27 marzo 2010

Eros Penni

Ricorrono in questi giorni 15 anni dalla morte di Eros. Una bellissima recensione di Alessandro Angeli, scrittore grossetano, lo ricorda sulla rivista Maremma Magazine di marzo.


Eros Penni
Il vecchio e altri racconti





La prima volta che ho sentito parlare di Eros Penni era il 2003, erano gli anni ruggenti del Fondo quelli, quando l’associazione di Massa Marittima portava ancora il nome di Daniele Boccardi. In quell’anno erano già usciti i capolavori Vite Minime di Daniele Boccardi e Potassa di Alberto Prunetti, che il Fondo aveva editato in collaborazione con Stampa Alternativa, portando l’editore viterbese a dedicare all’iniziativa una vera e propria collana, che ancora esiste, intitolata “I Libri del Fondo”, appunto. L’amicizia con Stefano Pacini, Michele Cocola e Dario Radi, mi spinse ad occuparmi come meglio potevo, col mio solito appassionato dilettantismo, degli autori che gravitavano intorno al progetto massetano. Oltre a Boccardi e a Prunetti quindi, lessi i lavori di Luciana Bellini, Lio Banchi, Antonello Ricci, mentre di Penni ancora non avevo avuto il piacere di leggere nulla. Che poi in fondo similmente al recentemente scomparso J.D. Salinger, le opere edite di Penni non erano poi molte, due nella fattispecie: un libro di poesie intitolato Le altre facce dell’ozio, stampato a Massa Marittima nel 2001 e Il Vecchio, un libro di racconti inserito il dicembre dello stesso anno di Boccardi e Prunetti nella collana I Libri del Fondo. Per scrivere di Penni avrei potuto chiamare l’amico Stefano, che era anche suo amico e che ha fissato molto bene alcune immagini di questo loro sentimento nella prefazione al libro. Ma ormai mi sono abituato a procedere così, andando a fiuto in mezzo alle pagine, perché il merito dei libri è anche quello di dare ai maestri la possibilità di parlarci ancora, anche a chi non li abbia conosciuti in vita, come è capitato a me con Penni. Perché leggendo le sue pagine non vi è alcuna possibilità di smentita ad affermare che Eros Penni era ed è un maestro. Come si legge dalle laconiche note biografiche, riportate testualmente, anche nella calligrafia, dalla penna dell’autore (con l’utilizzo di uno scanner, per svelare l’arcano) Eros Penni era nato nel 1946 a Massa Marittima e lì aveva abitato, per vivere aveva fatto i più umili lavori, fino a che a causa dei gravi problemi di salute di cui soffriva, lo stato gli aveva concesso una piccola pensione, in più era un autodidatta. Sembrerebbe un po’ riduttivo questo per capire un autore, soprattutto sembrerà riduttivo a tutti colori non abbiano avuto il privilegio di leggere le pagine de Il Vecchio, perché entrando nelle storie del libro il concetto di vita personale perde di significato per aprirsi ad uno più grande: quello di tutte le vite possibili racchiuse nella semplice espressione di esperienza umana. I personaggi di Penni come quelli di una altro scrittore italiano sicuramente più famoso di lui, sono tutti e nessuno, simili ad elementi simbolici essi hanno una funzione rivelatrice che dà ai racconti un’enorme forza evocativa, in grado di comunicare sentitamente e dolorosamente le numerose stratificazioni dell’essere. La bravura dell’autore sta proprio nel saper spogliare al momento giusto i suoi personaggi degli elementi simbolici che li pervadono, in modo che smettano di essere ideogrammi per diventare uomini in carne ed ossa. Così vicini che al lettore da un momento all’altro sembrerà di prendere parte fisicamente al racconto, che l’oste gli domandi cosa vuole bere o che il mangiarospi si metta improvvisamente a fissarlo con attenzione o ancora, che leggendo il superbo Camionista, egli si senta veramente un passeggero di quest’uomo burbero e solitario, che preferisce parlare con l’amico morto piuttosto che rivolgere parola ai vivi. Leggiamo alcuni passi del racconto:
“quella dannata notte non la scorderò mai. Avevi appena preso il mio posto al volante ed io stavo leggendo una cartina stradale quando d’improvviso una luce ci abbagliò e senza poterci far niente precipitammo giù per la scarpata. Io non so come me la cavai e dopo qualche giorno di ospedale ero di nuovo con il sedere incollato sulla poltrona di un altro camion. Ma tu? Sì tu?” Disse battendo le mani con rabbia sul cruscotto e lanciando un respiro pesante: “Maledizione! Perché non hai avuto fortuna? Perché? A pensarci bene è così strana la vita. Quello che ci capita non lo sappiamo mai fino al momento in cui avviene e questo francamente non mi piace affatto. Vorrei proprio capire che senso ha. […]
Nella fase finale del testo l’umanità del camionista si spalanca, egli rivelando l’aneddoto, caratteristica comune a quasi tutti i racconti della raccolta, riprende la sua funzione di messaggero, di uomo – verità, che poco prima aveva vacillato, al ricordo dell’amico morto. Nell’Uomo che non parlava mai, veramente prodigioso per struttura e poeticità, è proprio il personaggio che l’autore relega nella penombra dell’osteria, avvolto da i suoi pensieri torbidi a fornire la chiave di volta della novella. L’eroe di Eros Penni è l’ultimo, il più segnato, quello cioè che considera la vita un’esperienza troppo grande per limitarsi a viverla, senza sentirsi fregato. Così l’uomo che non parlava mai, dopo aver illuminato la mente di sua figlia si congeda dal lettore:
“Mah chissà!” rispose l’uomo accarezzandogli il volto e subito dopo aggiunse: Io devo andare giù nel buco, cerca di non fare molto tardi, altrimenti la mamma sarà in pensiero”. Poi si alzò, con un cenno del volto salutò i due e l’oste, uscì fuori e battendo i denti per il freddo si incamminò verso la miniera.
Il rapporto binario tra concetto e fenomenologia ricorre in tutte le novelle di Penni, la saggezza e l’esperienza dolorosa, si condensano insieme nell’uomo – verità, e l’aneddoto giunge puntuale, con la sua funzione catartica, ad allargare lo spettro del racconto, dalla soggettività del personaggio ad orizzonti universali. Nella novella L’osso è proprio l’autore tramite un suo personaggio a spiegare l’inscindibilità di questo legame. Inscindibilità che perdura fino a quando la ragione dei sensi non giunge a provocarne l’estinzione. Leggiamo:
“Ebbene io vorrei sapere prima di tutto chi di voi due è il Concetto chi il Fenomeno e poi che cosa veramente siete.
“Io a sinistra sono il Fenomeno lui a destra il Concetto. Riguardo a quello che siamo è un po’ difficile spiegarsi. Comunque io Fenomeno essendo indispensabilmente legato al Concetto riesco solo a parlare. Mentre lui parlando avrà il compito di essere la spiegazione di quello che io dico proprio perché legato a me”.
“Se uno parla è non sa quello che dice e l’altro sa, ma non può parlare, come farò io a capire che cosa è l’uno e che cosa è l’altro? Forse l’unica soluzione sarà quella di separarli” pensò la Sensazione.
E subito dopo questa considerazione, con un balzo felino piombò addosso ai due dividendoli. Ma con stupore notò che non appena separati essi scomparvero”.
Un altro grande talento di Penni è quello di saper descrivere alla perfezione l’oscuro e a volte malvagio disegno che muove i meccanismi della natura, nei suoi più intimi recessi. Sono descrizioni debordanti e lucidissime di una poeticità tagliente e cristallina, capaci di cogliere l’intima essenza della terra che Penni ha abitato e che abitiamo. Un’abilità così fortemente caratterizzante che mi ha fatto pensare ad uno straordinario scrittore americano, praticamente sconosciuto da noi: Breece D’J Pancake. Anche lui dopo una breve esistenza tormentata se n’era andato lasciando un solo libro, un documento di inestimabile valore, posteriormente acclamato dalla critica e dai colleghi scrittori, una raccolta di racconti dal titolo Trilobiti. In Trilobiti si respira in modo palpabile l’America selvaggia e a volte crudele, dei piccoli centri urbani sopraffatti dalla polvere delle sterminate praterie americane, impermeabili al tempo e imperiture, sotto l’ombra minacciosa degli Appalachi. Confrontiamo questi due diversi estratti, da una parte il racconto Cacciatori di volpi, di Pancake dall’altra Il cieco di Eros Penni:
Soffiava un vento debole che faceva rabbrividire e le foglie di sicomoro frusciavano sul marciapiede, per essere bloccate sul ciglio dalla gramigna d’un verde violento.
L’opossum se ne stava tranquillo sul bordo della strada. Non aveva trovato carcasse di animali d’allevamento in cui costruire una tana per l’inverno ; nemmeno una bella buca vuota. Portò i suoi piccoli dall’altra parte della strada, tra le foglie dove se ne stava la carcassa coriacea di un altro opossum. Non si fermò per fiutare o per altre smancerie.
Un rumore metallico. Si fermò. Fuoco. Si appiattì al suolo nel più nero terrore, con i piccoli aggrappati più stretti al pelo. Passi pesanti, sordi e irregolari le fecero ribollire il sangue. Con il giorno e il pericolo che avanzavano, la paura le avvampava dentro mentre arretrava con cautela verso cespugli più fitti. Dal suo nascondiglio vide un nemico gigante che avanzava sull’asfalto e un bagliore rosso rimbalzare brillante in ciò che restava della sua notte.
***
In un’insenatura, sulla larga spiaggia di rena fine, molliccia, cosparsa di conchiglie e fetide carcasse di crostacei, lungo la striscia ondulata di tritume fradicio e nero lasciato dalla marea, alcune meduse approdate da poco, con la loro massa gelatinosa, perlacea, venate sui bordi di righe viola, come vecchi lampadari di vetro soffiato, palpitando e sbavando al contatto dell’aria, sembravano mostrare la fine del loro splendore. Più in fondo, una pecora morta, da giorni arenata nella risacca, con la pancia gonfia, le zampe rattrappite e la faccia scavata dalle pulci marine e dalle chele dei granchi, spinteggiata di tanto in tanto dalle onde, si muoveva lentamente, emettendo dei rumori simili a risucchi. Vomitava dalla bocca, dal naso, dagli orecchi, gli ultimi residui di interiora putrefatti dalla salsedine; mentre il sole, coperto in parte dalle nuvole, come un occhio, sembrava guardare di nascosto quella cruda scena.
Due brani, due racconti, due libri che condividono la stessa intima scorza, la stessa cruda sacralità, che riescono a scendere nella profondità della natura e in quella umana così bene da diventare dei fossili, Trilobiti appunto, per il beneficio dei posteri.
Questo breve articolo altro non vuole essere che un invito alla lettura e alla rilettura di uno scrittore misconosciuto, Eros Penni, i cui manoscritti inediti sono conservati nella Biblioteca Comunale di Massa Marittima, e un attestato di stima alla sua opera naturalmente.

Alessandro Angeli