21 ottobre 2007

Le capitali d'Italia

Questo libro è il frutto del terzo viaggio in Italia... Ogni venti anni in Italia cambiano i linguaggi e con quelli i valori. Come nel ' 68 e nell'88, l'impressione è che in questi anni l'Italia si trovi alla vigilia di una svolta importante. Una svolta politica, certo. La stagione che abbiamo chiamato Seconda Repubblica, vissuta per 15 anni sul duello tra Berlusconi e Prodi, l'Italia dell'uno e quella dell'altro, è alla fine. Le parole, i discorsi, le polemiche infinite che accompagnano il tramonto hanno l'aria dei saldi di fine stagione. Fra pochi anni o pochi mesi, il dibattito che riempie le pagine dei giornali e i notiziari televisivi ci sembrerà archeologia. Qualcosa sta crescendo, avanza nell'aria e non si sa ancora se sia il peggio o il meglio. Non si capisce se alle porte c'è il salto verso la modernizzazione che il paese finora ha evitato, passando da un'illusione di miracolo all'altra, oppure se incombe un'altra e definitiva restaurazione. Perchè le città? Perchè sono le nostre patrie. L'Italia non è mai riuscita ad essere per gli italiani quello che Venezia, Genova, Roma, Firenze, Napoli, Palermo, Torino, Milano, sono state e sono ancora per veneziani, genovesi, romani, fiorentini, napoletani, palermitani,torinesi , milanesi e per il resto del mondo. L'italiano, diceva Ennio Flaiano, quando si ricorda di essere italiano, diventa subito fascista. Oppure non se ne ricorda - accade più spesso - e allora parla laconicamente del nostro paese, con distacco, scetticismo, diventa banale, e in genere lagnoso. Ma appena lo zoom si restringe al borgo natio, si tratti di Roma o Petralia, si accende la passione, la frase si colora, lo sguardo diventa originale. Il Comune è stata la prima e l'unica nostra vera invenzione politica. Nella dimensione cittadina - dove perfino l'architettura chiama alla partecipazione, con la piazza centrale che armonizza la divisione dei poteri, con il municipio, la curia e il palazzo di giustizia equidistanti - gli italiani tornano protagonisti e non sudditi.

Curzio Maltese dal libro I padroni delle città Ed. Feltrinelli ("La Repubblica" 19 ottobre 2007)

12 ottobre 2007

La seconda morte di Daniele Boccardi

Della seconda morte, quella culturale, di Luciano Bianciardi ho parlato senza remore ogni volta che ho potuto, e adesso ne parla anche Ettore, e non scherza mica.

Invece della seconda morte di Daniele Boccardi, quella civile e culturale, si è parlato poco. Io stesso ho scelto di starmene buono finchè, qualche giorno fa, ho letto che il concorso letterario a suo nome, patrocinato ed organizzato dalla Biblioteca Comunale di Massa Marittima è stato affidato ad un intellettuale (intellettuale?) meglio noto per essere tra i becchini culturali della fondazione Bianciardi. Non ne faccio il nome perchè nemmeno se lo merita.

Daniele Boccardi: non ho mai avuto il minimo dubbio di avere a che fare con un grande, grandissimo scrittore, per qualità, per provocatorietà, per passione civile, per tutto. La troppa passione e forse la fragilità esistenziale in un ambiente (il “paese ufficiale” dei politici e degli amministratori) ottuso ed a lui ostile, lo spinsero al suicidio, circa quindici anni fa.

Un velo di pietà e di silenzio fu steso su di lui e sulla sua opera, rotto solo dalla determinazione del padre di far venire alla luce i suoi scritti. Dopo aver bussato invano a varie case editoriali, bussò alla mia e fu accolto a braccia aperte. Nacque un sodalizio che produsse, oltre ad una sincera amicizia, testimoniata da decine di lettere e di incontri, numerosi libri: vari millelire speciali ed un volume Eretica “Vite minime/Racconti diseducativi” orgoglio del mio catalogo.

La passione per Daniele Boccardi si estese tra gli amici ed i compagni che frequentavano una sperduta e favolosa osteria alle porte di Massa Marittima. Lì nacque e prese corpo il “Fondo Daniele Boccardi”, con gli stessi intenti che oggi io e Ettore ci proponiamo per l’Antifondazione Bianciardi. Tra le numerose iniziative del Fondo, quella di un concorso letterario nazionale per opere inedite di qualità, appunto patrocinato dalla Biblioteca Comunale.

Poi, un paio di anni fa, il colpo di scena. Il padre di Daniele buttò nella spazzatura tutta l’amicizia e la solidarietà e s’inventò, ispirato da una Signora spuntata dal nulla e autoprocalmatasi fidanzata di Daniele Boccardi (ma Daniele non doveva portare all’altare un’altra fidanzata, proprio i giorni del suicidio?), nonchè sua erede culturale.

Fatto sta che sotto la regia della Signora spuntata dal nulla il Fondo viene portato in tribunale, e dopo un umiliante patteggiamento, decide di togliere il nome Boccardi e di chiamarsi semplicemente Fondo. Che il Fondo abbia fatto poco o nulla di iniziative alla vecchia maniera è tutt’altra storia, tutta da scrivere e magari qualcosa bolle in pentola che io non so (almeno mi piace pensarlo). Che i Boccardi abbiano sepolto per la seconda volta Daniele, almeno culturalmente, è certo. Che poi questi nuovi funerali vengano officiati da uno dei becchini della fondazione Bianciardi, è certo anche questo. Come è certo che ci sia una morale in tutta questa orribile storia, tipica di quella palude grossetana buona a celebrare funerali culturali piuttosto che far vivere cultura viva e vera.

La morale è che bisogna diffidare gli eredi degli scrittori (almeno di quelli di qualità, perchè degli altri poco importa), a mettere i loro artigli sulle eredità culturali. Altrimenti succede quello che è successo a Daniele e quello che è accaduto a me, reo di voler pubblicare “Bianciardi com’era” di Mario Terrosi: esser diffidato a farlo dall’erede Luciana.

Meno male che c’è ancora chi, come Ettore, vuole fermamente interrompere questa rapina (culturale, s’intende)

Marcello Baraghini


Baraghini,
dato che si proclama conoscitore, nonchè grande estimatore, di mio fratello Daniele, le consiglio vivavamente - onde evitare le pessime figure che sta facendo - di informarsi prima sul suo conto e la sua vita che, mi pare, le è tutt’ora ignota.
Prima di tutto, la sua morte risale a 14 anni fa e non 15 , brutto errore per un caro amico…ma forse lei è stato amico di Daniele quanto quegli”amici e compagni che frequentavano quella sperduta e favolosa osteria”, cioè, non l’avete neanche mai visto, o comunque a nessuno di voi ha mai degnato una parola!!!!
E poi, cari buoni vecchi amici di Daniele, ma come potete aver dimenticato la sua storica fidanzata, quella splendida persona che ha condiviso con lui più di 15 anni della sua vita e che voi chiamate “la signora spuntata dal nulla autoproclamatasi fidanzata”? Non pensate che Daniele, che dite di conoscer tanto bene, ne rimarrebbe offeso?
Temo che non sappiate proprio di che cosa parlate, altrimenti evitereste certe orride figure..ma forse, chi vi legge, non è migliore di voi!!!
Per quanto riguarda la seconda morte che noi familiari avremmo inflitto a mio fratello, la trovo sì una calunnia degna di trbunale, quello dove NOI abbiamo UMILMENTE patteggiato, perchè NOI affetti dal dolore e dalla disperazione, ci siamo dovuti accontentare.
Mi permetta un’ultima cosa, in fondo lei di cose assurde ne dice tante, se ci volesse così poco per seppellire (sempre culturalmente, dico)una persona, lei crede che voi esistereste ancora?
La lascio su questa profonda riflessione e un consiglio: si rilegga gli appunti prima di parlare.

Michela Boccardi

Michela,
mi verrebbe voglia di dirti “Cara Michela”. Ma potresti offenderti e magari chiamarmi a risponderne penalmente. Purtroppo non sono stato amico di tuo fratello Daniele, Non l’ho mai conosciuto e quindi non l’ho frequentato e non avevo letto nulla scritto da lui, nemmeno sulle riviste che pure ogni tanto leggevo. Fino al giorno in cui tuo padre mi ha cominciato ad inondare, letteralmente inondare, di materiali e poi, non molto dopo, inondare ancora di ricordi, di desideri. Primo fra tutti il desiderio che l’opera di Daniele, tutto quello che era possibile reperire, venisse alla luce. Subito, prima possibile. Così è scoppiato l’amore, la stima, la passione, quella stessa che mi trasmetteva tuo padre. E l’ansia, quasi, di pubblicare. Tuo padre, il padre di Daniele, è stato mio complice al cento per cento, possono testimoniarlo le decine di lettere, tenere, appassionate, oltre che istigatrici a pubblicare: tutte rigorosamente scritte di suo pugno. E anche qualche banconota da 50 per contribuire alle spese tipografiche, in cambio di copie.
In ragione di questo afflato e di questa complicità, ho pubblicato, ho curato “Vite minime”, e perfino ne ho scritto, per la prima volta in vita mia, la prefazione, E poi, io, tuo padre e nuovi complici abbiamo dato vita al Fondo Boccardi (posso nominarlo ancora così, o rischio la querela?).
Fino alla sera in cui (io non c’ero) a Grosseto, in una sala affollata, alla lettura di alcuni aforismi di Daniele, è saltata su la fidanzata (vera o falsa che fosse stata) a dichiarare guerra al Fondo Boccardi e ad intraprendere azione giudiziaria.
Rivendico il diritto ad essere innamorato dello scrittore Daniele Boccardi.
Nessuno, nemmeno tu Michela, me lo puoi negare. Puoi soltanto contestarlo.
Aggiungo che mi batterò fino alla fine della mia attività pubblica affinchè agli eredi venga negata la possibilità di disporre, in modo esclusivo e discrezionale, delle opere di loro parenti.
Le opere, specialmente quelle straordinarie, come quelle di Daniele, appartengono all’Umanità.

Lo dico senza retorica

Marcello Baraghini (dal sito di Ettore Bianciardi riaprireilfuoco.org)

09 ottobre 2007

Elogio dei perdenti

Non seguo abitualmente il rugby.
Certo, da quando l'Italia partecipa al Sei Nazioni ogni tanto guardo uno spezzone di partita in tv, e una volta sono anche andato a vedere un test-match contro l'Argentina. Però non capisco alcune regole, nè mai le capirò (questo l'ho capito, dagli e dagli), ma comprendo come anche chi si avvicini al calcio non capisca una buona metà di ciò che vede, però magari tifa anche una squadra, forse è giusto così.
Si stanno disputando in Francia i Mondiali di rugby, probabilmente il primo evento sportivo rugbystico veramente pompato anche dalle tv: Sky aveva comprato i diritti, l'Italia puntava ad entrare fra le prime 8 del mondo, tante le squadre forti, una quella da battere. Gli All Blacks.
Anche chi non ha mai visto una partita di rugby, probabilmente conosce gli All Blacks. Quella squadra di omoni che, per capirci, prima di ogni partita si sistema in mezzo al campo e fa una danza maori di alcuni minuti, chiamata Haka (anzi, ka-mate, per la precisione). Una cosa che solo a vederla mette i brividi, come la partita di pallone dei rinoceronti in Pomi d'ottone e manici di scopa: osservare questi omoni inscenare questa danza, spesso fa perdere le partite prima ancora di giocarle. Anche perchè loro sono la miglior squadra del mondo da sempre, anche se hanno vinto solo una coppa del Mondo, la prima perdendo poi tutte le altre, per un motivo o per l'altro.
Contro l'Italia, nel girone di qualificazione, dopo venti minuti avevano già segnato 40 punti, più o meno quelli che l'Italia ha fatto in tutto il torneo. La partita è poi finita 76/14. Qualche giorno dopo la Scozia, che poi ci ha eliminato, è stata tritata per 40/0. Uno schiacciasassi.
Per un gioco di incroci saltati, visto che la Francia padrona di casa è arrivata seconda nel suo girone dietro l'Argentina, nei quarti di finale si è giocato Francia-Nuova Zelanda. Il match che la Francia mai avrebbe voluto giocare così presto. Non solo. Non prevedendo di arrivare secondi, i francesi avevano assegnato questo quarto di finale a Cardiff (il Mondiale è in Francia, ma alcune partite si sono giocate nel Regno Unito), come contentino ai gallesi per vedere anche loro gli All Blacks.
E così oggi, sabato 6 Ottobre, a Cardiff è andata in scena Nuova Zelanda-Francia. In campo neutro, anche se i Mondiali si giocano in Francia, una follia della manifestazione. Un ulteriore vantaggio per loro, gli All Blacks. Che nel giro di una ventina di minuti si sono portati sul 13/0.
Finita, si pensava. Macchè, la Francia ha recuperato sul 13/13. Nuovo allungo dei neri sul 18/13, ma ribaltone finale sul 20/18 per i francesi.
La partita della vita giocata e vinta contro i maestri del rugby.
Che da 20 anni non vincono niente.
Si contano a decine le squadre che nella storia dello sport sono state le migliori di un'epoca e non hanno vinto nulla. L'esempio più fulgido fu l'Ungheria degli anni '50 nel calcio, che batteva tutti con punteggi tennistici, dominò un Mondiale dalla prima all'ultima partita, per perdere a 10 minuti dalla fine della finale 3/2 con la Germania, umiliata 8/3 nella partita del girone solo 20 giorni prima.
Non so cosa si provi oggi in Nuova Zelanda, quali saranno le reazioni della gente.
Pensare a questi omoni, che sono i migliori del mondo, e puntualmente da 20 anni sbagliano l'appuntamento che conta fa pensare. Forse sarà la paura, a questo punto, e non basta l'haka a mandarla via. O forse solo il destino che si diverte a far vincere non i più forti, ma quelli che in quel mese dimostrano di avere qualcosa in più. Non si sa di cosa, ma in più. L'Italia di Lippi, la Grecia degli Europei, la Russia nel basket, la Spagna nella pallavolo, alcuni degli ultimi esempi. Squadre buone, ma senza i favori del pronostico. Solo che nel caso di altri sport, i favoriti sono più d'uno. Nel rugby no, anche se perdono da 20 anni tu pensi ai migliori, e pensi a loro: gli All Blacks.
Una leggenda mondiale, e che magari al ritorno a casa verrà presa a pomodori (se fosse in Italia accadrebbe, statene certi). Forse è giusto così, forse le loro sconfitte servono solo a fomentare l'attesa del mondo per altri 4 anni, per vederli sul gradino più alto del podio, con le lacrime agli occhi, come bambinoni di 130 kg che abbiano sconfitto l'esorcismo e abbiano (finalmente) vinto.
Non si può che volergli bene agli All Blacks, non si può che voler bene a chi sia il migliore per tutti e puntualmente non vinca. Sembra quasi un vezzo di chi non vinca consapevolmente, detta così.
Diceva un aforista che adesso mi sfugge: "due sono le persone più vicine al mio cuore: un re senza regno, e un povero che non sa chiedere l'elemosina".
Gli All Blacks sono dei re senza regno.
Li amiamo (anche) per questo.

Alessandro Tozzi

07 ottobre 2007

la società dei bamboccioni....

Giovani fino a 30 anni ancora presenti in famiglia ; Italia 60% Spagna 10, Francia 23, Portogallo(sicuramente più povero e tradizionalista del nostro paese) 35

Tutta colpa del caro affitti, della mancanza di case? E anche fosse avete mai vista una manifestazione giovanile con queste rivendicazioni? Le uniche rivendicazioni che vedo nelle scritte murali è quella molto originale " io e te 3 metri sopra il cielo"; mi verrebbe da dire no, meglio a 3 passi dai coglioni oppure a due metri sotto terra che il mondo è già pieno di strulli.D'altra parte che aspettarsi da un paese in cui il 62% ammette di non aver mai letto un libro o in cui i pochi studenti che sanno cosa significa Piazza Fontana attribuiscono la strage alle BR? O dove si ha bisogno di Grillo Beppe per far tremare una casta di politicanti impresentabili ? Va molto adesso Grillo Beppe, il problema è che spara spesso raso terra, come quando sul problema dei Rom o dei Romeni non si discosta molto dai rimedi leghisti o fascisti.

Una generazione fa moltissimi ragazzi scappavano di casa per rompere con gli odiati genitori ingranaggi e servi della borghesia. Adesso o noi siamo diventati troppo buoni o i giovani più fessi. O forse i fessi siamo noi che non li buttiamo gentilmente fuori di casa a confrontarsi col mondo. Ma ve la immaginate una Mamma italiana che incita il figlio a rendersi indipendente ed a vivere la propria vita lontano dalle proprie grinfie? Si sono persino internettizzate le Madri italiche pur di continuare a lobotomammizzare costantemente i "bimbi" lontani da casa perchè all'università o in vacanza. E se per disgrazia una tale madre asburgica esistesse, niente paura, ci sono legioni di nonne vispe e ultratolleranti, oltretutto ben fornite anch'esse di cellulare. Mi viene a mente quel tipo mio compagno di classe( quinta elementare)che a domanda della maestra rispose che avrebbe sposato la madre, e dopo che gli fu accuratamente spiegato l'impossibilità del suo proposito, rispose che allora avrebbe vissuto con nonna. No, in Italia il tempo è circolare; tutto scorre ma niente passa veramente, l'aveva già capito Tomasi di Lampedusa nel suo "Gattopardo" tanti anni fa.

I grilli parlanti, Il partito democratico, Il veltronismo pensiero, sarebbe il nuovo che avanza? Come la suora laica Rosy o la arrembante coscialunga Brambilla ?

Sì, la situazione è davvero grave, ma non è seria.