25 febbraio 2007

La famiglia patchwork

A grande richiesta....

In Italia sono quasi tre milioni le persone che vivono così Situazioni non sempre facili, spesso a causa degli "ex"
Ecco la famiglia patchworkcon due mamma e due papà
dal nostro inviato CONCITA DE GREGORIO

MASSA MARITTIMA - Questo è un Paese di tesori dell'arte, uno è l'albero della fecondità: un affresco del 1265 che raffigura un albero da cui pendono come enormi frutti decine di falli davvero realistici. Ai piedi della pianta una folla di donne sta in attesa che cadano, due di loro si accapigliano contendendosene uno. Di fronte al dipinto medievale, a sei metri scarsi di distanza, ce n'è un altro contemporaneo in cui il vescovo di allora, monsignor Comastri, si è fatto ritrarre a tutta figura in una scena di devozion e religiosa a San Bernardino. Quando il primo dipinto - dai toscani ribattezzato "l'albero dei piselli" - è stato restaurato, qualche anno fa, la Curia ha avuto da ridire che tanto interesse per un'opera così bizzarra pareva esagerato. Oggi è di nuovo coperta da assi di legno: un nuovo restauro, dicono. Dieci metri più su vivono Antonella Cocolli e Giampaolo Sfondrini, genitori di quattro figli: due di lei, due di lui. Quando sono andati in Comune a chiedere notizie di un eventuale registro delle unioni civili, altre città toscane lo hanno fatto, si sono sentiti rispondere: per carità di dio, questa città è sede vescovile. "Ho scritto alla Bindi per rallegrarmi, capisco il suo travaglio e ammiro la sua sensibilità. Se davvero faranno i Dico i primi a registrarci saremo noi: ci spetta, sono sedici anni che aspettiamo. All'inizio è stata durissima. Sa, il paese è piccolo, la gente mormora". Antonella e Giampaolo, 53 anni, sono una "famiglia ricomposta". Vite fragili, il rapporto Caritas e fondazione Zancan sull'esclusione sociale in Italia, dedica un intero capito del rapporto 2006 - dunque il più aggiornato, i dati Istat sono fermi al 2005 - alla condizione dei bambini nelle "famiglie ricostituite": quelle "particolari situazioni che comprendono figli nati da una prima unione, i nuovi partner, i loro figli eventuali, la rete parentale di entrambi". Pezzi di famiglie diverse, patchwork, che ora formano una nuova famiglia.
In Italia, dice la Caritas, vive così quasi tre milioni di persone. Ai figli di uno o dell'altro, o di entrambi, si aggiungono spesso i nuovi figli della coppia con difficoltà non sempre banali di integrazione, di equanimità da parte degli adulti, di senso di esclusione o di precarietà dei bambini. Vite fragili si sofferma a lungo sul concetto di "resilienza", una brutta parola per una bellissima nozione che indica il processo che permette alle persone di adattarsi a condizioni di vita sfavorevoli. Alcuni, più di tutti i bambini, manifestano una resilienza sorprendente. Antonella, che non conosce la parola, dice "i nostri figli hanno sofferto della rottura delle unioni dei loro genitori ma si sono abituati e alla fine, penso, sono diventate persone più ricche, più elestiche, più tolleranti e più capaci di adattarsi di tante altre". In queste vicende di vita spesso il conflitto con la famiglia di origine è devastante: anziani genitori che non rivolgono più parola ai figli, ex coniugi che conducono battaglie decennali in nome di un affronto subito e imperdonabile, guerra sui figli, carabinieri a casa e carte da bollo. La nuova unione deve avere una forza formidabile per resistere all'urto: Everyman, il nuovo romanzo di Philip Roth, racconta anche questo. Quando la realtà entra nei romanzi è segno che tutti sappiamo di cosa stiamo parlando. La storia di Antonella e Giampaolo è esemplare e consolatoria. Hanno fatto sedici anni fa in un paese di seimila anime quello di cui in Parlamento si discute se sia legittimo fare oggi. E' una storia che mette di buon umore perché pensi che anche quando è andata male alla fine può sempre andare meglio: e anche che quando è scritto è scritto, non si scappa. "Siamo stati ragazzi negli anni Settanta", sono quella generazione lì. Lei in paese, figlia di un partigiano della terza brigata Garibaldi, Dino. Lui a Milano in via De Amicis, quella della foto del ragazzo con la p38, figlio di un operaio. Si sono conosciuti a 22 anni, "lui veniva in vacanza qui in campagna, si andava la sera con la chitarra a fare i falò al lago dell'Accesa". Si sono sposati nel 1980, insieme ma con persone diverse: lui con una milanese, lei con un massetano. Hanno avuto i loro primi figli nell'82: lei Emiliano, lui Francesca. I secondogeniti sono arrivati tre anni dopo a qualche mese di distanza: lei Raffaello, lui Vasco. I loro matrimoni sono entrati in crisi all'unisono alla fine del 1990. Lui si è trasferito in campagna, a Massa, coi due figli bambini. Si sono visti, finalmente. Si sono incontrati. Da sedici anni vivono insieme in una casa medievale storta poetica e grande abbastanza per i figli di tutti, i loro figli coetanei. "Si può immaginare cosa sia stato all'inizio, in un piccolo centro come questo: uno scandalo. In strada abbassavano lo sguardo, sentivo i discorsi: chissà quanto dura. Invece eccoci, i ragazzi sono grandi e sono persone serene: due laureati, uno al lavoro, il piccolo all'università. Si vogliono bene e si aiutano. Ci siamo inventati il cenone della vigilia, che in Toscana non si usa, per fare sempre il Natale insieme. Perché certo loro hanno anche gli altri genitori, ci mancherebbe. Guardi cosa ha scritto Francesca nei ringraziamenti della sua tesi: "a tutti i miei genitori". Tutti, capisce?". La resilienza, appunto. Antonella lavora in una coop che ha contribuito a fondare, è bionda e felicemente rotonda, porta orecchini di perla e capelli da maschio, tiene appesa in corridoio una foto di Norma Parenti eroina partigiana. Lui fa il falegname, ha i baffi folti e gli occhi verdi, parla ancora milanese, ha appeso in salotto una foto di Jannacci.( scattata dall'ex di lei, fotografo) "Mi dispiace che non veda i ragazzi, sono fuori a studiare e lavorare". Emiliano, il grande, è in Inghilterra. Si è laureato a Siena con una tesi sulla violenza e il tifo nel calcio e del baseball, ora studia inglese e si mantiene da solo. Francesca si è laureata all'Orientale di Napoli in tibetano, è stata un anno a Parigi con l'Erasmus poi un anno in Tibet, coi nomadi in tenda. Ora abita col suo ragazzo, qui a Massa. Raffaello fa l'operaio alle acciaierie di Piombino e vive coi genitori. Vasco, che ha 20 anni, studia a Milano. Frequenta l'università coi soldi che gli ha lasciato il nonno, l'operaio milanese: una somma cospicua a entrambi i nipoti perché potessero studiare. Giampaolo sorride: "Eh già, il nonno era una persona semplice e saggia: sapeva prima di noi di cosa ci sarebbe stato bisogno". Perché poi soldi da scialare non ce ne sono mai stati: con le lire per mantenere la famiglia bastavano 3 milioni, ora servono 3000 euro che sono molti, moltissimi. Lei al museo ne guadagna 1200. Lui dipende, se c'è lavoro "ma le case da ristrutturare per gli inglesi e i tedeschi qui intorno sono finite". Antonella e il suo ex marito hanno avuto l'affidamento congiunto dei figli, hanno trovato un accordo economico senza bisogno di avvocati, spese divise a metà. L'ex moglie di Giampaolo si è trasferita a Massa nella vecchia casa colonica, si è sposata con un ragazzo vedovo padre di una bambina, hanno avuto un'altra figlia. Giampaolo: "Coi ragazzi abbiamo fatto così: un giorno tutti insieme qui da noi, tre giorni i miei e tre giorni i suoi. Ecco la settimana". La geografia dei loro rapporti di parentela è una mappa piuttosto completa di cosa siano le famiglie oggi. La mamma di lei, vedova: famiglia di una persona sola. La figlia di lui, Francesca: coppia di fatto senza figli. Il figlio Vasco, ventenne: single. L'ex moglie di lui, famiglia ricomposta con due figli, uno in comune. Loro: famiglia ricomposta con quattro figli, nessuno in comune. A Massa Marittima, paese di vescovi e di partigiani, di affreschi nemici e di fecondità.

Repubblica (23 febbraio 2007)

20 febbraio 2007

24 febbraio - Giornata della scrittura

Massa Marittima (GR)
Sabato 24 febbraio 2007, ore 17.00
Museo Archeologico, Piazza Garibaldi

In collaborazione con il Corso di Scrittura Creativa

Annalisa Ferrari

presenta

Il mio nome dimenticato Vita di Girolamo Lazzeri

Giuseppe Chiappini Editore

Interverranno l'autrice, Stefano Pacini e Antonello Ricci

La giornata che Il Fondo dedica alla scrittura continua a cena

Loc. Pianizzoli, Massa Marittima (GR)
Sabato 24 febbraio 2007, ore 20.00
Agriturismo Pianizzoli

Cena-convegno

Perchè scrivere?


"Perché no, mi viene subito da rispondere da bastian contrario: in fondo è un’espressione dell’animo umano, e come tale non è che vada troppo giustificata.

Quasi come se uno dovesse star lì a motivare perché ammiri un tramonto, vada a camminare nei prati, ami, o faccia una carezza ad un bambino: cosa vuoi spiegare? Semmai si dovrebbe spiegare il contrario…"

Alessandro Tozzi

Interverranno, di persona e non, alcuni amici del Fondo, tra cui Luciana Bellini, Alessandro Angeli, Alberto Prunetti, Alessandro Tozzi, Annalisa Ferrari, Antonello Ricci ed Emiliano Gucci

Info e prenotazioni: Stefano 338 8752519

19 febbraio 2007

"Ieri, 17 febbraio 1977, i carri armati sindacali dello stalinista Lama, sono stati respinti e messi in rotta dal movimento degli studenti che occupa l'università di Roma contro il governo dei sacrifici Andreotti-Berlinguer, che si è subito vendicato nel pomeriggio mandando i carri armati ed i blindati di Kossiga... giorni che valgono anni, giorni troppo corti da vivere... " Cominciava così 30 anni fa un volantino ed un manifesto che affiggemmo a Massa... oggi, 17 febbraio 2007 salutiamo il ritorno in quella stessa università (che per l'occasione ha sprangato il portone, poco male, l'assemblea si è svolta sulla scalinata) del compagno Oreste Scalzone, dopo 25 anni di esilio a Parigi. Ci uniamo a lui nella campagna per l'ammistia di tutti i compagni e ribelli ancora o di nuovo detenuti. Liberi tutti!

13 febbraio 2007

Il fuorigioco gli stava antipatico

di Antonello Ricci

Luciano Bianciardi, Il fuorigioco mi sta antipatico – il calcio, i politici, gli intellettuali, l’Italia tra il boom e gli anni di piombo, nelle risposte ai lettori del “Guerin Sportivo”, Stampa Alternativa, Roma 2006, pp. 384, euro 16,50

Fresco di torchio per i tipi di Stampa Alternativa (dicembre 2006). Curato e prefato con intelligenza critica da Ettore Bianciardi, figlio dello scrittore maremmano. Presentato in anteprima nazionale a Grosseto mercoledì 7 febbraio con notevole successo di pubblico. Beh, che libro è questo inedito di Luciano Bianciardi, Il fuorigioco mi sta antipatico? La domanda non è di quelle oziose, se non altro perché Il fuorigioco mi sta antipatico, che raccoglie le gustosissime e provocatorie risposte di Bianciardi ai lettori del “Guerin Sportivo” tra l’estate 1970 e il novembre dell’anno successivo (quando la popolare rubrica fu interrotta per l’improvvisa quanto annunciata morte dello stesso Bianciardi), è senz’altro un libro sui generis: libro-dialogo composto a quattro mani, potremmo dire, proprio coi lettori della nota testata sportiva. Varrà la pena ricordare che a quei tempi il “Guerino” era diretto dal mitico Gianni Brera, romanziere di vaglia ancor prima che giornalista sportivo. Non mancavano certo i tormentoni sportivi del momento (soprattutto ma non soltanto calcistici): lo scudetto del Cagliari, la Nazionale di Valcareggi, la staffetta Rivera-Mazzola, la caviglia di Gigi Riva, le guide incontrastate di Giacomo Agostini, le irresistibili discese di Gustavo Thoeni ecc.ecc. Ma in filigrana anche tutte le urgenze politiche, sociali, di costume e culturali che caratterizzarono quel difficile passaggio della storia del Belpaese: dalle prime avvisaglie della fine del Miracolo al “suicidio” dell’anarchico Pinelli, dalle polemiche sulla RAI a “irresponsabilità limitata” e dal precoce fallimento della scuola di massa all’incombente referendum sul divorzio. Interpellato sull’universo e dintorni, Bianciardi non si risparmia. Va giù duro. Sempre e comunque. Non di rado con la scure. Eppure loro, i lettori (che pure sono stregati dal suo rotondo toscaneggiare, gli pendono dalle labbra, letteralmente lo adorano), non gliene perdonano una. Lo rimproverano di cerchiobottismo, gli dànno del coniglio. Da lui sembrano pretendere la parola ultima, il giudizio irrevocabile e ultimativo. La cassazione. E gli rifanno cento volte le stesse domande. Testardi e incontentabili. Insaziabili. La ridondanza di certi temi, la ricorrenza quasi ossessiva di alcuni quesiti (Motta o Gimondi: chi spedire al Tour per arrancare dietro a Merckx, l’imbattibile ragioniere della pedalata? Ma anche: chi fu più grande, Coppi o Bartali?) si spiegano facilmente col fatto che non tutti i lettori evidentemente leggevano tutte le settimane il “Guerino”. Ma Bianciardi è straordinario: non replica mai due volte la stessa risposta. Ogni bis è occasione per variare sul tema, approfondire il concetto, magari rovesciarlo fino alla palinodia. E ogni volta un’invenzione, una sorpresa, uno scherzo di stile. Sempre con garbo, disincanto e ironia. Quel che ne vien fuori è lo straordinario affresco sub specie sportiva di un’Italietta anni ’70 sospesa tra antichi stereotipi regionali e tenaci umori campanilistici (ancora vivissimi: toscani vs piemontesi, lombardi, siciliani e… maremmani!), patetici (ma genuini) richiami al Risorgimento e ai suoi protagonisti quali Padri dell’Unità e dell’Italica Identità, primi barlumi di consapevolezza su certi effetti indesiderati del benessere di massa.

Ma che cosa chiedevano i lettori del “Guerin Sportivo” a Luciano Bianciardi, caustico narratore di successo (La vita agra su tutto) quanto poetico volgarizzatore (nel senso più nobile della parola, ovviamente) del nostro Risorgimento? Definizioni. Paragoni. Paralleli. Paradossi. Ucronìe. A tutto campo. E Bianciardi macina trovate e provocazioni. I suoi lettori amano la natura fulminea (e spiazzante) delle risposte, tanto di intimargli: sii telegrafico. Stai a vedere che prima o poi mi assumono alle Poste & Telegrafi, commenta compiaciuto il grossetano. Il Cagliari dello scudetto: una squadra-capolavoro. Gigi Riva? Un mercenario longobardo al soldo dei pastori sardi. Rivera? Ricama, laddove Mazzola si limita a imbastire. Se poi abbiam voglia di metafore letterarie: il nerazzurro gioca in ottonari, la mezzala del diavolo sillaba invece nel metro principe della nostra tradizione: l’endecasillabo. La RAI TV è una “rogna” che meriterebbe di saltare in aria. La scuola italiana? Malata di retorica, del tutto incapace di raccontare (e quindi: tramandare) il pathos popolare garibaldino. Chi sarebbe stato l’avvocato Agnelli se fosse vissuto ai tempi del Risorgimento? Cavour. Valcareggi? Carlo Alberto, ovviamente, il re Tentenna. Gigi Riva? Senza ombra di dubbio Nino Bixio. Mancino come lui e come lui iracondo. Perché il ciclismo muore? Perché è uno sport povero e quando muore la povertà…

Basterebbero questi aspetti a fare de Il fuorigioco mi sta antipatico, nonostante la sua natura postuma e compilativa, un libro di tutto rispetto. E attuale. Ma c’è poi lo scrittore di razza, che di tra le righe di questa corrispondenza apre spesso il fuoco da par suo. Come quando risponde in fiorentino schietto (con tanto di grafìe ad hoc) a una lettrice che gli scrive dal capoluogo toscano. O come quando discorre del livornese Armando Picchi: còlto da ‘inspiegabile’ incontinenza poetica, senza ragione apparente si mette a compitare alcuni celebri versi livornesi dedicati da Giorgio Caproni alla madre (Picchi Anna, guarda caso), poi fa finta di scusarsene coi lettori… ma ormai il curioso elogio all’incontrario di una letteratura come regno dell’analogia è cosa fatta. O quando, infine, si misura, più o meno faceto più o meno esplicito, coi suoi colleghi romanzieri. Ironico a volte. Cassola, per esempio, è definito “sadico” perché nega ai suoi personaggi anche l’ombra di una pensilina (il mediocre Ferrovia locale aveva riscosso notevole successo di vendita appena due anni prima). Ma anche complice, su certi temi scottanti, col Pier Paolo Pasolini corsivista corsaro (poi luterano): dalla sua “diseducazione sentimentale” nella Milano del Miracolo alla “mutazione antropologica” teorizzata, di lì a poco, dal poeta di Casarsa. Vabbè che sulla moda ‘capellona’ si trovano agli antipodi, ma quanto a TV e scuola…

Beh, direi che può bastare.


Un brano

2 novembre 1070

SCOPIGNO E GARIBALDI

Caro Perrone, andiamoci piano, il nostro Risorgimento non fu poi così spassoso come tu credi, e i generali non furono tutti dei tattici esilaranti. Ne rammento uno che sapeva il fatto suo, Giuseppe Garibaldi. No, non è una mia fissazione: la presa di Palermo – fatto tattico incredibile, che non sono riuscito ancora a spiegarmi – suscitò esplosioni di ‘tifo’ persino a Irkustk, in Siberia. Abraham Lincoln (tu sai chi fu), nel ’62, offrì a Garibaldi il comando di una armata nordista, e Garibaldi rifiutò, perché aveva in mente, pensa, l’impresa di Aspromonte. Lo so, un Garibaldi direttore della Nazionale ancora non è nato, e qualche allenatore somiglia di sicuro ai nostri generali abbacchiati del Risorgimento. La sconfitta è una vocazione nazionale. Ma per stavolta, abbi pazienza, non facciamo confronti. Auguriamoci che rinasca Garibaldi. Per la precisione: Scopigno non è Garibaldi. È al massimo Pianell, forse Armando Diaz. Vince le battaglie perché non rompe troppo l’anima ai suoi soldati.”

05 febbraio 2007

Questioni di Fondo - 5 febbraio 2007

- Come annunciato qualche tempo fa, stiamo organizzando un evento che porterà il nome Perché scrivere? per il 24 febbraio. L'appuntamento vedrà coinvolti alcuni autori amici del Fondo che in questi anni ci sono stati vicini (Alessandro Angeli, Luciana Bellini, Annalisa Ferrari, Emiliano Gucci, Alberto Prunetti, Antonello Ricci, Alessandro Tozzi, etc.) i quali rifletteranno con noi a proposito della loro voglia, "smania", di scrivere. Cercheremo di coinvolgere le scuole di Massa Marittima, le istituzioni e i semplici cittadini. Il tutto si concluderà ovviamente nella cornice dell'agriturismo Pianizzoli dove a una ricca cena seguirà un acceso, speriamo, dibattito. Seguirà un programma dettagliato della giornata. Per info e prenotazioni, Stefano - 338 8752519

- Inoltre, bell'appuntamento a Grosseto mercoledì prossimo:

Grosseto

Mercoledì 7 febbraio ore 21.00
Cinema “Stella” Dopolavoro FFSS

Presentazione di

Il fuorigioco mi sta antipatico
Il calcio, i politici, gli intellettuali, l’Italia tra il boom e gli anni di piombo nelle risposte ai lettori del “Guerin Sportivo”

Luciano Bianciardi, Stampa Alternativa, Roma 2007

Interventi di Ettore Bianciardi (curatore), Marcello Baraghini (editore) e Antonello Ricci

"Non tutti gli uomini sognano allo stesso modo. Ci sono quelli che sognano di notte nei recessi delle loro menti e si svegliano al mattino per scoprire che il sogno è passato invano. Sono uomini pericolosi, invece, quelli che sognano di giorno, poiché ad essi è dato vivere i sogni a occhi aperti e far sì che si avverino. [T.E. Lawrence]

Cari amici,

sudo, sbuffo, bestemmio, ma anche godo da “editore all’incontrario” (come m’ha definito la mia amica scrittrice contadina Luciana Bellini), da più di trentacinque anni. Mi piacerebbe continuare a farlo almeno per altrettanti anni. Non si sa mai che non riesca a farcela. Qualcuno che mi conosce sa dei miei due ispiratori: Formiggini, l’editore ebreo, suicida per non essere deportato lui e la famiglia a causa delle leggi razziali di Mussolini, e lo scrittore grossetano Luciano Bianciardi. Li adoro, mi ispirano, li difendo dall’oblio e anche da assalti dissennati alla loro memoria. Come quelli che a Grosseto stessa, hanno portato alla sua memoria culturale e umana gli intellettualotti della fondazione a lui intitolata. Macché fondazione: un obitorio, piuttosto. Fintanto che, ringraziando Dio (a cui non credo) è implosa, annegata nel mare di miseria dove sguazzava. Che già si parla di un nuovo corso: ma de che? Un nuovo, il terzo, obitorio. Ho smesso di ingoiare bile e addannarmi da quando, fortunosamente (grazie Luciana Bianciardi!) non mi sono imbattuto in un guastatore culturale: Ettore Bianciardi, il figlio maschio, anarchico e incazzato come il padre.

Tempo un paio di mesi il riscatto. Una bella Antifondazione Bianciardi per raccogliere e riproporre tutta la sua vera eredità: poi un blog, una casa editrice online, anarchica anch’essa (“Dal libro sfinito al Libro Infinito” è il suo slogan) e, fresco di stampa, dopo pochi mesi di pazzesco lavoro, di Ettore per primo e di un sacco di altri, Il fuorigioco mi sta antipatico, con tutte le lettere e le risposte ai lettori del “Guerin Sportivo”. Poco meno di quattrocento pagine di formato 15 x 21 a sedici euro e cinquanta. Se pensate che, a proposito di editoria di regime, i tre romanzi di Luciano per i tipi di quei fighetti di ISBN (che minchia di nome!) occorrono 60 euro e poi aprite il volume e la copertina va per conto suo! Arrivare addirittura, per bramosia o per disprezzo dei lettori, a risparmiare sulla colla, s’era visto solo, per ora, dai Mondadori.

Il fuorigioco mi sta antipatico lo presentiamo io, Ettore e Antonello Ricci in un cinema di Grosseto, lo “Stella” al dopolavoro FFSS, mercoledì 7 febbraio alle ore 21.00.

Io, Ettore e Antonello Ricci vi invitiamo per discutere, senza peli sulla lingua, del libro, dell’antifondazione, della cultura, dell’incultura, dell’anarchia, dei sogni, ma di quelli ad occhi aperti, però". [Marcello Baraghini]

Per saperne di più: www.riaprireilfuoco.org e www.stampalternativa.it - ag.ricci@libero.it