprire che il ragazzo è stato assolto, il fatto non costituisce reato. Guardo il giudice e ringrazio, mi pare il minimo. L’avvocato ridacchia e dice “Ciccio, che t’avevo detto? Caffè pagato, vero? Lassame fa, no…me raccomando, quando vengo al civile poi me dai una mano tu…” Abbandono l’aula con un senso di stordimento, quasi come quando cammini senza sapere bene dove andare. Come Quando non si hanno pensieri. O quando se ne hanno troppi, che poi è la stessa cosa. Fuori, all’aria aperta, lontano dai fragori del Tribunale, da urla codici accuse e numeri, tutto mi pare ancora più folle e fuori fuoco, dalle centinaia di processi che si svolgono in questo Tribunale ogni anno aventi ad oggetto situazioni come questa e che, per giurisprudenza costante, o quasi, terminano con un’assoluzione; alla follia di stare lì in quella situazione, capendone poco e nulla, attorniato da personaggi di vario genere e umanità, con sottofondi di gente in manette che bestemmia e bacia la mamma. Che magari due giorni dopo accoltellerà per una dose, vai a sapere. Oggi è andata così, è andata bene. A me e al ragazzo. Domani chissà. In fondo stiamo parlando solo della Giustizia, e che sarà mai.

Cesare Previti (...)

Prodi e Berlusconi a Ribolla


Un gonzo-reportage elettorale dalla Maremma
di Alberto Prunetti

Lo scontro di lunedì sera tra Berlusconi e Prodi è una montatura. Non so chi fossero quei due tipi truccati in televisione, ma posso giurarvi che i veri Prodi e Berlusconi erano entrambi in Maremma, a Ribolla. Ecco il resoconto del vero contrasto Prodi-Berlusconi. Ecco i fatti.

Ribolla è un piccolo paese della provincia di Grosseto, nato pochi decenni or sono attorno alle miniere sulla piana maremmana antistante le Colline Metallifere. Oggi le miniere sono chiuse, e la gente vive nei campi, d’agricoltura. Qui si radunano ogni anno gli ultimi poeti a braccio della Toscana. I poeti a braccio sono perlopiù contadini e pastori, spesso appena alfabetizzati. Proprio perché non usano troppo la penna, hanno una memoria e una lingua di ferro, e riescono a improvvisare versi in sfide d’endecasillabi roventi. Il paese che domenica scorsa ha ospitato il contrasto tra Prodi e Berlusconi è conosciuto nella storia d’Italia per un’esplosione di grisù in una miniera, in cui persero la vita tanti minatori. La vita agra di Luciano Bianciardi ha origine da quell’episodio: il protagonista del romanzo arriva a Milano per vendicare i minatori. Per vendicare Ribolla bisognava salire a Milano, perché là stavano i ricchi proprietari delle miniere. Qui a Ribolla lo sanno bene cos’è un ricco. Non c’è bisogno che Berlusconi e Prodi si mettano d’accordo su redditi e metri quadri.
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Il tanto atteso confronto tra Prodi e Berlusconi è andato in scena proprio a Ribolla. C’era un poeta che era Prodi (lo chiamano anche Niccolino, è un tipo argutissimo che fa il pastore nelle colline metallifere) e un altro poeta che poi era Berlusconi (di lui non ricordo il soprannome, ma era veramente bravo per impostazione mimica e timbro della voce, senza contare che riusciva a gettarsi il fango addosso). Un terzo poeta (c’è chi lo chiama il Rustici di Braccagli, forse il più giovane poeta d’ottava grossetano, a malapena ventenne) pretendeva d’essere Vespa, e non si sbilanciava troppo tra due bandiere/già pronto a leccare al prossimo leader/ il sedere. I due poeti in ottava rima, Prodi e Berlusconi, se le sono date di santa ragione, e nel gioco delle parti ci hanno lasciato l’immagine di un paese ridotto a un ammasso di macerie. La versione spettacolare di lunedì sera è un evidente falso, un’impostura piena di cifre, menzogne e promesse. Non credete a quello che avete visto in televisione. I due veri leader si sono incontrati a Ribolla, e il vero Vespa ha sigillato il loro incontro con un forte accento toscano: “di qua c’è un mafioso, di là un democristiano, venite avanti e datevi la mano”.

Finiti i contrasti poetici la gente si è buttata sulle damigiane di vino. Sono riuscito dopo un po’ a ritrovare la strada verso la macchina, ma da una di quelle case di minatori, tutte con l’orto sul davanti, è uscito un vecchione sorridente. Tra carciofi e cipolle si è messo a sbraitare: “E’ morto Berlusconi!” Tutti zitti, increduli. Il paese si è fermato per un momento. L’uomo si è sentito osservato da tutti, e ha lasciato perdere. “No, è uno scherzo”. Una vecchietta è scoppiata in bestemmie. Non ne va mai bene una da queste parti.

Non so chi erano i due impostori truccati che parlavano in televisione ieri sera, fingendo di essere Berlusconi e Prodi, che invece erano tornati nei campi a lavorare con le pecore. Uno di questi tipi, uno con le grinze tirate, ha detto addirittura che senza di lui i figlioli degli operai saranno come quelli dei professionisti. Ora, voglio dire: io ho un babbo che ha fatto la terza media e poi è entrato in fabbrica, e una mamma casalinga… io a Ribolla ci vado senza problemi, sono alto un metro e novanta e ho qualche callo nelle mani. Ve lo immaginate…. come potrei girare per Ribolla se avessi la faccia del figlio di Berlusconi, se avessi la sua presenza muscolare, se avessi la sua fidanzata…

Un tale che si spaccia per Berlusconi dice che quello che sta in Maremma non è Berlusconi, ma un impostore comunista. Non credetegli, è un mitomane, un pelato rimpiantato, dice anche che Ribolla è un soviet, che la zona è piena di foibe e che al posto della chiesa cristiana si adora una statua in bronzo con un cinghiale dal cui muso cola un rigagnolo d’acqua. No, non può essere vero... (vedi sotto, please)

Coglioni

"Ho troppa stima dell'intelligenza degli italiani per pensare che ci siano in giro così tanti coglioni che possano votare contro i propri interessi [parlando degli elettori di sinistra]".
Silvio Berlusconi

02 aprile 2006

Il Caimano

Un paio di giorni ho visto in dvd Crash, il film che ha appena vinto il Premio Oscar.
Film corale, varie storie che si intersecano fra loro, con buoni e cattivi che cambiano di ruolo e a volte ti spiazzano; buon film, un'America Oggi in salsa buonista di inzio millennio, anche se decisamente meno graffiante e troppo leccato e politically correct.
Non è un caso che abbia vinto l'Oscar, del resto.
Come direbbe un mio amico, un pezzo di torta per il quale andare al cinema perchè, come dice lui rifacendosi ad una definizione di Hitchock, il cinema è "un pezzo di torta" da gustare. Nè più nè meno: una fetta di dolce.
Bandendo così dal suo unverso filmico una lunga serie di film che, per forza di cose, fette di torta non sono, come il neorealismo italiano degli anni '50, e comunque diversi capolavori che però, per loro genesi, fanno parte di film sgradevoli, e che dunque non rientrano nella categoria "fette di torta".
Il ragionamento, credo, sotteso a questa categorizzazione è quello del divertimento: perchè andare al cinema per "soffrire", quando la vita già ci dà tutti i giorni decine di notizie per le quali provare un senso di pena? Come si fa a soffrire più per una telenovela o per un film che per il povero Tommy, che proprio poche ore fa pare sia stato ucciso, pace all'anima sua?
Ritengo che ognuno veda in un film quello che vuole, da chi ci va solo a Natale ai film di Boldi a chi si autoflagella andando tutte le sere nei cineforum a vedere film armeni degli anni '60, fra gli estremi c'è tutto un mondo in mezzo.
Come in mezzo sta Il Caimano di Moretti, non un film civile come Le mani sulla città in senso stretto, ma comunque certo un film impegnato.
Che è un film che da una parte racconta la solita storia d'amore tormentata dei film italiani degli ultimi anni, e dall'altra imbastisce addirittura un film nel film sul personaggio Berlusconi, macchiettizzandolo all'inizio per poi addirittura immaginarlo nel finale come possibile strumento di scontri sociali molto pesanti nel Paese, che potrebbero addirittura sfociare in una guerra civile, chissà.
La necessaria premessa è che a me Moretti piace, se girasse un film che lo ritraesse due ore in bagno io andrei a vederlo, senza dubbio. E magari ci tornerei per rivederlo, mi basta qualche faccia e le minchiate che spara.
Nella diatriba monicelliana, che gli disse tanti anni fa "Moretti, stai sempre sullo schermo, scansati che dobbiamo vedere il film", io e molti altri pensiamo che Moretti sia il film, e non si debba scansare. Anzi.
Quindi ho un pregiudizio positivo su di lui, che questo film forse non amplifica, ma certo non riduce.
Anche se vedere Moretti sullo schermo per un totale di 6/7 minuti è stata dura, spero non si ripeta in futuro, considerando anche che gira un film ogni 5 anni (che poi coincide con le elezioni politiche, sarà un caso...).
Di certo, è un film che in Italia mancava, anche se lo stesso Moretti autoironizzando nel film, decide di non fare l'attore principale perchè "che vuoi fare un film in Italia su Berlusconi per spiegare? che chi voleva capire ha capito, e chi non non capirà mai, perchè non vuole capire. E comunque Berlusconi ha già vinto perchè ci ha cambiato la testa negli ultimi 30 anni...io voglio fare una commedia, è sempre il momento di fare una commedia". Questo uno dei messaggi del film, uno dei più chiari: il film non serve a niente, non è una protesta civile, e nemmeno una protesta forse. E' solo un film. Che pure finisce in un'aula di Giustizia dove Berlusconi viene condannato a 7 anni di carcere, e si lancia nell'ennesima accusa al potere giudiziario, accusa che apre scenari di future devastazioni.
Quale sia il messaggio morettiano non so bene, credo che ognuno ci possa trovare diverse chiavi di lettura, dal Moretti privato (la famiglia in difficoltà come forse anche la sua in questo periodo; il rapporto con i figli piccoli; un'acuta ironia sul mondo del cinema italiano), a quello pubblico (l'anomalia italiana, col produttore polacco che non perde l'occasione di denigrare l'Italia per colpa di Berlusconi; la domanda più volte fatta nel primo tempo del film: ma da dove vengono i soldi di Berlusconi? domanda senza risposta), al film sul film, che a me personalmente ha sempre affascinato come trovata, per quanto trita e ritrita.
Non so se è una buona fetta di torta questo Caimano, e nemmeno se è una fetta di torta.
Nel dubbio direi di no, ma poco mi importa in fondo.
Perchè ci sono momenti nei quali mangiare pezzi di torta, ed altri dove è meglio, anzi è doveroso, assaggiare altro, senza nulla togliere a questa visione della cinematografia. Ma in un paese come l'Italia, dove è sempre il momento di fare una commedia a natale per sollevare gli animi, 90 minuti di tempo per vedere un film come questo direi che si possono trovare, che si voti per Berlusconi oppure no poco importa: tutto sommato, nella mia vita, sia di fruitore cinematografico che soprattutto di cittadino, un film come Crash occupa un posto decisamente inferiore al Caimano, non c'è dubbio.
E se poi fra 5 anni un regista impegnato di destra facesse un film su Prodi, in fondo, perchè non andare a vederlo?
Ci sarebbe sempre la nostra Italia, il nostro futuro, sullo schermo, anche in quella occasione.
E l'Italia non è un pezzo di torta. O forse sì, per buona parte di quelli che se ne sono occupati da vicino in questi anni.
E allora, nel dubbio fra la torta da mangiare e la torta Italia, scelgo la seconda, mi perdonino i pasticcieri ed i registi come Frank Capra e Billy Wilder, che fanno di queste fette di torta un panorama cinematografico che pure amo profondamente.
Ma amo (e quindi odio) di più l'Italia, mi spiace.
Soprattutto quella che resiste, diceva tanti anni fa De Gregori.

Alessandro Tozzi