23 novembre 2007

Silvana Premiata!!!

È con grande piacere che salutiamo la notizia che ci arriva direttamente da Silvana Bigongiari, autrice del bel libro Fili. Silvana è risultata vincitrice del premio di letteratura per libro edito relativo al Premio di scrittura "Il Paese delle donne" promosso dalla "Casa Internazionale delle donne" di Roma. Il concorso è a livello internazionale, e forse per l'Italia è il più importante per la scrittura femminile e femminista. Il premio ha anche il patrocinio dell'Associazione Femminista Internazionale (AFFI) e dall'associazione Vita quotidiana. L'altra notizia bella che riguarda Silvana e il suo libro è che le copie stampate finora (450) sono quasi finite.

Non nascondiamo la nostra felicità come "editori" ma l'abbraccio più grande è tutto per Silvana. E che questo sia solo l'inizio!

17 novembre 2007

Tutti a Genova

Lettera aperta - Tutti a Genova il 17 novembre!

Aderisci all’appello scrivendo a lastoriasiamonoi@sanbenedetto.org
Aggiornamenti adesioni qui
Sostieni la manifestazione del 17 novembre

Facciamo appello a tutti e tutte coloro che erano a Genova il 19, 20, 21 luglio 2001.
Ci rivolgiamo a tutti quelli che oggi lottano contro le guerre e la precarietà, contro la devastazione del territorio e dei beni comuni.
A chi si batte nell’università, sui posti di lavoro e nei quartieri contro lo sfruttamento. A chi combatte l’aberrazione dei centri di denzione per migranti. A chi non ha mai rinunciato a sognare un mondo diverso.
I PM Canepa e Canciani hanno richiesto 224 anni di carcere per i 25 manifestanti la cui unica colpa è quella di essere stati a Genova a contestare il G8 in quei giorni. Questa richiesta getta la maschera su che tipo di giustizia si vorrebbe imporre. Quella che assolve sempre il potere per i suoi crimini, e colpisce con la violenza, con l’omicidio come nel caso di Carlo Giuliani, con il carcere chi osa disobbedire e ribellarsi.
Questa vergognosa richiesta è semplicemente inaccettabile. L’obiettivo vero di questo processo è riscrivere la storia, stravolgendola, perché essa mette in difficoltà il potere.
Ci parla, la nostra storia, di coraggio nello sfidare tutti insieme i potenti del G8 che decidono guerre e massacri.
Ci parla di disobbedienza alle leggi ingiuste, ai divieti ad esprimere il dissenso, come quando Genova fu trasformata in una enorme zona militarizzata e sottratta alla democrazia.
Ci parla, la storia che questi PM vorrebbereo seppellire con due secoli di carcere a chi manifestava, delle torture a Bolzaneto, delle cariche e dei pestaggi nelle strade, del massacro della Diaz compiti dalle forze dell’ordine.
Dell’unico capo della polizia, che comandava tutte le operazioni di Genova, mai promosso nella storia di questo paese, direttamente a membro di governo.
Ci rivolgiamo a tutti perché il vero obiettivo di questo processo è quello di colpire i movimenti di oggi e quelli di domani. La vendetta di stato che rischia di abbattersi sui 25 imputati, è anche il tentativo di chiudere definitivamente in questo paese lo spazio del dissenso e della democrazia diretta che si contrappone spesso a quella fasulla di palazzo.
Noi, primi firmatari dell’appello "Noi, quelli di via Tolemaide", proponiamo a tutti, di tornare a Genova il prossimo 17 novembre, per ribadire insieme che la verità non si cancella, né con la violenza, né con il carcere.
Per gridare insieme che vogliamo la libertà di coloro che stanno pagando per una colpa che tutti abbiamo, quella di esserci ribellati all’ingiustizia. Chiediamo a tutti di mobilitarsi, di riempire quelle strade che il potere teme così tanto da ricorrere al terrore per tentare di tenerle vuote e mute. Chiediamo anche a quelli che allora non c’erano di venire, perché il futuro è ciò che ci costruiamo ora.
A chi era a Genova e ora siede in cariche istituzionali o di partito, chiediamo di farsi garante pubblicamente perché siano garantiti i treni per chi vuole manifestare, e le stazioni non siano militarizzate come accade sempre più spesso. Invitiamo tutti alla grande manifestazione che ribadirà che disobbedire è giusto difronte ad un mondo come questo, che il diritto a resistere esercitato a Genova è stato sacrosanto e naturale, che tutti gli imputati devono essere liberati dalla spada di damocle dei processi politici condotti contro i movimenti.

Partiremo alle ore 15.00 sabato 17 novembre dalla Comunità di San Benedetto al Porto, Marina di Genova, per giungere in Piazza De Ferrari, il luogo dove il G8 ha tenuto il suo vertice insaguinato di allora.

Don Andrea Gallo (Fondatore Comunità San Benedetto al Porto-Genova) | Valeria Cavagnetto (Genova) | Vladia Grillino (Genova) | Milena Zappon (Genova) | Domenico Chionetti (Genova) | Simone Savona (Genova) | Luciano Bregoli (Genova) | Luca Oddone (Genova) | Paolo Languasco (Genova) | Matteo Jade (Genova) | Luca Daminelli (Genova) | Maurizio Campaga (Genova) | Luca Casarini (Marghera - imputato a Cosenza) | Tommaso Cacciari (Venezia) | Michele Valentini (Marghera) | Max Gallob (Padova) | Vilma Mazza (Padova) | Duccio Bonechi (Padova-imputato a Genova) | Federico Da Re ( Padova-imputato a Genova) | Cristian Massimo (Monfalcone) | Donatello Baldo (Trento) | Domenico Mucignat (Bologna) | Gianmarco De Pieri (Bologna) | Manila Ricci (Rimini) | Daniele Codelupi (Reggio Emilia) | Claudio Sanita (Alessandria) | Luca Corradini (Milano) | Silvia Liscia (Milano) | Francesco Raparelli (Roma) | Francesco Brancaccio (Roma) | Emiliano Viccaro (Roma) | Luca Blasi (Roma) | Antonio Musella (Napoli)

www.sanbenedetto.org

16 novembre 2007

Il Triangolo Nero

Il triangolo nero / Nessun popolo è illegale

Violenza, propaganda e deportazione. Un manifesto di scrittori, artisti e intellettuali contro la violenza su rom, rumeni e donne

Non è che come paese siamo proprio immuni

[La scintilla è partita un gruppo di scrittori e intellettuali, stanco di assistere alla deriva razzista che attraversa l'Italia, purtroppo aggravata dalla morte violenta di Giovanna Reggiani.
Da questa stanchezza, l'esigenza di condividere una presa di posizione forte. È nato così "Il triangolo nero", appello elaborato da Alessandro Bertante, Gianni Biondillo, Girolamo De Michele, Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Helena Janeczek, Loredana Lipperini, Monica Mazzitelli, Marco Philopat, Marco Rovelli, Stefania Scateni, Antonio Scurati, Beppe Sebaste, Lello Voce e il collettivo Wu Ming nella sua totalità. A questo gruppo si sono presto aggiunti altri nomi importanti della cultura che hanno deciso di aderire all'appello. Tra questi Gad Lerner, Erri De Luca, Bernardo Bertolucci, Massimo Carlotto, Carlo Lucarelli, Moni Ovadia, Nanni Balestrini, Franca Rame, Stefano Tassinari, Marcello Flores, Andrea Bajani, Lisa Ginzburg, Lanfranco Caminiti, Ugo Riccarelli, Enrico Brizzi, Marco Mancassola, Simona Vinci, Raul Montanari, Giulio Mozzi, Andrea Porporati, Sandro Veronesi e moltissimi altri si vanno aggiungendo di minuto in minuto, per ribadire che delitti individuali non giustificano castighi collettivi. Qui, la possibilità di aderire all'appello. Di seguito, il testo.]

La storia recente di questo paese è un susseguirsi di campagne d'allarme, sempre più ravvicinate e avvolte di frastuono. Le campane suonano a martello, le parole dei demagoghi appiccano incendi, una nazione coi nervi a fior di pelle risponde a ogni stimolo creando "emergenze" e additando capri espiatori.

Una donna è stata violentata e uccisa a Roma. L’omicida è sicuramente un uomo, forse un rumeno. Rumena è la donna che, sdraiandosi in strada per fermare un autobus che non rallentava, ha cercato di salvare quella vita. L'odioso crimine scuote l'Italia, il gesto di altruismo viene rimosso.

Il giorno precedente, sempre a Roma, una donna rumena è stata violentata e ridotta in fin di vita da un uomo. Due vittime con pari dignità? No: della seconda non si sa nulla, nulla viene pubblicato sui giornali; della prima si deve sapere che è italiana, e che l’assassino non è un uomo, ma un rumeno o un rom.

Tre giorni dopo, sempre a Roma, squadristi incappucciati attaccano con spranghe e coltelli alcuni rumeni all'uscita di un supermercato, ferendone quattro. Nessun cronista accanto al letto di quei feriti, che rimangono senza nome, senza storia, senza umanità. Delle loro condizioni, nulla è più dato sapere.

Su queste vicende si scatena un'allucinata criminalizzazione di massa. Colpevole uno, colpevoli tutti. Le forze dell'ordine sgomberano la baraccopoli in cui viveva il presunto assassino. Duecento persone, tra cui donne e bambini, sono gettate in mezzo a una strada.

E poi? Odio e sospetto alimentano generalizzazioni: tutti i rumeni sono rom, tutti i rom sono ladri e assassini, tutti i ladri e gli assassini devono essere espulsi dall'Italia. Politici vecchi e nuovi, di destra e di sinistra gareggiano a chi urla più forte, denunciando l'emergenza. Emergenza che, scorrendo i dati contenuti nel Rapporto sulla Criminalità (1993-2006), non esiste: omicidi e reati sono, oggi, ai livelli più bassi dell'ultimo ventennio, mentre sono in forte crescita i reati commessi tra le pareti domestiche o per ragioni passionali. Il rapporto Eures-Ansa 2005, L'omicidio volontario in Italia e l'indagine Istat 2007 dicono che un omicidio su quattro avviene in casa; sette volte su dieci la vittima è una donna; più di un terzo delle donne fra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita, e il responsabile di aggressione fisica o stupro è sette volte su dieci il marito o il compagno: la famiglia uccide più della mafia, le strade sono spesso molto meno a rischio-stupro delle camere da letto.

Nell'estate 2006 quando Hina, ventenne pakistana, venne sgozzata dal padre e dai parenti, politici e media si impegnarono in un parallelo fra culture. Affermavano che quella occidentale, e italiana in particolare, era felicemente evoluta per quanto riguarda i diritti delle donne. Falso: la violenza contro le donne non è un retaggio bestiale di culture altre, ma cresce e fiorisce nella nostra, ogni giorno, nella costruzione e nella moltiplicazione di un modello femminile che privilegia l'aspetto fisico e la disponibilità sessuale spacciandoli come conquista. Di contro, come testimonia il recentissimo rapporto del World Economic Forum sul Gender Gap, per quanto riguarda la parità femminile nel lavoro, nella salute, nelle aspettative di vita, nell'influenza politica, l’Italia è 84esima. Ultima dell'Unione Europea. La Romania è al 47esimo posto.

Se questi sono i fatti, cosa sta succedendo?

Succede che è più facile agitare uno spauracchio collettivo (oggi i rumeni, ieri i musulmani, prima ancora gli albanesi) piuttosto che impegnarsi nelle vere cause del panico e dell'insicurezza sociali causati dai processi di globalizzazione.

Succede che è più facile, e paga prima e meglio sul piano del consenso viscerale, gridare al lupo e chiedere espulsioni, piuttosto che attuare le direttive europee (come la 43/2000) sul diritto all'assistenza sanitaria, al lavoro e all'alloggio dei migranti; che è più facile mandare le ruspe a privare esseri umani delle proprie misere case, piuttosto che andare nei luoghi di lavoro a combattere il lavoro nero.

Succede che sotto il tappeto dell'equazione rumeni-delinquenza si nasconde la polvere dello sfruttamento feroce del popolo rumeno.
Sfruttamento nei cantieri, dove ogni giorno un operaio rumeno è vittima di un omicidio bianco.
Sfruttamento sulle strade, dove trentamila donne rumene costrette a prostituirsi, metà delle quali minorenni, sono cedute dalla malavita organizzata a italianissimi clienti (ogni anno nove milioni di uomini italiani comprano un coito da schiave straniere, forma di violenza sessuale che è sotto gli occhi di tutti ma pochi vogliono vedere).
Sfruttamento in Romania, dove imprenditori italiani - dopo aver "delocalizzato" e creato disoccupazione in Italia - pagano salari da fame ai lavoratori.

Succede che troppi ministri, sindaci e giullari divenuti capipopolo giocano agli apprendisti stregoni per avere quarti d'ora di popolarità. Non si chiedono cosa avverrà domani, quando gli odii rimasti sul terreno continueranno a fermentare, avvelenando le radici della nostra convivenza e solleticando quel microfascismo che è dentro di noi e ci fa desiderare il potere e ammirare i potenti. Un microfascismo che si esprime con parole e gesti rancorosi, mentre già echeggiano, nemmeno tanto distanti, il calpestio di scarponi militari e la voce delle armi da fuoco.

Succede che si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto, come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, come con gli armeni in Turchia nel 1915, come con serbi, croati e bosniaci, reciprocamente, nell’ex-Jugoslavia negli anni Novanta, in nome di una politica che promette sicurezza in cambio della rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà; che rende indistinguibili responsabilità individuali e collettive, effetti e cause, mali e rimedi; che invoca al governo uomini forti e chiede ai cittadini di farsi sudditi obbedienti.
Manca solo che qualcuno rispolveri dalle soffitte dell’intolleranza il triangolo nero degli asociali, il marchio d’infamia che i nazisti applicavano agli abiti dei rom.

E non sembra che l'ultima tappa, per ora, di una prolungata guerra contro i poveri.

Di fronte a tutto questo non possiamo rimanere indifferenti. Non ci appartengono il silenzio, la rinuncia al diritto di critica, la dismissione dell’intelligenza e della ragione.
Delitti individuali non giustificano castighi collettivi.
Essere rumeni o rom non è una forma di "concorso morale".
Non esistono razze, men che meno razze colpevoli o innocenti.

Nessun popolo è illegale.

Proposto da: Alessandro Bertante, Gianni Biondillo, Girolamo De Michele, Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Helena Janeczek, Loredana Lipperini, Monica Mazzitelli, Marco Philopat, Alberto Prunetti, Marco Rovelli, Stefania Scateni, Antonio Scurati, Beppe Sebaste, Lello Voce, Wu Ming.
Tra i firmatari: Fulvio Abbate - Maria Pia Ammirati - Manuela Arata - Bruno Arpaia - Articolo 21 - Rossano Astremo - Andrea Bajani - Nanni Balestrini - Guido Barbujani - Ivano Bariani - Giuliana Benvenuti - Silvio Bernelli - Stefania Bertola - Bernardo Bertolucci - Sergio Bianchi - Ginevra Bompiani - Carlo Bordini - Laura Bosio - Botto&Bruno - Silvia Bre - Enrico Brizzi - Luca Briasco - Elisabetta Bucciarelli - Franco Buffoni - Errico Buonanno - Lanfranco Caminiti - Rossana Campo - Maria Teresa Carbone - Massimo Carlotto- Lia Celi - Maria Corbi - Stefano Corradino - Mauro Covacich - Erri De Luca - Derive Approdi - Donatella Diamanti - Jacopo De Michelis - Filippo Del Corno - Mario Desiati - Igino Domanin - Tecla Dozio - Nino D'Attis - Emergency - Francesco Forlani - Enzo Fileno Carabba - Ferdinando Faraò - Marcello Flores - Marcello Fois- Gabriella Fuschini - Barbara Garlaschelli - Enrico Ghezzi - Tommaso Giartosio - Lisa Ginzburg - Roberto Grassilli - Andrea Inglese - Franz Krauspenhaar - Kai Zen - Nicola Lagioia - Gad Lerner - Giancarlo Liviano - Claudio Lolli - Carlo Lucarelli - Marco Mancassola - Gianfranco Manfredi - Luca Masali - Sandro Mezzadra - Giulio Milani - Raul Montanari - Giuseppe Montesano - Elena Mora - Gianluca Morozzi - Giulio Mozzi - Moni Ovadia - Enrico Palandri - Chiara Palazzolo - Melissa Panarello - Valeria Parrella - Anna Pavignano - Lorenzo Pavolini - Giuseppe Pederiali - Sergio Pent - Santo Piazzese - Tommaso Pincio - Gabriella Piroli - Guglielmo Pispisa - Leonardo Pelo - Gabriele Polo - Andrea Porporati - Alberto Prunetti - Laura Pugno - Serge Quadruppani - Christian Raimo - Veronica Raimo - Franca Rame - Lidia Ravera - Jan Reister - Enrico Remmert - Marco Revelli - Ugo Riccarelli - Anna Ruchat - Teresa Sarti - Roberto Saviano - Sbancor - Clara Sereni - Gian Paolo Serino - Nicoletta Sipos - Piero Sorrentino - Antonio Spaziani - Gino Strada - Subsonica - Carola Susani - Stefano Tassinari - Annamaria Testa - Laura Toscano - Emanuele Trevi - Filippo Tuena - Raf Valvola Scelsi - Francesco Trento - Nicoletta Vallorani - Paolo Vari - Giorgio Vasta - Maria Luisa Venuta - Grazia Verasani - Sandro Veronesi - Marco Vichi - Roberto Vignoli - Simona Vinci - Yo Yo Mundi

03 novembre 2007

Un'altra sicurezza è possibile (appello dell'ARCI)

Il tema della sicurezza ha assunto una crescente centralità nella discussione politica italiana e influenza sempre più le scelte e gli orientamenti delle amministrazioni pubbliche, degli enti locali e dei governi. I mezzi di informazione hanno riservato a questo tema uno spazio enorme, determinando vere e proprie campagne di allarme sociale che, partendo da singoli episodi, descrivono le nostre città come invivibili e insicure. L'insicurezza e la paura viene quasi sempre ricondotta alla presenza di emarginati, poveri e migranti, associando in maniera discutibile i comportamenti illegali alle categorie socialmente più deboli e ai soggetti che vivono in condizioni di disagio abitativo e sociale. Siamo molto preoccupati per la tendenza a individuare nei più emarginati, rom e migranti in primo luogo, i facili capri espiatori di questo crescente sentimento di insicurezza. Da anni le organizzazioni sociali laiche e religiose partecipano con impegno e competenza alla individuazione e alla sperimentazione di percorsi di inclusione sociale per superare in maniera positiva le tante situazioni di disagio nelle città, collaborando con le amministrazioni pubbliche e mettendo a disposizione il proprio radicamento territoriale e il lavoro di tanti operatori e di tante operatrici.
Occorre costruire opportunità e spazi di cittadinanza per tutte e tutti. Un welfare adeguato significa rendere i diritti esigibili e universali, indipendentemente dalle condizioni sociali, dai comportamenti e dalle possibilità di ogni individuo C'è bisogno di un intervento che metta al centro le persone, con i loro percorsi e i loro diritti, senza rinunciare a dare risposte alle paure di tante e tanti nostri concittadini, ma ricercando soluzioni concrete, seppur più difficili e complesse, anziché limitarsi a fare semplici dichiarazioni. La repressione di comportamenti illegali non può tradursi in persecuzione del disagio sociale. Accanto a una giusta attività di repressione, che deve però svolgersi nel rispetto dell'art.3 della nostra Costituzione e prevedendo le giuste garanzie per le persone più deboli, va messa in campo una attività diffusa e radicata, di mediazione sociale e accompagnamento per la risoluzione dei conflitti, che impedisca la crescita di razzismo e frammentazione sociale.L'impegno straordinario di personale di pubblica sicurezza per affrontare il disagio sociale e abitativo si traduce in minori forze impegnate contro la grande e la piccola criminalità e un progressivo intasamento del sistema giudiziario.
Chiediamo alle forze politiche, al Parlamento, al Governo e a tutti coloro che hanno responsabilità di governo del territorio di riportare la discussione sul disagio sociale e sulla sicurezza su un terreno costruttivo e di confronto che veda protagoniste tutte le forze sociali, i cittadini e le cittadine, compresi migranti e minoranze, ricercando soluzioni condivise e sostenibili che abbiano il segno della giustizia e della solidarietà.
Le città aperte sono più sicure.
Il razzismo rende tutte e tutti più insicuri.
Primi firmatari: Paolo Beni (ARCI), Stefano Rodotà, Don Luigi Ciotti (Libera), Livio Pepino (MD), Lorenzo Trucco (ASGI), Sergio D'Angelo (DROM), Angelo Caputo (MD), Vincenzo Castelli (On the road), Pia Covre, Filippo Miraglia (Arci), Susanna Ronconi (Forum droghe), Gigi Sullo (Carta) On. Carlo Leoni (Vicepresidente Camera dei Deputati), Sen. Giovanni Russo Spena (Capogruppo PRC Senato), Andrea T. Torre (Centro Studi Medì-GE), Pina Rozzo (Vicepresidente della Provincia di Roma), Silvia Buzzelli (docente università di milano- bicocca), Dino Bruno (insegnante),Nazzarena Zorzella (ASGI), Dott.ssa Paola Balbo, Ferruccio Pastore (Cespi), Comunità cristiana di base Oregina di Genova, Giuseppe Faso (Centro interculturale empolese-valdelsa), Marina Veronesi (Centro interculturale empolese-valdelsa), Guido Savio (avvocato, socio ASGI)Per informazioni e adesioni: Eva Fratucello - tel. 0641609503; fratucello@arci.it
Oltre a questo è doverosa anche una visita al sito dell'Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione - http://www.asgi.it/
È tardi ormai, troppo tardi. Ma un tentativo si può sempre fare...
Uvaozio

02 novembre 2007

Giorni e nuvole

"... Vanno vengono ritornano e magari si fermano tanti giorni che non vedi più il sole e le stelle e ti sembra di non conoscere più il posto dove stai"
(Nuvole, Fabrizio De Andrè)

Difficile pensare che Soldini non abbia, più o meno consciamente, dedicato questo film girato a Genova a Fabrizio De Andrè.
La città fa da sfondo, malinconico nella bellezza dei suoi scorci, alla vicenda di Albanese e della Buy, bravissimi, una coppia come ce ne sono tante in Italia. Lui che lavora come dirigente in un'azienda, dove è socio; lei che, dopo aver cresciuto la figlia, approfittando della tranquillità economica si sta prendendo una laurea in Lettere, indirizzo Beni Culturali. Improvvisa arriva la mazzata, il giorno dopo la laurea di lei: Albanese ha da due mesi perso il lavoro, fatto fuori dal socio-amico insieme al nuovo socio-cattivo, coalizzati insieme contro di lui per salvare la baracca e loro stessi.
Da lì inizia un lungo viaggio, che porta lui sempre più in fondo in una scala sociale di cui non si vede la fine, e lei a trovare lavori per ovviare alle esigenze economiche della famiglia. Di contorno una figlia con un apporto conflittuale con il padre, le amicizie della coppia sempre più lontane (per convenienza, ma anche per scelta di fuggire lontano, come i cani quando stanno male e si rifugiano in un angolo nascosto, il più possibile), lavori sempre più irragiungibili (diceva già Flaiano 40 anni fa che non bisognava chiedere 50.000 Lit al mese per un lavoro, di quelli non ce n'era. Bisognava chiederne 200.000 Lit, di quelli si trovavano...). E ancora nuovi e strani compagni di viaggio/sventura per lui, il rapporto con il padre che continua a mantenere in una clinica nonostante tutto, un'avventura per lei sul posto di lavoro, dopo mesi di fatica, piccole e grandi umiliazioni.
Una coppia di brave persone, alle prese con una cosa più grande di loro. Il problema dell'alcolismo del film di Edwurds degli anni Sessanta I giorni del vino e delle rose, qui è diventato il problema della disoccupazione, ma ugualmente coinvolge e sconvolge la vita della gente. Come cornice un affresco, di tale Bonaventura da Barga, che lei aveva contribuito col suo lavoro (e, capiremo alla fine, con una intuizione) a rimettere alla luce in una vecchia soffitta genovese, davanti al quale i due protagonisti si trovano nell'ultima scena, dopo un litigio che poteva essere decisivo per proseguire ognuno per la propria strada, prendendosi per mano e decidendo di rimanere insieme, qualunque cosa accada.
Fin qui il film, storia plausibile nel panorama italiano di chi si trovi, nel corso della propria vita, a perdere un lavoro, e ad annaspare per trovarne un altro, per capire che ogni vita lavorativa spesso fa storia a sè, e che è inutile guardarsi troppo indietro. Storia "di pancia", dove i due protagonisti viaggiano a braccetto per tutto il film, da coppia modello, fino a che piano piano si cominciano a vedere le crepe che quella bomba ad orologeria ha provocato nella loro vita.
"Tutto sarà come prima", continua a ripetere lui per la prima parte del film, incessantemente, credendo che quel fatto sia come un monsone passeggero, destinato a lasciare posto al sole. Solo per accorgersi, dopo aver sceso diversi gradini della propria autostima, e di quella del mondo esterno, che non sarà così, che quel fatto ha cambiato per sempre le loro vite.
Abbiamo una strana concezione del lavoro, nella nostra società. Legata a diverse variabili: il denaro, il ruolo sociale, il tempo. Non uguali per tutti, ovviamente: chi mette al primo posto i soldi, chi il tempo a disposizione, chi il ruolo sociale. Ma nella concezione tradizionale, quella medio-borghese che guarda al conto corrente, Albanese può solo perdere: soldi, prestigio, considerazione della propria famiglia, fino a quel momento felice quasi in maniera atipica. Da guadagnare ha in tempo libero, possibilità di guardarsi intorno e decidere dove indirizzare il timone della propria esistenza, ma è troppo preoccupato per godersi quel momento, troppo solo per consigliarsi con qualcuno, troppo bloccato per osare qualcosa, qualunque cosa; al più è talmente disperato che un giorno va a fare il pony-express, incontrando la propria figlia che viene a sapere del licenziamento.
Perchè è così che ti frega il lavoro: tu pensi di dominarlo, ma è lui che ti stritola, alla fine. Che tu l'abbia o meno, siamo tutti nel fiume che annaspiamo, in pieno terzo millennio, a lavorare male per guadagnarci da vivere, quando un tempo si pensava che le macchine ci avrebbero del tutto sostituito. Anzi, per andare avanti sulla flessibilità, sul necessario adattamento, abbiamo perso in sicurezze, siamo sempre lì che ci guardiamo alle spalle in attesa di un nemico che forse nemmeno c'è, nemmeno fossimo di ronda sulla Fortezza Bastiani.
Dov'è il nemico, saranno i nostri capi che portano le produzioni in giro per il mondo, o gli extracomunitari che bussano alle nostre frontiere e vengono a domicilio ad occupare spazi lavorativi, che peraltro nessuno vorrebbe più?
La storia di Albanese è una storia di grave disagio perchè la storia di una caduta, ma quante ce ne sono di vicende di precariati di vario genere, che vanno avanti per decenni in uno stato di calma piatta, senza consentire
sogni, aspirazioni, illusioni a chi le vive, e quante ce ne saranno nel prossimo futuro?
Il film si chiude sulla considerazione che il privato sconfigge le brutture del mondo. Forse.
Bisogna avere fortuna, talento, spirito di sacrificio, saper valutare le priorità. Conoscere queste priorità, che già non è da tutti.
Perchè in mezzo alle nuvole, alla fine, non è mica facile capire dove stai andando.
Alessandro Tozzi