19 marzo 2011

Il Fondo chiude


Qui o si rifà l'Italia o si muore. Viva l'italia nella notte triste, viva l'Italia, l'Italia che resiste !
Ma intanto il Fondo chiude...

Abbiamo toccato il fondo ? Chissà...Può essere che nelle grandi disgrazie il nostro Paese si riscuota d'improvviso e si rialzi dalla polvere e dalla vergogna. Che un nuovo Risorgimento rimetta in discussione il miserabile stato di cose presente. Un pò come sta accadendo nel mondo arabo, anche se, prima fondamentale differenza, l'età media di quei paesi è 22 anni contro i 44 nostri. Ce li vedete milioni di padri e madri di famiglia occupare a oltranza Piazza Duomo a Milano e S.Giovanni a Roma? Bello, ma improbabile. Insomma, l'Italia ha bisogno davvero di tanti auguri e di uno tsunami delle coscienze. Che peggio di così... anche se mio nonno diceva che al peggio non c'è mai fine....( non moriremo democristiani, ricordate? Democristiani no, berlusconiani forse, e non mi sembra un passo avanti)
Intanto chiudiamo, dopo 10 anni gloriosi belli e incasinati, Il Fondo, inteso come l'Associazione ( ex FondoBoccardi). E' già un miracolo esser durati tanto, aver avuto premi prestigiosi dalla Regione, e denunce, incomprensioni, invidie, ostacoli a iosa proprio a casa, da chi avrebbe dovuto esser contento di darci una mano.Anche da chi ci ha sostenuto editorialmente fino a pochi anni fa, e poi sciaguratamente decise di portare Bianciardi dai nazifascisti di casapound. (Tra parentesi non ci riuscì, tale fu la protesta della sua stessa casa editrice). No, coi fascisti mai, chi ci va si qualifica per quel che è, ci spiace tantissimo per Marcello. In ogni caso son state tante e belle le iniziative, i libri, gli incontri, gli abbracci e i sorrisi. Ricordo per tutti, Luciana Bellini,Emiliano Gucci,David Fiesoli,Alberto Prunetti, Antonello Ricci, Alessandro Tozzi,Manuela Ardingo, Alessandro Angeli,Annalisa Ferrari,oltre che l'uscita (almeno parziale) dall'oblio di Daniele Boccardi ed Eros Penni. L'impegno e l'entusiasmo di Michele, Dario, Sabrina. E tanti, tanti altri.
Rimasto praticamente solo per i casi e il precariato della vita, non mi era più possibile continuare.
Con Fotografi Contro proseguo corsi, incontri e iniziative varie al Centro di Culture Contemporanee Corte dei Miracoli ex O.P. di Siena. In questo senso l'iniziativa del 28 gennaio, "Alla Ricerca del '68 perduto", è stata l'ultima del Fondo e la prima di altre e in altri orizzonti.
Non sono su FB o Twitter o siti vari. Non me ne sono ancora andato via dall'Italia, anche se spero di poterlo fare presto. Ma ho comunque e mail e telefono e sono sempre felice di sentirvi o vedervi tutti di persona.
Un abbraccio forte a tutti/e.
Stefano

Veniam dalla Maremma, avvezzi alla malaria, nel nostro cuore risuona, musica proletaria.....
Nostra patria è il mondo intero, nostra legge la libertà, ed un pensiero ribelle in cuor ci stà....

Potranno tagliare tutti i fiori / ma non riusciranno a fermare la Primavera

22 gennaio 2011

Alla ricerca del '68 perduto

28 gennaio 2011 - ore 17
Le Clarisse - Piazza XXIV Maggio - Massa Marittima
Un racconto per immagini
a cura di Stefano Pacini

...E così il Natale è diventato nient’altro che un formidabile incremento alle vendite. Il capitalismo accumula la ricchezza immensa estorta giorno per giorno al lavoro sfruttato per mascherarsi da papà Natale pronto ad elargirla. Così, ogni anno, a data fissa, i cuori si riempiono di bontà: chi è buono deve regalare, regalare vuol dire spendere, e spendere significa indebitarsi ed ingrassare il padrone. Il cerchio si chiude e il Natale, come tutto il resto, è servito al suo scopo: accrescere i profitti, e farci dimenticare lo sfruttamento. Perciò noi siamo contro questo Natale, ipocrita, commedia commerciale che ci vuole far sentire ricchi una volta all’anno. Contro il ricatto dei padroni, che giocano su tutto, compresi i bambini. A tre anni, grazie alla pubblicità Rai-Tv i bambini acquistano già la mentalità del consumatore idiota e pronto a desiderare tutto quello che il Mercato impone... Non c’è natale per i braccianti di Avola, per i lavoratori e gli studenti in lotta in tutta Italia. La tregua truffatrice dei padroni, Canzonissima e i discorsi di papi e presidenti non ci ingannano. La nostra festa è la lotta continua contro un mondo in cui la ricchezza viene impiegata per perpetuare la miseria e il dominio.

Il Potere Operaio Pisa 24-12-1968

Questa è la mia ultima mostra a Massa. Un progetto cacciato dalla porta tempo fa, e rientrato dalla finestra grazie all'interessamento dell'Università della libera età. E' anche un modo per mettere un punto fermo, andare avanti, andare via da questo disgraziato paese senza onore, dignità,coscienza. Non era questo il paese che avremmo voluto per i nostri figli. Ero giovanissimo, ma ricordo bene l'aria nuova di grandi cambiamenti persino nella nostra provincia profonda. Mia sorella, la prima da sempre in famiglia, frequentava l'Università, e da lì riportava l'esplosione del vecchio mondo secolare, la nuova musica, la contestazione e la ripresa della parola.IL '68 è stato, al termine di quel gomitolo rosso della storia che si dipana dalla Rivoluzione francese, l'ultimo grande moto collettivo e planetario egualitario. Ci si batteva per la libertà, felicità e giustizia per tutti. Per l'emancipazione e liberazione dei popoli. Per la fine dell'oppressione dell'uomo sull'uomo. Per la fine della famiglia patriarcale e maschilista. Per allargare l'area della coscienza, mentre il rock segnava un fossato incolmabile tra il prima e il dopo. Qualcuno ha detto che abbiamo scambiato un tramonto per l'alba. Probabile, in ogni caso i colori erano bellissimi.
C'è un prima e dopo durante il decennio '68-77 della grande rivolta in Italia. Segnato dal 12 dicembre 1969. Dopo la strage di Piazza Fontana,la prima di una lunga serie ,l'assassinio di Giuseppe Pinelli, il primo di una lunga serie senza giustizia, l'atmosfera cambia, le speranze declinano, la lotta politica si fa cattiva e senza pietà, molti già si avviano per la strada suicida della lotta armata. Sono diverse le espressioni anche nelle fotografie. Una generazione intera comunque lotterà per tutti gli anni '70, poi si affermeranno le teorie neoliberiste, l'individualismo e le culture televisive dell'apparire ad ogni costo. L'Italia perde l'occasione di diventare un paese adulto, normale, migliore.
Questa mostra è quindi, non solo dalla parte dei ribelli di allora, ma anche da quella dei cosiddetti cattivi, dei maledetti, dei disconosciuti. Almeno questo frammento di memoria, spero gli possa rendere giustizia. Sperando, oggi come allora: non è che l'inizio, continuiamo la lotta. Dedicato ai ragazzi di Valle Giulia del febbraio '68 e a quelli di Piazza del Popolo del 14 dicembre 2010.
Il '68 è morto, sempre viva il '68 !

18 dicembre 2010

Il 14 Dicembre, Travaglio, Saviano, e avvoltoi vari

Travaglio e Saviano sono due persone perbene e perbeniste di destra, non è una novità, nè uno scandalo, in fin dei conti aspirano a prendere il posto di questa destra estrema al potere , bigotta, razzista , mafiosa ; impresentabile insomma. Problema grande è quello di una opposizione parlamentare inesistente, legata al carro sventurato di Fini e Casini (e pure Rutelli, e anche il mafioso-buono Lombardo, tò! ) con i risultati appena visti, o che spera nella manna dal cielo ( i giudici o un meteorite impazzito ) per levarsi di torno il gran puttaniere dello scacchiere televisivo. Ma c'è una nota positiva: il popolo, visto che in giro non ci sono tanti miliardari da sposare o brioches da mangiare, sta cominciando ad arrabbiarsi sul serio, e si sa, un popolo affamato fa la rivoluzion ( Marx? no , Rita Pavone) . Il 14 dicembre è stata la Valle Giulia del precariato sociale e diffuso, l'inizio di una rivolta autorganizzata. Speriamo che sia solo l'inizio. Come sempre, abbiamo solo le nostre catene da perdere e un mondo nuovo da guadagnare!WMarx W Bakunin W Julian Assange !
Stefano

Il Telepredicatore

Valerio Evangelisti per Infoaut

Roberto Saviano ha scritto, nella sua unica opera narrativa, verità innegabili sulla camorra e sull'intreccio tra affari e malavita. Gliene siamo tutti grati. Ha però interpretato la gratitudine collettiva come un'autorizzazione a predicare sempre e comunque, anche su temi di cui sa poco o niente.Ecco che, su "Repubblica" del 16 dicembre, rivolge una "Lettera ai giovani" firmata da lui e, curiosamente, dall'agenzia che tutela i suoi diritti letterari. E' un'invettiva, a tratti carica di odio, contro i "cinquanta o cento imbecilli" che martedì scorso si sono scontrati a Roma con le forze dell'ordine che bloccavano il centro cittadino. La lettera appare il giorno stesso in cui un gruppo di manifestanti è processato per direttissima. Preferisco pensare che sia un caso, anche se tanta tempestività potrebbe sembrare sospetta. Non dimentico che, solo pochi giorni dopo l'attacco a Gaza e il suo migliaio di morti, Saviano era in Israele a tessere l'elogio di quel paese intento a difendersi dai "terroristi", analoghi ai camorristi che minacciano lui.Ma lasciamo correre, e lasciamo correre anche la connessione tra nazionalismo basco e traffico di droga, che lo stesso governo spagnolo dovette smentire. Veniamo agli scontri di Roma. E' proprio sicuro, Saviano, che i dimostrati fossero cinquanta o cento? Per di più vigliacchi, piagnucolosi, descrivibili come "autonomi" o "black bloc" intenti a imporre la loro violenza - che a suo dire li diverte - alla folla passiva e terrorizzata del corteo? Oltre a parlare in tv, dovrebbe ogni tanto guardarne le immagini. In questo caso avrebbe notato una folla ben più numerosa, e una manifestazione tutt'altro che pronta a sbandarsi in preda alla paura. Così come avrebbe rilevato, nei giorni precedenti, episodi del tutto analoghi a Parigi, ad Atene, a Londra e un po' in tutta Europa. "Autonomi" e "black bloc" anche laggiù?Ciò porterà, dice Saviano, a una limitazione degli spazi di libertà. Non considera che la libertà era già stata circoscritta, con cordoni tesi a proteggere i palazzi del potere da chi quel potere contesta. I dimostranti avevano annunciato che non si sarebbero lasciati imporre alcuna "zona rossa". Così è stato, nel preciso momento in cui si veniva a sapere che un governo discreditato aveva ottenuto la fiducia per pochi voti, grazie a espedienti inconfessabili. Una presa in giro per giovani che non scorgono alcun futuro, e vivono sulla loro pelle le conseguenze umilianti di pseudo-riforme modellate sulle esigenze dei privilegiati.La reazione è stata di rabbia. Come poteva non esserlo? Solo chi vive fuori dal mondo potrebbe attribuirla all'azione di "cinquanta o cento" imbecilli innamorati della violenza.Saviano, è noto, deve muoversi sotto scorta. Prima di lanciarsi in ulteriori predicozzi farebbe meglio a chiedersi se non si stia amalgamando alla scorta stessa, facendone propria la visione del mondo. Al punto da denigrare chi già subisce umiliazioni quotidiane, e di dire a chi detiene il potere ciò che ama sentir dire. Con tanto di menzione dell'agenzia letteraria, a tutela del copyright.

11 dicembre 2010

Mi fo prete

Perchè andare contro la propria, vera, natura?Molte volte mi è capitato di essere scambiato per un prete, per l'aria, l'abbigliamento, il modo di discorrere. Delle volte, persino all'Ortensia, mi hanno detto di non fare il prete. E allora basta, lo farò, almeno mi romperete le palle a ragion veduta. Tania( amica, ex barista dell'Ortensia) si è sposata con Willy in USA. A luglio vuole ripetere il rito per gli amici italiani in una oliveta del Chianti, e, saputo, che il sindaco può delegare consigliere comunale o persona che abbia i diritti politici e civili a sostituirlo, ha deciso che sarò io ad officiare. Così, dopo il Testimone ad Alberto, eccomi officiante matrimonio per Tania. Perchè precludersi una carriera a questo punto? Voglio esser ordinato diacono per celebrare anche i matrimoni religiosi, e poi, su , su, non poniamo limiti alla provvidenza. Del resto Benedetto x vi è vecchio assai....Stefano I fu Papa, tedesco, più di mille anni fa...Che ne dite?
Pax Vobiscum
Stefano II

18 ottobre 2010

Una Storia Argentina

Argentinazo : Facón Grande a Francoforte
di Osvaldo Bayer

[Una volta tanto mi ritrovo a proporre per la rubrica Argentinazo un articolo animato da uno spirito idealista, alla maniera della pubblicistica anarchica di un tempo. Pubblicato pochi giorni fa sul quotidiano argentino Pagina/12 e riadattato dal redattore di Carmilla, è una memoria dalla Fiera del libro di Francoforte firmata dallo scrittore Osvaldo Bayer] Alberto Prunetti.

Cammino per questa fiera del libro definita con orgoglio “la più grande al mondo”. Un merito, senza dubbio.
Libri, libri, libri. Dico a me stesso: ecco cosa trovo nel paese che forse è stato il più grande esportatore di armi del pianeta.
Un tempo il mauser e la croce di ferro erano i simboli della virilità nobile. E ora i libri, con personaggi e fantasie che spuntano dalle copertine e ci invitano ad aprirli.
Librai che parlano ad alta voce, bibliotecari che catalogano lettera dopo lettera. Scrittori che sorridono in paradiso, personaggi di fantasia che spuntano da ogni angolo in questo aeroporto delle illusioni.
Illusioni. D'un tratto mi danno dei colpi sulla spalla. È l'editore tedesco Dieter Schmidt. Senza proferire una sola parola, mi mette un libro in mano con un gesto quasi religioso. Guardo la copertina: il gaucho Facón Grande. Il patagonico.
Non ci posso credere. Facón Grande alla Fiera del libro di Francoforte. La storia ha fatto giustizia. Il gaucho fucilato dall'esercito argentino per aver chiesto un po' di dignità per i lavoratori patagonici in quel tetro 1921 del presidente Hipólito Yrigoyen.
L'editore Dieter Schmidt mi consegna l'edizione tedesca della Patagonia rebelde. La accarezzo. Otto anni di esilio: ecco quanto mi è costato pubblicarla nel mio paese, l'Argentina. E adesso l'hanno pubblicata nel paese in cui ho trascorso il mio esilio. Il destino. I paradossi umani. Sono felice soprattutto per Wilckens. Kurt Gustav Wilckens, l'anarchico tedesco che rese giustizia a tanti contadini fucilati. Quella mattina di gennaio del 1923, quando era in attesa nella calle Fitz Roy, di fronte alla caserma del 1° corpo di Fanteria, nel quartiere portegno di Palermo. Quando l'orgoglioso Tenente Colonnello Varela uscì dalla propria abitazione con gli stivali lucidi. Faccia a faccia. E gli lanciò contro il messaggio del vendicatore. L'esplosione dell'ira del popolo. La bomba libertaria. L'esplosione svegliò Buenos Aires. Per Wilckens, gli anarchici dei quartieri operai quel giorno cantarono “Figli del popolo”. Il tedesco non andava di fretta. Al fucilatore in uniforme, lo centrò con sei pallottole. Quei proiettili con cui aveva fucilato centinaia di peones patagonici adesso tornavano indietro e saldavano il conto al fucilatore. Niente rimane impunito.
Wilckens fu assassinato in carcere da un mercenario. Ricordo quando ormai più di trent'anni fa arrivai fino alla città tedesca di Bad Bramstedt, il posto in cui era nato Wilckens e dove trovai la sua casa paterna. Mi accolse un suo nipote, che mi salutò come se mi avesse aspettato tutta la vita. Aveva sempre fatto ricerche sul destino di Kurt Gustav Wilckens e ora arrivava uno sconosciuto da un paese tanto lontano come l'Argentina per portargli notizie di suo zio. Gli dissi che Kurt Gustav era morto assassinato in un carcere e gli raccontai della sua missione di vendicatore di 1500 operai patagonici fucilati senza processo dall'esercito argentino. Ricordo la sua emozione. All'inizio pensava che fossi venuto a raccontargli fantasie argentine ma dopo, di fronte ai dati che continuavo a mettergli di fronte, si rese conto che quella era la verità. Aprì per me i cassetti di un vecchio scrittoio. C'erano le foto di famiglia dell'infanzia e dell'adolescenza del vendicatore, carte e lettere.
Nella Fiera del libro di Francoforte cammino tra lunghi corridoi tra migliaia di libri esposti. Prometto a me stesso di andare a portare una copia della Patagonia rebelde di questa edizione tedesca alla biblioteca della città natale di Wilckens. Chissà che in futuro qualche sindacato di questa città chiami la propria sede col nome di Kurt Gustav Wilckens, che offrì la sua vita per vendicare tanti lavoratori.
Penso anche a quei due scioperanti patagonici insorti, “il tedesco” Otto, di cui non ho mai scoperto il nome, e Pablo Schulz, lui stesso di origine tedesca. Il “tedesco” Otto – così lo chiamavano i suoi compagni – prima di morire urlò contro il capitano fucilatore Viñas Ibarra: “Non si ammazza così un uomo. Neanche nella Guerra in Europa ammazzavano i prigionieri disarmati”. E prima di morire disse a Walter Knoll, un altro tedesco: “Salutami la vecchia patria”.
Penso a loro, alle loro vite raccontate in lingua tedesca, in questa edizione. Forse qualcuno scoprirà le loro storie e troverà il coraggio di visitare la Patagonia e mettere un fiore nelle fosse comuni, ormai identificate.
Se ne andarono a morire lontano, ingiustamente. Per avere chiesto solo un poco più di dignità.
Ho anche avuto la soddisfazione che il film Awka Liwen (Alba ribelle), sul genocidio commesso da Roca contro i nostri popoli originari, fosse proiettato nel corso della Fiera del libro di Francoforte. Vedere nello schermo il volto dei figli della terra. Narrare la tragedia dei genocidi commessi nelle pampas dagli ufficiali argentini Rauch, Rosas e Roca. La deportazione di questi popoli dalle loro terre ancestrali e la loro ostinazione a vivere nonostante tutto, con la loro musica quasi silenziosa, con gli echi dei loro orizzonti lontani, col lavoro delle loro mani e la tristezza per un passato mai dimenticato. Prima gli spagnoli con la loro cupidigia. Poi gli argentini con le loro uniformi. Alla fine del film c'è stato un applauso serrato, seguito da un profondo silenzio. Emozione. E un senso di colpa europeo. Per i propri antenati colonialisti.
Il pubblico europeo ha preso coscienza. Le domande si succedono. “Com'è potuto succedere?” Sì, la cupidigia. La Sociedad Rural Argentina finanziò una parte della spedizione di Julio Asesino Roca, pardon, Julio Argentino. Furono poi assegnati 2500000 ettari di terra indigena al presidente di quei giorni della Sociedad Rural, Martínez de Hoz. Come? Sì, li scrivo in lettere: due milioni e cinquecentomila ettari. Martínez de Hoz, il bisnonno. Nome conosciuto, no? ( Martínez de Hoz, nipote dell'omonimo presidente della Rural, era il ministro dell'economia del dittatore Videla, ndt).
Claro, ci sono stati anche europei che hanno fatto cose buone nel nostro paese. Mi è piaciuto molto l'omaggio reso durante la Fiera all'editore Peuser. Ricordate la Guida Peuser? E la casa editrice Peuser? Forse la casa editrice argentina più famosa del secolo scorso. Peuser era un tedesco che emigrò in Argentina, un innovatore della tecnica editoriale che importava le macchine tipografiche più moderne. Pubblicò la letteratura gauchesca e la sua edizione del Fausto di Estanislao del Campo ha battuto tutti i record di vendita. Arrivato in Argentina a 14 anni, figlio di un umile calzolaio, divenne uno dei più grandi editori del paese e in aggiunta, animato da istanze sociali, fondò nella sua azienda il primo fondo per l'assistenza medica per i suoi operai e impiegati. Un omaggio meritato. La sua bisnipote, presente all'atto, ha versato lacrime di riconoscenza. Un fabbricante di libri, non di armi, Don Peuser.

[La Patagonia rebelde, libro un tempo bruciato nelle piazze e oggi adottato nelle scuole della Patagonia, è stato pubblicato anche in italiano da Elèuthera] A.P.

26 agosto 2010

Daniele Boccardi, il poeta doloroso che si è negato il grande salto

Una sorpresa molto gradita ci ha colti domenica 22 agosto. Due pagine di Repubblica per Daniele Boccardi, per la rubrica settimanale sugli scrittori dimenticati, scomparsi. L'articolo dello scrittore fiorentino Filippo Bologna contiene alcune imprecisioni ( la più grave è quella che fa nascere Daniele a Massa, invece che Grosseto , città sempre importante nella sua breve vita ) e anche omissioni, come quella di parlare della grave questione della tesi, e poi tacere il nome, ampiamente noto, pubblicato anche in "Vite Minime", di Marcello Pera, "testa pensante" di forzaitalia ed ex presidente del senato ( nonchè relatore ad un anno dalla scomparsa di Daniele alla commemorazione che si tenne alla sala consiliare di Massa ....). Però poi il pezzo ha molti meriti, e , proprio per questo, credo che non piacerà a molti nostri concittadini, che della piccola Siena, le mura ed il silenzio hanno fatto ragione di vita.
Infine, di passaggio, vorrei sottolineare che a quasi due anni dal deposito di una petizione firmata da 97 cittadini, nessuna risposta è venuta dal comune sulla proposta di intitolare una strada a Daniele Boccardi e Sebastiano Leone.

Daniele Boccardi il poeta doloroso che si è negato il grande salto

Repubblica — 22 agosto 2010 pagina 1 sezione: FIRENZE

DICI Massa Marittima e già qualcosa non torna. Perché a Massa Marittima, il mare non c' è. Terrestre e marina, piantata in terra ma affacciata sul mare, Massa è una piccola Siena che ha imparato a nuotare ma non ha avuto il coraggio di tuffarsi. Né di ritrarsi, come quei tuffatori saliti troppo in alto che poi si bloccano per la paura e rimangono lì, come statuette di presepe. Nascere in una città che non se l' è sentita di affrontare il mare aperto ma non ha smesso di sognarlo, sono cose che influiscono sui caratteri, soprattutto su quelli dei poeti e dei filosofi. I filosofi sono quelli che vorrebbero buttarsi ma hanno paura delle onde, e allora rimangono tutti vestiti sulla spiaggia, a guardare l' orizzonte mentre gli altri fanno il bagno. I poeti invece sono quelli che vanno sott' acqua, che trattengono il fiato, e il pensiero, più a lungo di tutti, per pescare le perlee poi regalarlea noi. Daniele Boccardi era un poeta, era un filosofo, era di Massa Marittima. Era perché non è. Non più. Un giorno ha deciso che ne aveva abbastanza. A volte per i poeti e i filosofi è più facile morire perché è più difficile vivere. Il guaio è che della propria morte possono parlare solo gli altri, la morte rende impossibile ogni obiettività, si è santi o dannati, non c' è scampo. sta bene, c' è tutto. E non c' è niente. Te ne accorgi poco a poco. Quando al mattino sfogli il giornalee trovi scritto che tutto va bene, quando la sera tiri giù la saracinesca della bottega e d' un tratto senti una fitta alla schiena e ti chiedi quante volte hai fatto quel gesto, quando ti specchi nelle vetrine del corso e vedi un signore che ti guarda, quando ti stringi nel cappotto mentre attraversi il corso deserto spazzato dal vento. Quando la gravità della vita ti ha risucchiato per sempre nel suo lentissimo gorgo e ti sorprendi a maledire i sogni, e gli anni, invecchiati ai tavolini dei bar, morti di freddo sul sagrato del duomo. Troppo tardi, te ne accorgi troppo tardi. Troppo presto, Daniele Boccardi se n' è accorto troppo presto. Ma che farà quel figliolo tutti i giorni chiuso in camera sua a pestare sui tasti della macchina da scrivere? Si allena Daniele: la scrittura è l' atletica dell' anima, è l' asta del pensiero per scavalcare il fosso e lanciarsi di là dal muro. Daniele l' ha capito, e si allena tutti i giorni per il grande salto. Poi arriva la paura di non farcela, la rassegnazione, il ritiro. Quelle mura che ci hanno lasciato i nostri avi e cingono le nostre rassicuranti cittadine toscane, oramai, non servono più. I nemici più insidiosi non sono alle porte, ma in cantina. E c' è aria di cantina negli scritti di Daniele, lui è il primo a respirarla: "Tutto ciò che scrivo ha odore di chiuso, di aria viziata", appunta tra le carte. Bisognava aprire, far prendere aria, ma le finestre erano pesanti, nemmeno fossero inchiodate. Un ragazzo tranquillo Daniele, studi liceali, poi l' unipoi viventi o non viventi ( morenti mai), giusto per non dire vivi o morti, sembra la voce di uno stato di famiglia richiesto dall' anagrafe letterariao una placca dorata da affiggere sul portone per scacciarei fantasmi. Forse perché dei morti abbiamo sempre paura, che tornino a trovarci e ci dicano quel che pensano davvero, di noi. Daniele Boccardi era cresciuto in provincia. Altro che la provincia "aperta ai venti e ai forestieri" vagheggiata da quel anarco-sentimentale di Bianciardi. Tutt' altra provincia, turrita e fortificata, chiusa in sé, trincerata nei riti e nelle abitudini: il bar, la chiesa col campanile, le botteghe, lo struscio serale, sembra quasi un plastico, un mondo in miniatura. Perché andarsene, ti sussurra, qui si versità, filosofiaa Pisa. Da una provincia all' altra, Pisa non sarà Parigi, d' accordo, ma dalla Maremma amara ai lungarni dorati è già qualcosa. Poi saltano fuori problemi con la tesi, una divergenza col relatore che s' impunta sul titolo: Per una filosofia della scienza sperimentale, c' è quel per che non va bene. O così, o niente. Allora niente. Daniele non cede, la tesi resta nel cassetto. Alla fine minaccia di cambiare ateneo, la controversia si sblocca, e la tesi ottiene finalmente il placet del barone. Segue laurea, e omerico ritorno a Massa, è tempo di cercar lavoro. Ma il lavoro nel frattempo si è estinto, non esiste più, si trovano lavoretti interinali, necroforo per qualche mese, pulizie nei bagni pubblici, ripetizioni di italiano agli stranieri nei campeggi, cose così. Daniele si adegua, come ci insegnano i genitori il lavoro non è mai umiliante, umiliante semmai è non averlo. Bussare alle porte che non si aprono, le giornate passano e nemmeno te ne accorgi. Daniele si chiude sempre più, l' ultima estate nessuna vacanza, nessuna mèta da raggiungere. Rimane al guado, nella palude del tempo che non passa, quella dove non si affonda né si sta a galla, quella che nessuna bonifica del Granduca Leopoldo potrà mai prosciugare. Poi decide di attraversarla da solo, la palude. E raggiungere l' altra sponda. Lascia dietro di sé una scia di fogli. Sono tanti e sparsi. Quello che si inceppa sulla lingua in pubblico, esce dal rullo della macchina da scrivere in privato. A volte va così. La scrittura diventa un avvocato e un confessore cui affidare le nostre volontà, i nostri segreti: saprà custodirli senza tradirci? Vite minime, scritti diseducativi, si intitola così la miscellanea di scritti uscita postuma, nel 2003, per i tipi di Stampa Alternativa. Si tratta per lo più di racconti brevi, ma anche aforismi, poesie, frammenti, alcune fiabe. I materiali sono eterogenei e non datati (forse non era possibile farlo), difficile discernere, a volte si intuisce una maturità diversa da scritto a scritto. La curatela del libro manca un po' di lucidità: due prefazioni, una postfazione, come se ognuno avesse sentito il bisogno di aggiungere qualcosa, di raccontare il suo Daniele. Ma la ferita è ancora aperta, è più che comprensibile, quelle sono ferite che non si chiudono. Alla fine quel che conta è il libro, e non quello che sta intorno. Vite minimeè un libro doloroso, improvviso, sorprendente. Come lo è la scrittura di Daniele Boccardi, che riesce a uscire dalle situazioni difficili con l' intelligenza combinatoria di uno scacchista. Dio si divertea giocare con gli uomini sulla grande scacchiera della vita. Ma, a volte, ecco l' illuminazione, l' intuizione vincente, una sola mossa, e una posizione disperata si rovescia in scacco matto. Bianco e nero, Boccardi riesce a capovolgere il sadico gioco dell' esistenza mostrandone il negativo, basta girare la scacchierae mettersi nei panni dell' avversario. " 50 Kili Tanto poco/mi desidera/ il centro della terra", eccola qua la combinazione inaspettata, tre righe e la gravità si tramuta all' improvviso in desiderio di essere amati. Che poi in fondo è il grande motore della scrittura di Daniele, di tutti: disperata, irritante, commovente, bastarda ricerca di amore. Che si può cercare ovunque: tra i seni caldi di un' appassita professoressa di provincia, nelle timidezza di un venditore porta a porta, nel faccia a faccia tra una "nave-scuola" e le madri preoccupate dei suoi "allievi", persino andandoa rimestare nella merda si possono trovare tracce di amore, come nel racconto La ricerca, dove l' escatologia si azzoppa di una lettera e si fa scatologia. Cercare l' amore è la nostra missione, trovarlo la nostra speranza. Crescere in una piccola comunità con la certezza di essere uguali e la consapevolezza di essere diversi, magari più sensibili, superare la vergogna della propria intelligenza, coltivare la tiepida illusione di essere riconosciuti, persino rispettati. Carezzati mai, la provincia è una madre ingrata che preferirebbe abortire piuttosto che essere tenera con uno dei suoi figli. Questo è vivere una vita minima. Ma una vita minima non è per forza una vita agra. Pare forzato l' accostamento in quarta di copertina con Bianciardi, conterranei non vuol dire fratelli, come forzato sarebbe il parallelo con Michelstaedter, morire giovani e filosofi non basta per esser compagni. Daniele Boccardi non ha compagni, si allenava in solitaria, per migliorarsi, per spostare sempre più in alto l' asticella del dubbio, per farsi trovare pronto al momento del grande salto. Quello che ancora, non ci è dato fare.
- FILIPPO BOLOGNA

01 luglio 2010

Un abbraccio a tutti/e gli ortensisti

Carssimi ortensisti/e, lavoratori e frequentatori ,mi vengono in mente tanti volti, tante situazioni, vissute in questi ultimi quattro anni, adesso che è giunto il momento di cambiare orizzonte. Qui per me non è più possibile rimanere, spero di darvi appuntamento il prossimo anno a "el Pantaneto " a Malaga. Vi ringrazio di cuore per le battaglie che mi avete aiutato a combattere contro ordinanze della questura e maldicenze di ignoranti e fascisti. Vi ringrazio perchè mi avete arricchito ( non in dinero, sfigati sempre al verde !) di storie, sorrisi, passioni, ribellioni, vita, tanta, vera. Il che, in questa italietta sempre più meschina, mafiosa, bigotta e razzista, specchio di una dittatura light molto popolare anche a Siena, è davvero tanto. Vi lascio in buone mani, cercate di essere solidali con Vittorio e Claudio, meritano tutto il vostro aiuto visto che si adoperano a far R/esistere l'Ortensia. Non riuscirò a sdebitarmi facilmente con chi mi ha ospitato, sfamato e sostenuto in tutti questi anni da fotografo e poi barista. Due nomi per tutti; Sandro e Patrizia.Vi abbraccio forte tutti/e, mi mancherete tanto, ma vi porto tutti con me. Nostra patria è il mondo intero, nostra legge la libertà, ed un pensiero ribelle in cuor ci sta....Se la rivoluzione è un fiore che non muore, viva l'Ortensia!
Stefano