24 novembre 2009

Il nastro bianco

Michael Haneke: IL NASTRO BIANCO

di Benedetta Masera

L’ultimo film di Michael Haneke, Il nastro bianco, è stato spesso interpretato sulla nostra stampa come un film sulle origini del nazismo. Penso che questa interpretazione sia molto riduttiva e molto consolatoria. E anche un po’ autoassolutoria. Un gruppo di ragazzini nella campagna tedesca del 1914. La macchina riprende in primi piani immensi i loro volti lisci, gli occhi immobili, i capelli biondi pettinati con cura. Figurette dritte, vestite di scuro, compatte e ordinate.
Nell’affresco sono le figure di sfondo. Il racconto segue gli adulti. Non hanno nome, solo il loro appellativo sociale: il Barone, il Pastore, il Medico, l’Intendente. A volte sono chiamati anche ‘signor padre’. Niente altro. Il Barone e le sue tre diramazioni sono né più né meno l’incarnazione del Potere, e di tutto ciò che si deve fare per mantenerlo. La ricetta, per quanto riguarda i contadini, è semplice: basta lasciarli all’occorrenza senza lavoro. Nessuno si ribella, perché lo spettro della morte per fame è fin troppo vicino. Infatti la ribellione di un giovane contadino, nell’isolamento più totale, porta come unica conseguenza al suicidio del padre e alla probabile morte per fame dei fratelli.Le donne di qualunque classe sociale sono quasi mute, a malapena riusciamo a sentirne la voce durante tutto il film. Vengono annichilite dalla violenza che vedono esercitare sui figli o che subiscono loro stesse, e alla quale non sono in grado di opporsi in nessun modo. Sono disarmate, mute, in balia degli uomini. Senza scampo.Non c’è spazio per la ribellione e nemmeno per la fuga. Chi tenta di ribellarsi viene ricondotto all’obbedienza, o semplicemente svanisce nel nulla.Quale potrebbe essere, dunque, l’unico punto debole del sistema di ferro in cui si muovono i personaggi? I bambini, i loro figli, menti giovani, ancora intatte. Che per questo vanno dominati, piegati. Tra loro c’è il biondo e riccioluto figlio del barone. Poi i perfetti figli del pastore del villaggio. La figlia del medico, con lampi di malizia negli occhi neri che è quasi impossibile cogliere.Gli adulti non si occupano dei bambini se non per punirli, o per abusarne. Lo scopo è inculcare loro a forza l’obbedienza. Perché questo è il nastro bianco del titolo, che dal pastore viene definito ‘simbolo di innocenza e di purezza’: obbedienza.E quindi i bambini obbediscono. E la crudeltà che sviluppano insieme all’obbedienza diventa sempre più sconvolgente. Perché applicano alla lettera gli insegnamenti: ogni infrazione alla regola va sradicata alla radice, e le colpe dei padri ricadono sui figli. La trappola è scattata, non c’è possibilità di riscatto.Te li immagini marciare allineati, da lì a una decina d’anni, sotto la Porta di Brandeburgo con la faccia rivolta verso il Führer. E ti immagini le bambine diventate grandi fare la guardia zelanti alle prigioniere del campo di sterminio.Ma non è solo questo (come se fosse poco, per carità). È che Haneke ci sussurra all’orecchio: credi davvero di vivere in un mondo diverso? Il mondo in cui vivi è sostanzialmente lo stesso: chi ha il potere se lo tiene stretto e fa vivere tutti gli altri in miseria. E a te hanno insegnato a obbedire fin da piccolo.Siamo ricattabili come il contadino che teme che non gli venga dato lavoro alla stagione successiva. E sono ancora i preti, e i pope e i mullah, a dettare le regole della vita. E con quale dedizione questo sistema viene portato avanti da tutti, da vittime e carnefici, sommersi e salvati.

17 novembre 2009

La persecuzione dei giovani

La persecuzione dei giovani

di Andrea Scarabelli


Se vedi novanta poliziotti in assetto antisommossa a Milano, sui navigli, in un’alba spenta che solo novembre sa offrire, pensi di assistere a un’operazione di estrema gravità e urgenza. Magari per sventare qualche pericolosissima minaccia terroristica esotica, come quella che da oggi scopriamo incombere sul nostro premier. Se poi li vedi circondare il Lab Zero o Ringhiera, insomma la casa occupata sul nuovo parco lungo Ripa di Porta Ticinese, pensi che sia imminente lo sgombero, un’altra mossa dell’offensiva unilaterale innescata da questa città contro tutti gli spazi non omologati in nome della “riqualificazione”.Invece, no.Questo venerdì 13 novembre, quell’impressionante schieramento di poliziotti è lì per arrestare tre degli occupanti. Tre pericolosissimi appena ventenni, ancora addormentati. Altri due ragazzi sono già stati prelevati dalle loro abitazioni nell’hinterland, buttati giù dal letto come criminali pronti alla fuga. Tutti e cinque hanno tra i venti e i ventiquattro anni, uno di loro finisce a San Vittore, gli altri quattro ai domiciliari. L’accusa è di rapina aggravata e lesioni, sembra che rischino dai quattro ai dieci anni di carcere.Che cosa hanno fatto?Si sono rifiutati di pagare qualche centinaio di fotocopie fatte presso la libreria Cusl dell’Università Statale, il 2 ottobre scorso. Un bottino di al massimo una ventina di euro.
Forse la notizia riportata nella sua brutalità può restituirci un po’ dello sconcerto che non siamo più in grado di provare. Mese dopo mese, in questa Italia e in questa Milano, stiamo imparando ad accettare nuovi livelli di realtà. Una situazione simile fino a poco tempo fa sarebbe stata letta come un falso, uno scherzo, una deformazione, qualunque cosa; oggi esiste, è terribilmente reale, forte di tutti i presupposti che l’hanno resa possibile. La nostra opinione pubblica sembra vivere in una condizione di stress post-traumatico che fa accettare passivamente qualsiasi cosa.Siamo pronti quindi a tollerare un simile spreco di risorse pubbliche per uno schieramento di forze delirante, allo scopo di fermare cinque persone perfettamente reperibili in qualsiasi momento, cinque ragazzi che avevano compiuto un’azione la cui gravità si equipara al rubare la merenda a un compagno a scuola, nell’ora di ricreazione. Cinque ragazzi appena più giovani di me, che ora rischiano di vedere la loro vita rovinata. In una città come Milano, in cui è ormai impossibile nascondere il vergognoso scandalo della penetrazione della criminalità organizzata nell’edilizia e nei fantomatici lavori per l’Expo, in cui evidentemente i problemi di illegalità stanno a ben altri livelli, questo non può e non deve essere reale.Lo è, invece, e non solo: ci tocca leggere articoli di giornale spietati come quelli subito comparsi, pronti a trattare questi ragazzi come soggetti altamente pericolosi, con grande sprezzo del ridicolo.
È ormai evidente che stiamo assistendo a una vera e propria persecuzione dei giovani, come aveva già osservato qui Valerio Evangelisti nel suo editoriale Ucciderli da piccoli: anche questo ennesimo episodio non deve essere considerato slegato dagli altri agghiaccianti avvenimenti degli ultimi giorni. Prima di tutto le circa sessanta denunce partite per i cortei dell’Onda dello scorso anno. Poi l’assedio sistematico a tutte le forme di cultura e di aggregazione giovanile, con l'esempio surreale dell’inaugurazione della cancellata che impedisce l’accesso alla collinetta davanti al Mom proprio nel giorno del ventennale della caduta del muro di Berlino (!). Qualsiasi richiesta di spazi viene negata, prima a parole, e poi da uno sbarramento di manganelli. Infine forse il caso più angosciante di tutti, la chiusura del liceo serale statale Gandhi, fiore all’occhiello della città, i cui studenti sono stati a loro volta perseguitati, continuamente sgomberati, picchiati e dispersi, e aspettano in presidio permanente in tenda da due mesi, solo per rivendicare il proprio diritto allo studio. Il comune ha avuto il coraggio di mantenere la propria posizione anche dopo la sentenza del Tar che ha dato ragione agli studenti, bloccando la chiusura della scuola. Sempre venerdì 13, di sera, gli studenti hanno provato a occupare per protesta la sede delle scuole civiche, in via Marsala. Sono stati sgomberati la mattina dopo, all’alba, dai soliti poliziotti armati fino ai denti come se dovessero fare irruzione in un covo mafioso. Il video dell’operazione stringe il cuore.Eppure anche questa realtà è possibile, proprio perché abbiamo imparato ad accettarla: quella della fiamma ossidrica della polizia che apre la porta, mentre gli studenti sempre più angosciati cantano in coro con voce rotta “vogliamo solo studiare”.
Ho scritto questo intervento di getto, pieno di sconcerto e rabbia per quanto accaduto e per il fatto che quasi nessuno avesse preso posizione in merito, e proprio ora mentre rileggo il pezzo sto seguendo la diretta del corteo di oggi, sempre a difesa del liceo Gandhi, in centro, in cui la polizia ha fermato altri quattro ragazzi e caricato i manifestanti. Difficile davvero, di questi tempi, essere giovani a Milano. Non respiri, e non si tratta solo dei veleni a cui l’aria ti condanna ogni giorno. Non esiste lo spazio vitale per crescere, agire, fare proposte culturali proprie. Non esiste un mercato di lavoro capace di vederti come una risorsa, e non come un pezzo di carne rimpiazzabile in qualsiasi momento, e fino ad allora sfruttabile a piacere, gratis. Difficile davvero, resistere alla tentazione di andarsene da un paese che sa solo sputare su di te. E che ti ripaga così della scelta di restare, di impegnarti a costruire qualcosa in mezzo a tutto questo disastro. Rimboccati le maniche, perché sarà dura davvero.

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