27 gennaio 2007

Perchè scrivere ?

Perchè scrivere? Perché farsi leggere? Mi sono dato una risposta tempo fa: volevo scrivere per trovare complici nel desiderio di vivere la mia vita contro tutto ciò che la minaccia. Scrivere con la stessa leggerezza con cui si beve un bicchiere di vino: per piacere, per scaldarsi il cuore, per diventare molesto. Da allora ho scritto e continuo a scrivere, ho tradotto e traduco ancora, sbattendomi come un pazzo per trovare io stesso autori da tradurre, scrivendo dozzine di lettere a editori, facendomi intermediatore, vergando mail e lettere in inglese, spagnolo, francese, italiano. Ho rotto le palle a editori e autori più noti, e continuerò a farlo, perché la letteratura sommersa, radicale e antagonista, quella che piace a me, possa trovare nuovi lettori italiani. Ho fatto così con i miei scritti e con quegli scritti che in altre lingue mi hanno accelerato il battito cardiaco, mi hanno fatto sentire come se avessi il diavolo in corpo… ho iniziato a far circolare le mie passioni e la mia rabbia attraverso la scrittura, e spero che questa non ne diventi il circuito che la limita, trasformando la rabbia in arte o letteratura e depotenziandone la capacità esplosiva. Pretendo che scrivere e leggere sia un’urgenza vitale, un innesco di emotività e intelligenza non completamente confinabile in quegli oggetti rilegati, o più spesso incollati, che si vendono un tanto a chilo, ormai, nelle librerie. A volte è andata bene, altre volte no. Potassa è stato il mio messaggio nella bottiglia. Qualcuno l’ha raccolto. Continuo a infilare messaggi nelle bottiglie e a scagliarle. Alcuni di questi messaggi li ho scritti io. Altri li hanno scritti persone che stimo, che ho conosciuto magari solo attraverso quella ruminazione che faccio di un testo, quando lo leggo. La mia è una sorta di fissazione: viaggio, scopro libri, ho un sesto senso per sfondare le porte delle case di autori sconosciuti: anarchici, vecchi ribelli, neo-situazionisti erotomani e anticlericali. Se il loro libro mi piace, inizio a bussare alle porte degli editori, dei redattori, degli autori affermati (per fortuna ce ne sono alcuni disposti a sbattersi per far circolare testi che non hanno fortuna commerciale). Sono stato a lungo un pusher di libri, da quando mi spostavo da un centro sociale all'altro con le cassette piene di edizioni pirate dalle copertine sporche di vino. È quello che mi piace fare, mescolare vino e lettura, passione e scrittura. Tutto il resto è letteratura.

Alberto Prunetti http://potassa.noblogs.org

25 gennaio 2007

Dedicata alle leggere

Poco meno di 5 anni fa alcune "leggere" (“leggera” è il termine del vernacolo maremmano per definire il bighellone – da non confondersi con la variante atta a indicare l’avaro, il tirchio) stavano mettendo su una serata per ricordare la scomparsa di un grande autore, già dimenticato a quel tempo. Dopo cinque anni, tanti sorrisi, tanti dolori, tanto stupore (anche in negativo), e più o meno le leggere son sempre qua, anche se qualcuno pensa che ormai in Fondo in Fondo non siamo più interessati al sogno che avevamo cinque anni fa.

Mica per cercare scuse, però anche se non ci si sente di andare a lavorar bisogna andarci lo stesso. E magari alla fine qualche serata ci scappa lo stesso…

Quindi, prepariamoci ad alzare il bicchiere per festeggiare questo compleanno tra una ventina di giorni e dedichiamoci una bella canzone, a noi e a tutte le leggere come noi.

La Leggera
(trad. dell’Appennino bolognese)

Il lunedì la testa mi vacilla
Oi che meraviglia non voglio lavorar

Il martedì poi l’è un giorno seguente
Io non mi sento di andare a lavorar

Il mercoledì poi l’è un giorno di baruffa
Io c’ho della ciucca non voglio lavorar

Il giovedì poi l’è festa nazionale
Il governo non permette ch’io vada a lavorar

Oh leggera dove vai
Io ti vengo io ti vengo a ritrovar

Il venerdì poi l’è un giorno di passione
Io che son cattolica non voglio lavorar

Il sabato poi l’è l’ultimo giorno
Oi che bel giorno non voglio lavorar

Arriva la domenica mi siedo sul portone
Aspetto il mio padrone che mi venga a pagar

Padron l’è là che arriva l’è tutto arrabbiato
Brutto scellerato lèvati di qua!

Noi siam della leggera e poco ce ne importa
Vadan sull’ostia la fabbrica e il padron!

18 gennaio 2007

G8, sparite le molotov della Diaz - Gli avvocati difensori: "Processo finito"

GENOVA - Non si trovano più le due molotov del G8, che rappresentano una delle prove a carico più pesanti nel processo contro i 29 poliziotti, imputati della irruzione nella scuola Diaz e di aver falsificato gli indizi per incastrare 93 ragazzi. Svanite nel nulla. Lo si è scoperto ieri mattina, nel corso di un'udienza del processo. Il presidente Gabrio Barone ha dato incarico alla procura di rintracciarle e i magistrati oggi chiederanno ufficialmente spiegazioni al questore Salvatore Presenti.
Le ipotesi spaziano dall'ufficio corpi di reato di palazzo di giustizia, il cui responsabile ha allargato sconsolato le braccia, alla questura, come spiega il vicedirigente della mobile Francesco Borré: "Io sono arrivato alla squadra mobile nel 2002, un anno dopo il G8. Non abbiamo mai trattato quel reperto. Ma esiste un registro di carico e scarico. Ritengo che teoricamente dovrebbero essere agli atti della Digos".
Mantengono comunque la calma i pubblici ministeri e i legali delle parti offese: "Forse uno dei tanti pasticci della pubblica amministrazione, le molotov salteranno fuori nei prossimi giorni e comunque su quelle bottiglie, filmate e fotografate da ogni angolazione, sono stati fatti tutti gli accertamenti previsti". Ma gli avvocati difensori tentano l'affondo: "Le fotografie non possono sostituire l'oggetto. Senza corpo del reato il processo è finito".
Le ricerche per trovare i reperti proseguiranno, ma fintanto non saranno trovate le bottiglie incendiarie il processo rimarrà congelato nella sua parte più delicata. "Le fotografie di un oggetto - ha commentato l'avvocato Alfredo Biondi, difensore del vicequestore Pietro Troiani - non possono sostituire l'oggetto corpo del reato, che deve essere materialmente riconosciuto".
L'indagine ora continua per capire da chi, quando, perché sono state spostate le molotov. E chiarire l'ennesimo mistero del G8 genovese del 2001.
(m. cal.)

Fonte: repubblica.it

07 gennaio 2007

Inuit

Cosa hanno in comune le popolazioni del delta del Niger, quelle dell'Amazzonia e quelle della Groenlandia? La possibilità di essere sterminate dalla nostra civiltà, anche quando si ammanta di un garbato, ma nazista, "ecologismo democratico". Almeno, facendo girare queste storie, rendiamo loro la dignità. (NdR)

Taqissimat nell'indistinguibile notte artica, si è impiccato.
Tre cacciatori di foche, al primo chiarore, lo adagiano in una baracca ghiacciata. Altri giovani corpi, ibernati, attendono il sole di giugno per essere sepolti sotto cumuli di pietre. Il popolo più felice del mondo ha deciso di morire.
Il dieci per cento dei figli della Groenlandia varca ormai volontariamente la soglia del mare eterno prima dei diciotto anni. Fino a quindici suicidi di adoloscenti, ogni primavera, in villaggi di cento persone. Una taciuta, inarrestabile strage.
Le notizie dei suicidi, per fame o per onore, sono rimaste a lungo imprigionate tra gli iceberg. Fino a quando anche Nikapianguaq si è immersa nell'oceano con i suoi quattro figli. Enok, il suo uomo, era scomparso nel fiordo, travolto dalla slitta. Nessuno avrebbe portato più carne. La tragedia degli Inuit, per la prima volta, ha conquistato le prime pagine dei giornali danesi. Davvero la gente del sorriso, l'eschimese che non conosce guerra, violenza e tristezza, ha deciso di sparire prima dell'ultimo scontro con la civiltà occidentale? La conferma, venerdì pomeriggio, è distesa davanti al magazzino di Tasillaq. Decine di corpi giacciono tra i cristalli di neve. Come morti, tra lattine di birra e bottiglie di vodka. Ogni due settimane uomini e donne ritirano il sussidio danese e lo consumano per dimenticare. Avvelenati dall'alcol a trent'anni sono vecchi. Smarriscono il sesto senso che salva dalla banchisa e suggerisce i passi dell'orso bianco.Indifesi nella natura che li ha sempre protetti. Le statistiche imputano la depressione sociale alla prolungata mancanza invernale di luce. Tobias Ignatiussen, il più forte cacciatore della Groenlandia orientale, strizza ancor di più le fessure degli occhi. No, dice,foche e televisione. In venti anni dalle pelli di foca alle corone danesi, dalla civiltà dell'avorio di tricheco, ai satelliti,tv,elicotteri,cellulari. Troppo in vent'anni. I cacciatori sono stati soppiantati dai polli surgelati allo spaccio. I loro figli, analfabeti, non sostengono l'assiduità di una professione, non possono più essere groenlandesi, non saranno mai protagonisti dell'occidente. Sonnecchiano negli iglù davanti a film spazzatura comprati con il susidio statale, le loro mute di husky intanto perdono la sensibilità che li riporta sulla via invisibile del villaggio.
Poi sono arrivati gli ecologisti. Greenpeace e WWF qui, sono sigle assimilate alla Gestapo; un nemico spietato. Vietato cacciare foche. Vietato cacciare orsi. Vietato cacciare balene. Tobias traduce nella lingua degli iivi, gli uomini, Vietato sopravvivere. In Groenlandia nessuno, dice, ha mai sterminato i cuccioli di foca, il peso dell'animale per noi è valore. Una sera ci hanno comunicato che in Europa nessuno avrebbe più acquistato carne pelli e ossa. In due mesi centinaia di cacciatori Inuit si sono sparati. Sui fiordi di Kaallit Nunaat, fino al nord dell'ultima Thule,il 40 % degli abitanti è morto di fame. Un colonialista eccidio colposo, dettato da ignoranza e arroganza culturale. Uno scandalo dimenticato del nuovo secolo. Nell'artico un maschio che non caccia è inutile, perde la sua autorità sul clan, la fiducia in se stesso. Si vergogna. Deve stendere la mano che impugnava l'arpione. I filmati canadesi sulla caccia, dice il sindaco di Tasillaq, Maro Mikkaelsen, sono stati devastanti. La verità ora è stata ristabilita, gli animalisti hanno mandato via fax le scuse: ma era troppo tardi. Qust'anno i 2556 Inuit affacciati sull'Islanda, sparsi su una superficie ghiacciata più lunga dell'Europa, hanno catturato su una popolazione di almeno 4 milioni di foche, 160000 foche, 568 beluga, 794 narvali,35 orsi bianchi e 3 balene. Niente rispetto alla popolazione selvatica. Ma l' UE sta per vietare di nuovo caccia e esportazione.......Sono le tre di notte, anche Nasunguaq e Uiuat barcollano tra altri corpi al caldo dell'unico centro sociale eretto sul Circolo Polare Artico. Hanno vent'anni, indossano Levi's e calzano All Star. Sono fidanzati e disperati. Anni di serial tv hanno insegnato come fingono di vivere i loro coetanei di Parigi e New York. Non accettano più la plvere di neve spruzzata tra le fessure della truna, la puzza di foca fritta e interiora di bue muschiato impregnato nella pelle. Ora sanno che c'è un altro mondo e un'altra vita, irraggiungibili. Si battono sul cuore, ho freddo qui dentro, dice la ragazza,abbiamo paura. Smaltiscono la sbronza quotidiana tra una massa di miserabili compaesani alcolizzati. A rivestirli, riscaldarli, sfamarli ed ascoltarli, solo l'italo-tedesco Robert Peroni. Gli Inuit, piuttosto che lamentarsi, preferiscono crepare. Sono un popolo romantico. Vivono di sogni, fieri e indifesi come i bambini. Nel 1980 mi hanno chiesto di rimanere qui, dice Peroni, ex mister no limits, conteso da donne e sponsor e che in Europa guidava una Porsche. Ho scelto di essere uno di loro e di non abbandonarli più.........Non c'è mai stata tanta informazione come adesso, ma è tutta di un tipo solo, è l'informazione dei vincitori, e non si sforza minimamente di capire chi siamo, come viviamo. Cosa sapete voi europei, anche i più colti, di noi Inuit? Niente. Di recente George Bush, come svegliandosi da un lungo sonno, ha detto - ora bisogna proteggere l'Artico dai cambiamenti climatici e salvaguardare gli orsi polari.- Non gli è venuto però in mente di citare gli Inuit che vivono loro intorno. Semplicemente perchè non ne ha idea. E' una gigantesca ignoranza quella che ci riguarda. Ci dicono - non uccidete gli animali- perchè pensano che siamo milioni e che potremo distruggere l'ecosistema. E invece noi siamo 60000. E' l'ennesimo scontro di civiltà. Voi europei allevate gli animali per poi mangiarli. Noi viviamo con loro, li rispettiamo,per poi fare la stessa cosa. Ma WWF e a Greenpeace piace descriverci come crudeli........

Stralci da Gli ultimi Inuit di Giampaolo Visetti "La Repubblica" 7 gennaio 2007