23 dicembre 2006

Riaprire il fuoco- Cambiare il mondo

CAMBIARE IL MONDO

A vent’anni si combinano di solito un sacco di fesserie, non l’ultima quella di sperare che le cose cambino, operando dal di dentro, come si suol dire da teorici delle rivoluzioni. Orbene, il sistema - ormai lo so di sicuro - si muta operando dal di fuori. L’ho scritto nel mio ultimo romanzo e lo ripeto volentieri: se vogliamo che le cose cambino, occorre occupare banche e far saltare la televisione. Non c’è altra possibile soluzione rivoluzionaria. A Montecarlo non ci sono i canonisti, lo so. Paga tutto la pubblicità, gli utenti non pagano. Ma la scontano.(19 ottobre 1970)

(Luciano Bianciardi, Il fuorigioco mi sta antipatico - Stampa alternativa - in libreria a gennaio)

da www.riaprireilfuoco.org blog dell'antifondazione Bianciardi a cura di Ettore Bianciardi

16 dicembre 2006

Guerrieri italiani di ritorno dal fronte

Con il "Manifesto" oggi 16 dicembre è in vendita il supplemento del sabato "Alias". Nonostante la copertina si occupi di greatest hits, di white christmas, ed altre stronzate del genere, un piccolo occhiello a fondo pagina dice "Guerrieri italiani di ritorno dal fronte". L'articolo di Emilio Quadrelli è terribilmente bello, pur affogato, senza lanci di agenzia, occhielli sul Manifesto, come se sì, si pubblica ma non facciamone un caso(!) senza spiegazioni di sorta ( è un articolo, fa parte di un libro, chi sono gli intervistati?) al centro di Alias tra recensioni dei film di natale di De Sica e Bonolis, che ne hanno bisogno, si sa...L'articolo avrebbe meritato ben altro, e magari invece ci tocca anche ringraziare la redazione di non averlo cestinato......
Tre interviste AGGHIACCIANTI a soldati italiani combattenti di ritorno dal fronte o che, come nel caso di una soldatessa al fronte bramano di andarci al più presto, fanno piazza pulita, se ancora ce ne fosse stato bisogno, del mito dei " nostri bravi ragazzi in missione di pace all'estero". Come conclude magistralmente Quadrelli " la guerra non sembra essere altro che l'estensione della guerra combattuta quotidianamente contro i clandestini, basti pensare al numero di cadaveri clandestini di cui i mari delle nostre coste, militarmente presidiati, fanno incetta. Morti senza volto, per nulla diversi dai corpi profanati, torturati, bruciati e stuprati nelle varie zone di guerra e per di più totalmente inermi. A loro non è concessa neppure la carta estrema del suicidio combattente come forma ultima di resistenza. Con estrema semplicità e senza alcun clamore muoiono ingoiati dai flutti. Uno spettacolo che ciascuno può gustarsi seduto in poltrona insieme al suo corollario: il trasferimento dei sopravvissuti nei lager cpt. In poche parole bisogna riconoscere l'assenza di enfasi quando, rivolgendoci ai nostri soldati combattenti, li apostrofiamo benevolmente come i "nostri ragazzi". In effetti stanno facendo, senza se e senza ma, ciò che noi gli abbiamo chiesto e, al di là delle loro esperienze estreme, quel tipo umano è lo stesso che ogni giorno ritroviamo guardandoci allo specchio. Siamo partiti con non poco entusiasmo per andare alla ricerca di un particolare tipo umano, ma con non poca delusione siamo giunti a una scoperta stupida e terrificante, la stessa alla quale era pervenuta Arendt in uno dei suoi scritti più suggestivi: dietro l'orrore dell'olocausto e della tragedia nazista non vi era nulla di eccezionale, ma la prosaica banalità del male dell'uomo qualunque. La nostra banalità".
Dalle interviste....." Tu sai che quelli non sono come te, altre razze, altre culture, altri modi di vedere il mondo, sai soprattutto che sono inferiori a te, ma questo non vuol dire che non siano pericolosi, anche i topi e gli scorpioni possono uccidere.....il problema è che sono come bestie feroci e sono in grado di sopportare condizioni a noi inimmaginabili, me ne sono reso conto guardando come reggono agli interrogatori, hanno la stessa resistenza al dolore delle bestie e questo ti dice quanta differenza ci sia tra noi e loro....di civili ammazzati ne leggi tutti i giorni, ma sentirai parlare solo di quelli uccisi dai loro connazionali, non di quelli che facciamo fuori noi....dal nostro punto di vista non esistono civili, noi partiamo dal presupposto che tutti quelli che ci troviamo di fronte sono nemici....quella è gente non diversa dagli animali e al massimo li puoi trattare come animali un pò addomesticati, come gli extracomunitari che ci sono anche in Italia....devi fargli capire che la loro vita e la loro morte dipendono solo da te, che te puoi tutto e loro niente, i modi sono tanti....un altro sistema importante è quello della violenza verso le donne davanti agli uomini della famiglia; fare fottere la madre, la moglie o la sorella da 5 o 6 militari davanti ai maschi della famiglia è un modo di fargli perdere completamente l'autostima.....un altro modo è quello di mitragliare quando passi, senza alcun motivo, i passanti, cioè, senza farla troppo lunga, la prima fase è quella del terrore....l'idea di contro chi ci battiamo è molto chiara e del perchè ci battiamo ne siamo non solo coscienti ma orgogliosi. Sotto certi aspetti, la guerra attuale, è un pò la continuazione della guerra contro il comunismo. Anche adesso si tratta di liberare il mondo da un modello totalitario che schiaccia gli individui..............."
Buon natale.

11 dicembre 2006

Il boia Pinochet

Il boia Pinochet è finalmente crepato. Meglio tardi che mai.

08 dicembre 2006

Un caso esemplare

Dina Huincaleo e Rogelio Fermin sono due indios Mapuche della Patagonia. La pelle cotta dal sole, dal vento, dal freddo, entrambi di mezza età, mingherlino lui, più cicciottella lei. Sono in Italia su invito dell'associazione Ya Basta! del Comune di Montebelluna, del Comune di Venezia, e della università di Siena, nonchè dalla nostra banda di fotografi e filmaker, che ha coprodotto con loro un video sulla lotta decennale per non farsi deufradare delle terre comunitarie che occupano dall'alba dei tempi, dagli scippi di multinazionali come Benetton (900000 ettari avuti illegalmente a due dollari dal governo argentino). Parlano lentamente e semplicemente, ma con estrema chiarezza; le promesse del nuovo governo, noti commentatori televisivi che si schierano al loro fianco tranne poi scoprire che hanno acquistato migliaia di ettari illegalmente, Benetton che preoccupato della campagna a loro favore in Italia promette di restituire 5000 ettari(!!!). No, non vogliono elemosine o pietismi, " c'è chi crede che la terra gli appartenga, noi sappiamo di appartenere alla terra. Queremos tierra, queremos dignidad, la tierra Mapuche non està en venta! " Ovunque vanno Rogelio e Dina incontrano della calda solidarietà, un abbraccio che nelle cene e proiezioni, dal Veneto alla Toscana, si concretizza anche in fondi che stanno permettendo la costruzione di una radio Mapuche, per dare più possibilità alla R/esistenza di questi senza voce. Ma quando sono arrivati all'aereoporto di Fiumicino Dina e Rogelio si son visti sequestrare dalla polizia i passaporti e negare l'ingresso perchè, ai sensi della legge bossi-fini, non avevano abbastanza denaro da giustificare un soggiorno in Italia! Se non si è ricchi o se non si è carne da macello lavorativa non si entra in Italia, specie se un poco scuri di pelle! I viaggi di solidarietà, cultura e scambio di esperienza, per i solerti funzionari dell'ordine non esistono! Son stati bloccati una notte e un giorno senza cibo ed acqua, senza un interprete, mentre la polizia negava al telefono e di persona agli organizzatori preoccupati della loro scomparsa di averli fermati! E sarebbero stati respinti in Argentina se il Comune di Montebelluna, il Comune di Venezia, l'associazione con i suoi legali, ed una parlamentare (Luana Zanella), non avessero alla fine sbloccato il sequestro dei delegati Mapuche.
Dina è la rappresentante della comunità di Leleque, che si ritrova a vivere in una vecchia stazione ferroviaria dismessa nel cuore della proprietà Benetton. Senza acqua luce o riscaldamento. Non possono tenere animali, sono circondati da recinzioni, per prendere l'acqua devono camminare kilometri perchè è loro proibito attraversare la "proprietà privata" dei Benetton. Tutto intorno prati ben curati, pista d'atterraggio per elicotteri, villa super con perfino le stalle riscaldate per cavalli di razza..........La verdad es tan dificil negarla como de esconderla....

02 dicembre 2006

Un triste caso umano

Non ci piace ritornare sul triste caso umano dell'ex carabiniere Placanica, quello assolto dall'accusa di aver sparato in faccia e ucciso Carlo Giuliani perchè avrebbe sparato in aria ad un calcinaccio che avrebbe fatto deviare un proiettile e conclusioni simili senza il ritegno della vergogna pur di dimostrare l'indimostrabile. Purtroppo le notizie riportate dai principali quotidiani dopo che il fu milite ha rilasciato una intervista, ci costringono a farlo. Anche perchè l'Arma si è molto offesa dell'improvviso ritorno di memoria del suo ex membro. Il Placanica in buona sostanza dice che non fu lui a sparare i colpi che uccisero Carlo Giuliani al G8 di Genova nel luglio 2001. Dice anche che sul cadavere qualcuno infierì spaccando un grosso sasso in fronte e che quando fece ritorno in caserma fu festeggiato come un eroe, gli regalarono un basco dei cc parà, gli dettero il benvenuto tra gli assassini, e intonarono ameni cori ( purtroppo già sentiti spesso in molte caserme) del tipo 1-2-3 evviva Pinochet, 4-5-6 morte agli ebrei....Quello che NOTIAMO, al di là del triste caso umano di un tipo che ha avuto il coraggio di citare per danni la famiglia di Carlo Giuliani perchè a causa di loro figlio avrebbe perso l'amato lavoro nei carabinieri (!!!) di presentarsi alle elezioni e prendere 29 voti (!!) di riaffermare anche in questa intervista che tornerebbe tanto volentieri a lavorare nelle forze dell'ordine (!) è che Carlo Giuliani è stato ammazzato come un cane, il cadavere vilipeso, il presunto assassino festeggiato con cori nazisti, la memoria offesa da ex (?) picchiatori come La Russa che hanno trovato abominevole intitolare un aula del gruppo parlamentare di rif. com. a Carlo Giuliani, e che tutti gli sforzi per ottenere verità e giustizia su Genova sono falliti...e i protagonisti della diaz, dei pestaggi e delle montature e torture tutti promossi.....lo stato non si processa, ti ammazza, ma non cambia. Tutto il resto è un tragicomico balletto.

24 novembre 2006

Uccidete la democrazia!

MILANO — Uccidete la democrazia!, il nuovo film di Beppe Cremagnani ed Enrico Deaglio con la regia di Ruben H. Oliva, non è questione di sindrome da complotto ma di numeri, numeri e ore. Gli autori lo dicono subito, prima che scorrano in anteprima le immagini e Gola Profonda inizi il suo racconto. La notte di lunedì 10 aprile 2006 è ormai sfumata nel martedì e l'Italia è in sospeso, il flusso dei dati elettorali s'è bloccato, «non si riesce a capire che sta succedendo» dice Romano Prodi, l'esito delle elezioni è più che mai in bilico e intanto a Palazzo Grazioli, quartier generale di Berlusconi, è arrivato Beppe Pisanu. Mai successo che un ministro dell'Interno lasciasse il suo posto in un momento così. C'era già stato verso le 19,20. Per convocarlo, alle 23,14 gli telefonano al Viminale, «l'hanno costretto, letteralmente costretto ad andare». Berlusconi è furibondo, «gli grida in faccia, dice che lui non è disposto a perdere per una manciata di voti». Pisanu torna al Viminale e là ci sono quelli dell'Unione. Marco Minniti, Ds, è piombato in sala stampa agitatissimo, ha cercato i funzionari, ha fatto una telefonata. Poi si è rasserenato. Testimonianze. Immagini dei tg. E Gola Profonda che racconta: più tardi, a Palazzo Grazioli, ci sono quattro uomini chiusi in una stanza. Berlusconi, Bondi, Cicchitto e, ancora, Pisanu. Il Cavaliere non ci sta. E il clima si fa pesante, per il ministro. Volano insulti, «vigliacco», «traditore». Sono le 2.44 quando Piero Fassino annuncia alle telecamere: abbiamo vinto. A quanto pare dal film, il grande imbroglio informatico è sfumato in extremis, il programma che nel sistema di trasmissione dati del Viminale trasformava le schede bianche in voti per Forza Italia è stato fermato a ventiquattromila voti dal traguardo, l'esiguo vantaggio dell'Unione. E a questo punto le immagini rallentano, scrutano il volto segnato del segretario Ds, le occhiaie scure, lo sguardo cupo, mai vista una proclamazione così. In via del Plebiscito Berlusconi fa chiamare l'onorevole Ghedini, vuole preparare un decreto che dice farà approvare dal Consiglio dei ministri per sospendere il risultato elettorale fino a un nuovo conteggio e assicura che lo farà firmare a Ciampi.
Ma dal Colle fanno sapere che il Presidente «non vuole neanche sentirla», una richiesta simile. Abbiamo evitato un golpe? «Non s'innamori dei paroloni: guardi i numeri», sorride Gola Profonda, alias uno strepitoso Elio De Capitani, l'ex «Caimano» di Moretti che nel film incarna tutte le fonti riservate dell'inchiesta. Il personaggio che racconta quella notte delle Politiche 2006 è fittizio, «ma i numeri sono veri», spiega Deaglio, «aspettiamo che intervengano i magistrati, che il ministro chiarisca, che il presidente Napolitano ci rassicuri ». Gli autori sono partiti da un libro, Il broglio, firmato da un anonimo «Agente Italiano» e uscito a maggio. Il dvd contiene i dati provincia per provincia. Numeri che il Viminale pubblica di solito «dopo 40 giorni» e fino ad oggi sono rimasti riservati. Perché? «Perché sono impresentabili, ecco perché». Al centro del «docu-thriller», il mistero delle schede bianche. Dalle Politiche 2001 a quelle 2006, per la prima volta nella storia della Repubblica, sono crollate: da 1.692.048 ad appena 445.497, 1.246.551 in meno. Maggiore partecipazione? Ma gli elettori, al netto dei votanti all'estero, sono stati di meno: 39.424.967 contro i 40.190.274 di cinque anni fa. E soprattutto ci sono le «anomalie» statistiche. L'Italia è varia, la percentuale di «bianche» nel 2001 cambiava ad ogni regione, 2,6 in Toscana, 9,9 in Calabria, 5,5 in Sardegna... L'animazione del film fa ruotare lo Stivale come in una centrifuga, nel 2006 i dati sono omologati, «tutto dall'1 al 2%, isole comprese!». Tutto più o meno uguale, e non un posto dove le bianche non siano calate. In Campania, per dire, si è passati da 294.291 bianche a 50.145, meno duecentocinquantamila, dall'8 all'1,4%. E poi c'è la successone degli eventi. Alle 15 il primo exit-poll dà all'Unione cinque punti di scarto, come tutti i sondaggi. Ma alle 15,45 Denis Verdini, responsabile dell'ufficio elettorale di Forza Italia, dice che «alla Camera è testa a testa, lo si vedrà dopo diverse proiezioni».
E infatti: un'animazione mostra la «forbice» tra gli schieramenti che diminuisce «regolare come un diesel», ogni ora la Cdl guadagna mezzo punto e l'Unione lo perde. I primi dati del Viminale arrivano alle 20,19 e proseguono col contagocce. Alle 21,38 l'Ulivo invita a «presidiare i seggi», quando si bloccano i dati manda il segretario provinciale a Caserta. Inizia la lunga notte. Resta da scoprire l'arma del delitto. E Deaglio, nel film, vola in Florida a intervistare Clinton Curtis, programmatore informatico che nel 2001, inconsapevole, preparò un software per truccare le elezioni e poi ha denunciato tutto e ne ha fatto una battaglia. «Qualsiasi broglio le venga in mente, con la matematica si può fare». E al direttore di Diario, in mezz'ora, prepara un programma che distribuisce in automatico le bianche a uno schieramento lasciandone una percentuale tra l'1 il 2, «si può inserire nel computer centrale o a metà della rete, bastano quattro o cinque persone». Deaglio dice che le bianche mancanti e i voti in più di Forza Italia corrispondono: «Sono gli unici risultati sbagliati dagli exit-poll». Problema: se è vero, perché Berlusconi ha perso? La tesi del film è nella domanda che Deaglio fa a Curtis: è possibile interrompere il processo? «In ogni momento». Si torna alla notte di Palazzo Grazioli. Le pressioni su Pisanu. Il «colpo di teatro», l'arresto di Provenzano l'indomani. E l'«antropologia» dei democristiani, il loro fiuto infallibile. Gola Profonda conclude: «Quella sera il ministro ha fiutato. Ha capito subito che Berlusconi era un gatto che si agitava, ma era un gatto morto. E ha agito di conseguenza».

19 novembre 2006

fuori stazione

Grosseto
Sabato 2 dicembre, ore 17.30
Museo Archeologico e d'Arte della Maremma, Piazza Baccarini3

All'interno della rassegna "Uomini e/o Città", presentazione di

fuori stazione

di Alessandro Angeli, Robin/Voland

Sarà presente l'autore. Seguirà un intervento di Dario Radi e una performance dei Butòros

11 novembre 2006

Il premio letterario Daniele Boccardi sta morendo?

Il premio letterario Daniele Boccardi sta morendo?
Siamo alla fine del 2006 e del concorso indetto un anno fa, non ci sono più tracce certe.
In origine il termine per inviare i racconti era fissato al 31 maggio. Poi a livello informale siamo venuti a sapere (e lo abbiamo riportato nel nostro sito) che il termine era stato spostato al 31 ottobre per dare la possibilità di pubblicizzarlo adeguatamente presso gli istituti italiani di cultura all'estero. Non ci risulta che questo sia stato fatto, nè che la scadenza del 31 ottobre sia stata resa pubblica.
Il risultato è che adesso, in una ridda di voci, pare che i vincitori siano resi noti e premiati la prossima primavera (!) e che comunque ci sia una flessione dei racconti inviati.
Quel che è certo che ogni giorno riceviamo mail di concorrenti disorientati e delusi.
Senza voler scatenare inutili polemiche, ci chiediamo se questa situazione non sia l'anticamera per la soppressione più o meno strisciante del premio stesso. Ci chiediamo se le promesse dello scorso anno (rafforzare, rilanciare il premio) non fossero nel migliore dei casi, pie intenzioni. Ci chiediamo se eravamo pessimisti o facili profeti un anno fa nel pensare che l'opera di Daniele Boccardi viene sostanzialmente ostacolata; nessuna traccia di una edizione critica dei suoi scritti, nessuna del premio letterario a lui dedicato, nessuna via a lui intitolata nella sua città.
Come se le sue pagine fossero proprietà privata e non un patrimonio artistico universale.
Speriamo tanto di essere smentiti, dai fatti.

09 novembre 2006

Beit Hanoun

Per le donne ed i bambini di Beit Hanoun

Giuro,
tesserò per te un fazzoletto di ciglia
con parole più dolci del miele,
sei palestinese nella tua forma,
nelle parole e nella voce.
Palestinese tu vivi,
e palestinese tu morirai.

Mammud Darwish ( 1968)

26 ottobre 2006

Il Migliore

Non sappiamo cosa farete voi, ma l'Associazione "Il Fondo" sarà al gran completo davanti al televisore giovedì prossimo, 2 novembre, alle ore 21.00 a guardare "Il Migliore", trasmissione condotta da Mike Bongiorno su Rete 4. Perché? Eheheheh...

19 ottobre 2006

Caso Bianciardi - Io sto con Ettore, que viva l'anti-Fondazione

Inizi 2006. Una mail senza appello di Luciana Bianciardi blocca nei magazzini di Stampa Alternativa la nuova edizione del libro di Mario Terrosi, Bianciardi com’era, lettere a un amico grossetano, curata da Corrado Barontini e dal sottoscritto. Sembra così cassato, non senza scorno e amarezza, un anno di ricerche sode, approfondimenti critici e recupero per un più vasto pubblico dell’interessante esperienza della casa editrice grossetana “Il paese reale” attiva in Maremma negli anni ’70.
Editore e curatori, però, non ci stanno. Vien la primavera. E con essa il tour delle non-presentazioni del libro fantasma. A maggio a Pianizzoli (Massa Marittima) a giugno a Viterbo. I contributi di quegli incontri (Marcello Baraghini, Corrado Barontini, Stefano Pacini, Alberto Prunetti, il sottoscritto, Alessandro Tozzi) finiscono sul web. Intervengono sul tema anche Alessandro Collesano e Marzio Pieri (quest’ultimo in versi). Si accorge della cosa www.retididedalus.it sito del Sindacato Nazionale Scrittori. Marco Palladini, direttore della testata, pubblica i materiali della polemica, interviene egli stesso sul tema.
Ai primi di settembre Maria Iatosti scrive al sottoscritto per ringraziare i promotori dell’iniziativa. Chiede di poter leggere il libro fantasma. Esprime l’auspicio di un serio confronto sul tema con l’editore.
La solidarietà della Iatosti incrocia il tormentone dell’estate grossetana: le clamorose dimissioni in blocco del gruppo dirigente della Fondazione Bianciardi (Abati, Lorenzoni e altri). Fondazione la cui decennale attività è stata certo caratterizzata da alcuni meriti scientifici che non andranno sminuiti o rimossi, ma anche da non pochi difetti di metodo e prospettive. I più buoni parlano di “fondazione-cenacolo” i più cattivi di “obitorio culturale”. Si vocifera che il futuro della Fondazione sarà affidato a Luciana Bianciardi (irriducibile critica della gestione dimissionaria). Ma anche di un trasferimento della Fondazione stessa a Milano sotto l’egida di Vittorio Sgarbi.
Qualche giorno dopo, colpo di scena nel corso della IV edizione del Festival di letteratura resistente a Pitigliano. Alla presentazione del librino millelire della giornalista Irene Blundo, Bianciardi com’era a Grosseto (nel ricordo di Isaia Vitali), sale sul palco Ettore Bianciardi, figlio maggiore di Luciano, che prende duramente le distanze da scelte, comportamenti e veti della sorella. Ettore propone a Baraghini di ripubblicare a breve gli articoli di sport e costume che Luciano scrisse nei tardi anni ’70 per il Guerin sportivo. Ma soprattutto lancia la provocatoria proposta di una giocosa e creativa Anti-Fondazione che impedisca il risorgere della paludata Fondazione (sotto qualunque guida). Nella convinzione che, lungi dal valorizzare e diffondere l’opera di uno scrittore, istituti di questo genere finiscano troppo facilmente per ridursi a medaglifici intrisi di patetico localismo ecc.
Infine. Al di là della possibile riapertura del caso del Terrosi-Bianciardi fantasma e della possibilità di riportarlo in “vita” (vicenda che comunque, e per fortuna, con la querelle intorno alla Fondazione grossetana non c’entra punto), questo groviglio di malaventure bianciardiane mette in evidenza due questioni di più generale interesse.
Prima: l’attuale legge sul diritto d’autore e le immancabili divergenze di “pensiero” tra eredi penalizzano spesso volontà e possibilità di soggetti terzi di diffondere l’opera e l’eredità culturale di uno scrittore.
Secondo: la formalizzazione di istituzioni legate al nome di un autore si trasformano puntualmente in centrali di potere culturale (se non di profitto) che finiscono per allontanarsi facilmente, troppo facilmente, dalla propria ragione originaria. E questo, mi si permetterà, è quanto di meno bianciardiano sia dato immaginare sulla faccia della terra.


Antonello Ricci

13 ottobre 2006

Il paese delle barzellette

Un sindaco chiede un preventivo per pitturare la facciata del municipio e gli arrivano tre offerte. Quella di un tedesco di 3.000 euro, quella di un francese di 6.000 e quella di un italiano di 9.000 euro. Davanti a tali differenze convoca una riunione con i tre concorrenti affinché giustifichino i loro preventivi. Il tedesco gli dice che vuole usare una vernice acrilica per esterni che costa 1.000 euro e che vuole dare due mani, poi tra impalcature e pennelli si spendono altri 1.000 euro ed il resto è il suo guadagno. Il francese giustifica il suo preventivo dicendo che lui è il miglior pittore in circolazione, che usa una vernice poliuretanica e che vuole dare tre mani. La pittura viene quindi 3.000 euro, tra impalcature e pennelli si spendono altri 2.000 euro e gli altri 1.000 sono il suo guadagno. L'italiano, che viene ascoltato solo per curiosità poiché il suo preventivo non è paragonabile agli altri, dice:"Sindaco, il mio è sicuramente il preventivo migliore: 3.000 euro sono per te, 3.000 sono per me e 3.000 sono per il tedesco che pittura la facciata..."

A parte le risate, questa è l’immagine dell’Italia, ci ragionavo oggi, col mio consueto pessimismo cosmico, centro di gravità permanente dell’insoddisfazione. Ma, a parte mie considerazioni personali (ed inutili) sulla vita e sul mondo, le cose non vanno proprio, anche se rimaniamo una potenza mondiale, c’è il sole, la pizza, siamo campioni del mondo e abbiamo il Papa cazzuto antiislamico. Non è che poi le cose non vadano settorialmente, o il problema sia limitato ad alcune zone d’Italia, dove pure le cose vanno indubbiamente peggio che in altre, quanto meno sotto il profilo del livello di vita, anche se loro hanno il sole e il mare e un pochino se ne fottono: è che qui, come ti giri, c’è qualcosa che non va. Ed anzi, è meglio girarsi in maniera circospetta perché appena lo fai te lo buttano al culo, diciamo qui a Roma in maniera forse troppo cruda, ma maledettamente vera. Purtroppo dal mio osservatorio privilegiato, per certi versi, di avvocato, ne vedo passare troppe, alcune divertenti altre decisamente avvilenti, per poter anche solo lontanamente pensare positivo. Ma il problema è che buona parte di quello che entra nei Tribunali Italiani come merda (non parliamo di quello che non ci entra nemmeno, troppo complicato), rimane merda, senza che nessuno pensi minimamente ad emendarla quanto meno di una parte dell’olezzo che emana. Intendiamoci, non voglio fare un generico discorso disfattista sulla Giustizia che non funziona, sui giudici che non lavorano, sui cancellieri che non lavorano, sugli avvocati che lavorano anche troppo e su tutto il resto: ci sono situazioni e realtà di ogni tipo, a volte anche positive, e non è possibile dire che tutto e tutti sono male, ci sono svariate persone che si fanno il culo onestamente anche per chi non se lo fa. Il problema è che la Giustizia è proprio pensata, messa in piedi ed amministrata male, se ci vedessero i poveri Romani che hanno inventato il diritto si metterebbero le mani nei capelli: solo nell’ambito civile ci sono 23 procedimenti diversi, ognuno con un rito tutto suo, un disastro…ma se quello che fa cadere le braccia nell’ambito del disastro italico è questa tendenza generale dell’italiano al personalismo sfrenato, quello che finisce quasi per amputarmele è che non è possibile rivolgersi alla Giustizia italiana per avere Giustizia di fronte alle cose che non vanno. Ecco, l’incompetenza in particolare a me mette paura. Soprattutto la mia, in verità. Di tanta gente sento dire che sono fenomeni, sono bravissimi, sono questo e quello, cotale e siffatto, poi magari ci parli ed è un disastro, sono gravi solo con le parcelle. Eccole le tre i di Berlusconi, da far applicare a tutti: incompetenza, inaffidabilità, ignavia. Queste le tre i da migliorare per salvare l’Italia, e quanti di quelli che credono di essere chissà chi non ne hanno nemmeno mezza, limitandosi ad apparire bravi, tanto non serve esserlo. E fino a che l’avvocatura oggi in sciopero contro il Decreto Bersani, non protesterà vibratamente contro mille altre cose che non vanno, e che nessuno ha la minima intenzione di far andare bene, è poco credibile, tesa solo a salvare quelli che sembrano privilegi, ma sono solo il retaggio di un tempo e di una generazione diversa, quando a fare gli avvocati erano in pochi e più o meno ci campavano tutti di questo mestiere. Ma torniamo all’Italia, che è un problema più grosso, a forma di stivale. Un tunnel di cui non si vede l’uscita, francamente, che si entri da destra o da sinistra cambia poco, non sono di quelli che crede che la Sinistra al Governo possa rivoltare le cose in modo tale da cambiare lo Stato. E soprattutto gli Italiani. Ci vorrebbero riforme serie, volte a spazzare via una volta per tutte una serie di privilegi assurdi, di rendite di posizione, di amicizie, panza e sottopanza, amici degli amici, consulenze di vario genere. Quei 9000 euro della barzelletta diventerebbero 3000 all’improvviso. Forse 4000 o 5000, ma staremmo meglio tutti. E non è il solito discorso sull’evasione fiscale o sul pubblico impiego assenteista: ognuno dovrebbe fare un qualcosa in più e meglio. Ma deve essere sempre l’altro a partire, questo è il problema vero. E nessuno partirà mai: da qui il pessimismo cosmico. Qualche giorno fa, invece, si parlava con altre persone dell’ideale della fuga (con la u); l’idea di prendere e andarsene, lasciando qui tutto alle spalle. Andrebbe fatto, se non altro per salvarsi la vita, o per salvare quella delle generazioni a venire, che staranno anche peggio di noi, con più traffico, più ingiustizia, più smog, meno posti di lavoro. Solo che quella che un tempo veniva considerata una fuga personale, pensata quasi più come sconfitta che altro, ora diventa una vittoria; andare via come massima aspirazione, come sogno proibito. Ed allora forse diventa importante rimanere e cambiare quello che si può cambiare, quindi quasi niente, turandosi il naso ma cercando di mettere nel secchio dell’immondizia le cose che non vanno. Anche le proprie. Sapendo che sono tutte battaglie perse, ma che se se ne vincesse anche solo una ogni tanto, allora avrebbe avuto un senso rimanere. Senza pensare ad un atto di eroismo, ma solo che si è persone serie in un Paese di barzellette. Basterebbe. Anche senza 3000 euro in tasca.


Alessandro Tozzi

04 ottobre 2006

Perdonateli

Ieri c’era Saverio Tutino a svendere il suo Premio Pieve Santo Stefano per i diari autografi alla Banca Bassotti Toscana e, peggio ancora, a dar voce non a chi non l’ha mai avuta – come dovrebbe essere secondo lo spirito del Premio –, ma a uno che già ne ha tanta da assordare un sordo.
Oggi tocca a Adriano Sofri, a Roma, fare da zerbino e lacchè al campione degli scrittori del nulla: Walter Veltroni.
«Veltroni è 24 ore su 24 sempre aperto» ha dichiarato. Ma che stronzata! Provate ad andare in Campidoglio alle tre di notte, che se insistete a farvi ricevere dal sindaco Veltroni vi beccate piuttosto qualche strapazzata dai vigilantes.
Poi l’ex capo di Lotta Continua, non sapendo che altro dire, s’è esibito in una cinquantina di citazioni, da Klee a Giovanni ventitreesimo, da Modugno a Bergman. Tanto del libro di Veltroni non c’era nulla da dire, se non che con le pagine tutte bianche sarebbe stato meglio.
Perdonateli: Tutino e Sofri non sanno più quello che fanno e che dicono, o forse semplicemente hanno bisogno di lenire la solitudine della loro vecchiaia con qualche telecamera, e l’ex compagno divenuto sindaco se ne porta appresso parecchie, tanto paghiamo noi...
E soprattutto, insisto, leggetevi Il compagno Veltroni: Dossier sul più abile agente della CIA. Divertimento assicurato e in più molti buoni motivi per riflettere. Lo potete trovare e scaricare, anche per diffonderlo, all’indirizzo su Libera Cultura all'indirizzo
www.stampalternativa.it/liberacultura/?p=39.


Marcello Baraghini

19 settembre 2006

L'autunno italico

Il Papa sull’Islam, Prodi su telecom, Guido Rossi e Moggi sul mondo del calcio. E potremmo continuare. Ognuno a modo suo, è un momento di esternazioni, a volte mascherate, altre ben più evidenti e roboanti. Sarà la morte della Fallaci, regina degli esternatori, ma questo rientro dalle vacanze è segnato da polemiche, più o meno roventi (o Rovati, nel caso Telecom), più o meno interessanti, più o meno risolvibili. Quelle sul calcio sono di certo le più stupide, anche se in un settore che è il quinto per fatturato nel paese, ed è quindi difficile scherzarci sopra. In un Italia dove Novantesimo Minuto, e i suoi succedanei, sono pur sempre uno dei programmi più visti del palinsesto. Moggi accusa, altri si ribellano, Guido Rossi va in telecom ma vorrebbe rimanere, forse gli fanno capire che non è il caso e lui si incazza, saluta e se ne va. Come i bambini. Tutto bene, se non fosse che i bambini non fatturano come Guido Rossi e i suoi, che avranno le loro ragioni, ma che forse qualche errore l’hanno commesso: lasciare a giudicare Carraro e i suoi gli stessi giudici nominati da Carraro, è una delle pantomime più incredibili di chi arrivando sosteneva di voler cambiare tutto. Prodi, nel frattempo, si incazza alla notizia che forse Tronchetti Provera, deluso da Adriano e Mancio, vuole cedere Tim, inclusi tutti gli spot della Canalis vedova di Vieri. Ma come, senza nemmeno dirmelo? Il giorno dopo, come è ovvio, sbuca che il suo consigliere economico, ex Presidente della Lega Basket (ma questo è il camaleontismo italico, nessun problema), aveva fatto un piano di riassetto economico seduto sulla tazza del cesso, e tanto per gradire l’aveva dato ai vertici Telecom. Ma tutto a nome suo, senza che il Premier sapesse. Figura (e puzza) di merda, ma anche inutile a ben vedere: che tipo di impatto ha un piano che tre giorni dopo il Presidente di Telecom disattende, dicendo di voler vendere il pezzo pregiato (che non è solo Ibrahimovic, beninteso)? Le polemiche impazzano, il mitico Berlusconi arriva a chiedere le dimissioni di Prodi, sulla base che non poteva non sapere: sì, ma cosa, ci si chiede? Che il suo consigliere economico aveva fatto a capocchia un piano girato a Tronchetti, che l’aveva cagato dopo tre giorni? Tronchetti, sperando che Mancini faccia lo stesso, si dimette, per dare il buon esempio. Breve giro di mercato per capire chi è libero, ma Santoro si è (ri)piazzato in Rai, Trapattoni è al Salisburgo, Fiorello venerdì fa uno spettacolo al Palaeur per il Consiglio Nazionale Forense, Previti agli arresti domiciliari è diventato coordinatore romano di Forza Italia, insomma di persone libere e competenti sul mercato per guidare la Telecom non ce n’è. E allora c’è Guido Rossi, presidente onorario della Figc, 75 anni di incarichi importanti, roba che l’anno prossimo si libera la presidenza Onu e io un pensierino ce lo farei, magari vince i Mondiali anche con l’Onu. Rossi accetta, ci mancherebbe, ma parla di doppio incarico, le parcelle si sommano, mica c’è divieto in questo senso, guardate Maurizio Costanzo che da anni fa 34 cose insieme. Prodi allora pare abbia detto che anche lui vuole fare il premier, il prete e il professore universitario insieme, ma non gliel’hanno fatto fare, c’è incompatibilità. E allora Guido Rossi scelga, se è così, o tutti o nessuno. E Rossi sceglie, che gli frega della Figc, ormai poi un Mondiale l’ha anche vinto, e per gli Europei 2008 tira già un’ariaccia. La stessa che tira per il Papa che, in casa propria, si fa prendere la mano in un discorso, e in maniera molto elegante e colta, ma stranamente intesa da tutti, parla male dell’Islam. Putiferio e tragedia, come si permette il Papa, il nostro pastore tedesco? Ma quello è una pellaccia, è stato anche Ss da giovane, mica boy scout. Metteremo a ferro e fuoco il Vaticano, minaccia l’Islam. Esagerando. Basterebbe uccidere il Papa, che c’entra mò il Vaticano, che ti ha fatto la Cappella Sistina? Prendetevela col tedesco, no, ognuno si assuma le sue responsabilità: se Mancini domani perde a Roma vada pure in udienza dal Papa, e si immolino insieme per il bene di tutti. Ma Moggi rilancia: la cupola non ero io, non voglio che l’Islam possa incazzarsi con me, la Agea in Arabia non c’è arrivata mai, io sono una vittima come tutti gli italiani. La colpa è del buco della Sinistra, pare che abbia anche aggiunto, senza che si capisse se era il buco economico, o quello lasciato dal povero Pessotto sulla fascia. O forse di Cassano, che con i suoi numeri poteva fare qualcosa di meglio di quello che ha fatto. O anche di Totti che rifiuta la Nazionale, e Mastella che firma l’indulto e gli autografi alle sue feste di piazza. Basta che non sia colpa mia, la colpa è di chi ha aizzato gli islamici del calcio. Ma il Papa non ha mai parlato male degli arbitri, solo dei muezzin in giro per il mondo. Alla fine del giro di consultazioni Guido Rossi passa in Telecom, il Papa sulla panchina dell’Inter, Tronchetti in Figc, Mancini consigliere economico di Mastella, Prodi a Piazza San Pietro: può solo andar meglio. Speriamo.

15 settembre 2006

Quando gli emigrati erano anarchici e socialisti

Quando gli emigrati erano anarchici e socialisti

L'adolescente che amò la belva


Si è spenta a 93 anni America Scarfò, fidanzata clandestina di Severino Di Giovanni, leggendario anarchico italiano fucilato a Buenos Aires negli anni '30. Una storia d'amore fra emigranti più forte anche delle passioni politiche


America Josefina Scarfò, detta Fina, è morta a Buenos Aires il 26 agosto scorso. Aveva 93 anni. Nel suo nome, America, sono raccolte le speranze dei suoi genitori, una famiglia di calabresi emigrati in Argentina. Sono gli anni '20 del secolo scorso e gli italiani si trasferiscono in massa nel paese australe, che ha aperto le porte all'emigrazione: servono inglesi, tedeschi, nordeuropei che stemperino la pelle dei creoli. Invece arrivano italiani e spagnoli. Non portano solo la pelle olivastra e i capelli neri, ma diffondono anche il seme dell'anarchia e del socialismo. Su cin que milioni e mezzo di immigrati arrivati in Argentina entro gli anni '30 del Novecento, la metà sono italiani.
Tra questi c'è un maestro elementare nato a Chieti nel 1901, scappato al fascismo e arrivato nella città rioplatense nel 1923 con moglie e figli: si chiama Severino Di Giovanni.

Amore e rivolta

La polizia si accorge di lui il giorno in cui lancia dagli spalti del teatro Colòn di Buenos Aires un volantino inneggiante a Matteotti. «Abbasso il fascismo!», urla quel giovane di fronte all'ambasciatore italiano. La polizia argentina lo ferma e i miliziani fascisti lo prendono a pugni.
America si accorge di lui uscendo dalla casa dei suoi genitori. Lei ha quattordici anni e due fratelli anarchici, Paulino e Alejandro. Suo padre accetta di affittare a Di Giovanni un appartamento costruito a lato della propria abitazione. Severino esce presto la mattina per andare a lavorare in tipografia, America esce di casa per andare a scuola, e i due si incontrano sulle scale. Così inizia la storia dell'amore tra questa adolescente e un italiano che diventerà presto l'uomo più ricercato dalla polizia argentina.

Severino Di Giovanni diventa in breve la figura di rilievo dell'anarchismo espropriatore argentino. Circondato da esuli antifascisti, fonda il giornale in lingua italiana Il Culmine e inizia una campagna di attentati contro le strutture del fascismo a Buenos Aires. Colpisce con attentati esplosivi il consolato italiano e la sede della National City Bank. Realizza anche una serie di rapine per finanziare i suoi progetti editoriali.

Ma l'uomo che di giorno stampa volantini incendiari in difesa di Sacco e Vanzetti e di notte prepara congegni esplosivi non può fare a meno di arrossire quando incontra quell'adolescente sulle scale. E' imbarazzato, perché sente nascere l'amore; sente il peso della famiglia, lui che è italiano, che ha moglie e figli. Eppure gli anarchici propugnano il libero amore. Così ogni giorno, come un ragazzino alla prima cotta, si mette davanti alle porte del collegio per ragazze frequentato da America. L'aspetta all'uscita della scuola e l'accompagna a casa.
«Lui mi parlava in italiano, e io rispondevo in castigliano...». America ricorderà così quelle passeggiate. Arrivati a pochi passi da casa i due si separano, affinché il padre di America e la moglie di Severino non intuiscano quello che sta accadendo. «Ti voglio bene, si dichiarò così in italiano», ricorderà America. «Yo también, gli rispondevo io in castigliano».
Quest'uomo di quasi trent'anni, che presto la stampa argentina descriverà come una belva sanguinaria, camminerà mano nella mano con una adolescente, lungo i viali dei parchi di Buenos Aires.
Presto Severino sarà costretto alla latitanza, e non potrà più aspettare America. «A volte veniva al collegio, ma altre volte non poteva, perché era pericoloso. Allora mi scriveva, anche tre lettere al giorno». Severino manda le lettere attraverso altri anarchici che fanno da intermediari, convinti che quelle lettere siano parte di importanti progetti politici. «Io gli scrivevo, e lui leggeva le mie lettere e poi le distruggeva, perché diceva che era pericoloso, che la polizia poteva trovarle. E che io dovevo fare lo stesso. Ma io non l'ho fatto. Erano così belle... distruggerle, no, de ninguna manera».
«Mia amica. Ho la febbre in tutto il corpo. Il tuo contatto mi ha riempito di tutte le dolcezze. Mai come in questi lunghissimi giorni, ho tanto centellinato i sorsi della vita». Stentava con lo spagnolo e preferiva scrivere in italiano: «Vorrei potermi esprimere sempre nel tuo idioma per cantarti ogni attimo del tempo la dolce canzone dell'anima mia, farti comprendere i palpiti che percuotono fortemente il cuore ». Per America invece leggere in italiano era più faticoso. Eppure quella fatica doveva risultarle piacevole, se Severino scriveva: «mi contento nel sapere che per comprendere queste linee debbono essere rilette più di una volta da te». E ancora: «Rendimi duplicato il mio bene che ti voglio. Sappi che ti penso sempre, sempre, sempre. Sei l'angelo celestiale che mi accompagna in tutte le ore tristi e liete di questa mia vita refrattaria e ribelle».
Ricercato dalla polizia, Severino Di Giovanni incontra sempre più difficoltà per fissare gli appuntamenti d'amore. Sono anni in cui una adolescente può uscire di casa solo per andarsene a scuola, a meno che non abbia un fidanzato ufficiale, riconosciuto dalla famiglia. Ed è appunto questa l'idea clamorosa di Severino, abile a congegnare piani.

Il «colpo» di America

Il gruppo di espropriatori che si raccoglie intorno a Di Giovanni dovrà fare un «colpo» diverso dal solito. Bisogna portar via America di casa, senza che i suoi genitori e la moglie di Severino possano intuire niente. Si decide di utilizzare Silvio Astolfi, un giovane anarchico italiano, esperto autista della banda. America presenterà Silvio in famiglia come fidanzato. I due potranno passeggiare intorno casa, e Astolfi le porterà le lettere di Severino. Però Astolfi dovrà fingere di avere un lavoro regolare per ottenere l'assenso degli Scarfò, e soprattutto non dovrà prendersi libertà con America.
Il piano funziona. Si farà il fidanzamento ufficiale a breve. I genitori di America non hanno dubbi e neanche Teresa, la moglie di Severino. Si celebrano le nozze civili e America e Silvio partono in luna di miele verso una meta lontana, in treno. Ma alla prima stazione scendono dalla carrozza. Li aspetta Severino Di Giovanni con duecento rose rosse. America e Severino vanno finalmente a vivere assieme.

La loro convivenza è breve. Il gruppo di Severino - che include anche due fratelli di America, Paulino e Alejandro - continua a rapinare banche e a colpire i simboli del fascismo italiano, ma intanto i suoi amici cadono uno a uno.

Il 29 di gennaio del 1931 la tipografia di Severino è circondata dalla polizia. Inizia una fuga rocambolesca sui tetti di Buenos Aires. Loro sparano 500 colpi, lui cinque. Il sesto lo punta contro il proprio petto. Eppure quel colpo non lo ammazza. Lo portano all'ospedale, lo ricuciono e lo sbattono in carcere. Gli fanno un processo sommario e lo condannano a morte.
America è ancora un'adolescente, viene arrestata e poi rimessa in libertà. Le confiscano però le lettere di Severino. Le autorità concedono a Severino di abbracciarla un'ultima volta. Severino le chiede di essere forte e di sposarsi con qualche compagno. Poi al secondino chiede un caffè, molto dolce, come ultimo desiderio. Glielo danno, ma non è dolce abbastanza. «Avevo detto dolce, molto dolce. Pazienza, sarà per la prossima volta». Il plotone d'esecuzione viene allestito rapidamente, e toglierà ad America prima Severino e poi il fratello Paulino.

Le carte e il portacenere

Passano gli anni. America si sposa con un compagno, si laurea in letteratura italiana e inizia a insegnare italiano. Fonda una casa editrice libertaria e nel 1951 fa un viaggio nel paese dei suoi antenati. Raggiunge Chieti, prova a contattare i famigliari di Severino, ma trova solo silenzio e oblio.
Alla fine degli anni '60 uno storico, Osvaldo Bayer, inizia a spulciare archivi e intervistare vecchi protagonisti delle lotte degli anni '20. Il libro di Bayer, Severino Di Giovanni, riscatta la figura di Severino, ma la dittatura militare proibisce la riedizione del testo. Con la fine della dittatura Osvaldo Bayer e America si incontrano. Parlano di quelle lettere d'amore, che lui ricorda di aver visto tra le carte degli archivi. «Le mie lettere», dice America. Siamo nell'era di Menem, e Bayer riesce a ritrovare quelle lettere sequestrate: sono nel Museo della Polizia.
Prima di morire America vuole tornare a leggere le parole di Severino, e non vuole una fotocopia, ma l'originale. Solo il ministro dell'Interno può darle il permesso, secondo la normativa degli archivi argentini. Il ministro riceve Osvaldo e America, dice che farà il possibile. Dopo alcuni giorni i due sono convocati dal capo della polizia, che li ascolta con forzata benevolenza. «Lei mi chiede qualcosa che appartiene alla Policía Federal. Guardi», e prende un portacenere, «qui sopra c'è scritto 'Policía Federal'. Se lei mi chiede questo portacenere, io devo dire di no, perché non appartiene né a me né a nessun altro: appartiene alla polizia». Bayer insiste: «Però non si tratta di un portacenere, ma di lettere d'amore». Il funzionario torna a indicare il posacenere con gesto trionfale: «Sì, ma entrambi appartengono alla Policía Federal». «No, sono lettere d'amore che sono state scritte per me. Sono mie», dice quella donna anziana, con gli occhi neri e i capelli color neve.
America ha riavuto le sue lettere scritte in italiano, la lingua che parlavano i suoi fratelli anarchici fucilati e il suo amante. È sopravvissuta alla loro morte, è sopravvissuta a tante fucilazioni, a dittatura e repressione. L'ironia però non l'ha mai abbandonata. A chi le chiedeva se avesse mai avuto rimpianti, rispondeva che un rimpianto ce l'aveva: «Di esser stata fidanzata con un tal Astolfi, e che in tanti mesi di fidanzamento lui non mi ha mai dato un bacio». Adesso se n'è andata. Le sue ceneri sono state disperse in un piccolo giardino di proprietà della Federación Libertaria di Buenos Aires. Bayer si è impegnato ad andare ogni mese a leggere in quel giardino una lettera di Severino a America.

Alberto Prunetti
il manifesto 13.09.06

11 settembre 2006

Festival di Pitigliano; beate incertezze

Beati costruttori di incertezze


Era questo il titolo scelto da Marcello Baraghini per il Festival di Stampa Alternativa 2006, arrivato alla IV edizione, ormai un appuntamento fisso per chi segue da vicino la produzione della casa editrice viterbese, arrivata al 35mo anno di vita. A Pitigliano nel Magazzino di Stampa Alternativa in questi giorni ne sono arrivati diversi di costruttori di incertezze, un po' da tutto il mondo, seguendo le tracce di Marcello e della sua lettera 22: dagli americani Giorno e Sinclair, agli italianissimi Bellini, Feo, Blundo, Lo Giudice. Creando un effetto paradossale, cioè quello di fare della somma di incertezze un'unica indistruttibile certezza: c'è ancora spazio per fare letteratura in un certo modo. Per essere non solo apoditticamente "contro", ma anche propositivi nel portare avanti idee che possano germogliare, nella speranza che quelle che vengono da lontano possano arrivare anche più lontano. Non ce ne vogliano i due mitici scrittori venuti dall'America, ma ancora una volta simbolo del Festival di Pitigliano è Luciana Bellini, la scrittrice contadina come Marcello all'inizio la definì, anche se a questa sua pantomima non crede più nessuno: ci sono scrittori-geometri, scrittori-disoccupati, scrittori-veline, ma quel che conta è l'essere tutti (magari chi più chi meno, ma dipende dai contenuti) scrittori. Sabato mattina è stata presentata la sua ultima fatica letteraria, "Detti e ridetti", che come sottotitolo ha "grammatica popolare". Un libro che raccoglie, con grande attenzione e dovizia, una lunga serie di modi di dire maremmani, e che può diventare una specie di "frasario" ideale di un mondo
che, volente o nolente, sta andando a scomparire, purtroppo insieme al suo linguaggio di riferimento. Una testimonianza viva, spesso resa in forma di vere e proprie frasi più che pensieri, e per chi la conosce è immediata la sensazione di avere Luciana lì davanti a te mentre la dice, con quella sua aria a metà fra Sbirulino e Zarathustra (questo accostamento lo feci in un'altra occasione, e a distanza di tempo credo sia sempre più azzeccato). Forse perché al giorno d'oggi solo Sbirulino può essere anche Zarahustra, o forse perché ci da maggior piacere e ci rassicura anche un po' che certe cose "serie" vengano dette da Sbirulino, Luciana credo sia una delle poche persone nell'ambito della letteratura italiana, e forse mondiale, libera da condizionamenti e vezzi di ogni tipo, che può rifiutare interviste alle tv private perché si vergogna e poi con la stessa faccia tirare un moccolo tutto intero durante la presentazione. In un mondo in cui speriamo siano beati i costruttori di incertezze, o quelli che si credono tali, Luciana è
ancora più beata in quanto dispensatrice di certezze, tutte legate al suo mondo di riferimento, bello o brutto che sia; alla sua cultura popolare e alla terra maremmana; alla sua instancabile voglia di mettersi lì, anche ora che è nonna, e raccontare questo mondo così come lo vede, come sa fare. Accanto a lei sull'improvvisato palco, alla presentazione, Antonello Ricci e Alberto Prunetti, due amici prima di tutto, che ridendo si sono divertiti a parlare del libro e della sua genesi, dei problemi (alcuni irrisolti, ma forse irrisolvibili) che ha posto all'autrice, del mondo di Luciana, per certi versi favoloso e magico come quello di Amelie. Un tipo di mondo che, con tutta la buona volontà e la bravura di questa terra, certo non ci possono raccontare Giorno e Sinclair, probabilmente bravissimi a dipanare incertezze in quello che è in fondo il comune mondo di riferimento, incertezze che peraltro molti di noi già hanno tutte le mattine al risveglio
e si portano dietro per tutta la giornata; incertezze che vanno mescolate a certezze per tirare avanti, col pilota automatico, quando le cose attorno a noi vanno un po' peggio. Forse è per questo che tutti gli anni torniamo a Pitigliano, oltre che per ritrovare gli amici e cercare di continuare ad amare la letteratura: per (ri)scoprire che siamo destinati ad alternare
certezze ed incertezze, in egual misura, senza soluzione di continuità. Anche per apprezzare le une e le altre, a seconda dei tempi, dei modi e delle stagioni. Ci pensi Marcello Baraghini per il 2007: l'anno prossimo, a Pitigliano per il Festival, al quale torneremo senz'altro, abbiamo bisogno anche di certezze. Oltre a Luciana, ovviamente.

Alessandro Tozzi


Nella suggestiva cornice di Pitigliano si è chiusa con notevole successo di pubblico la quarta edizione del Festival di Letteratura Resistente organizzato dalla casa editrice Stampa Alternativa. Sarà bene ricordare che Stampa Alternativa, casa editrice di rilievo nazionale, ha sede a Viterbo ed è attiva da anni con iniziative di rilievo sia sul territorio viterbese che su quello maremmano.

Per questa edizione 2006, accanto a presenze di rilievo internazionale (gli statunitensi John Giorno e John Sinclair) andrà senz’altro segnalato il pirotecnico incontro di domenica mattina dedicato a Luciano Bianciardi. Incontro al quale, insieme con la giornalista Irene Blundo e Corrado Barontini, ha partecipato lo scrittore viterbese Antonello Ricci, curatore proprio per Stampa Alternativa della recente riedizione del libro di Mario Terrosi, Bianciardi com’era, lettere a un amico grossetano. Tale libro è attualmente bloccato nei magazzini della casa editrice per il drastico veto di una degli eredi-Bianciardi, la figlia Luciana.

Domenica nel corso di un acceso dibattito è intervenuto a sorpresa dal pubblico Ettore Bianciardi, figlio dello scrittore grossetano e fratello maggiore di Luciana. Ettore, oltre a prendere le distanze dalla censura della sorella ha servito su un piatto d’argento a Marcello Baraghini (Mr. Stampalternativa) l’idea di riproporre in volume gli straordinari pezzi di costume che Luciano Bianciardi pubblicò all’inizio degli anni ’70 sulle colonne del Guerin Sportivo. Baraghini non ci ha pensato due volte. Incassato il sì dell’editore, Ettore Bianciardi ha letto alcuni brani suscitando risate e applausi a scena aperta da parte del folto pubblico presente. Baraghini e Bianciardi hanno poi proseguito con un duetto-requisitoria sulla grossetana Fondazione Bianciardi e sulle polemiche che ne hanno travolto i vertici nel corso dell’estate. I due si sono salutati col reciproco impegno di dar presto vita ad un’antiFondazione che possa rilanciare l’interesse per il narratore grossetano presso un più vasto pubblico.


Antonello Ricci



07 settembre 2006

il Fondo e Luciana Bellini al festival di Pitigliano

Massa Marittima 7 settembre 2006
Lettera al quarto festival della letteratura resistente di Pitigliano
Cara Luciana, caro Marcello, anzitutto perdonate l' intoppo, avrei voluto anche quest'anno essere qui di persona per abbracciarvi meglio e godermi Giorno, Sinclair e compagnia ma, MAREMMA CANE, sono costretto da un lavoro improvviso alla lontananza, scusatemi, che le mie tasche sono vuote e SETTEMBRE ASCIUGA LE FONTI, si sa.
Antonello ed Alberto penseranno molto più degnamente di me a presentare questo libro così bello e colmo di una lingua che si rotola tra noi come dei cinghiali nella macchia!
Due parole però le voglio dire che un sia mai che Luciana si impuzzolisca e mi dia del BISCHERO SCIOLTO!
Abbiamo conosciuto Luciana Bellini quattro anni fa, in una osteria, ad una serata organizzata da noi e Marcello per presentare i suoi libri di allora. Quando dico noi intendo la nostra associazione IL FONDO, che ha anche un sito molto denso, andatelo a vedere www.associazioneilfondo.it, che almeno capite la storia molto maremmana, i libri editi, le avventure e le sventure, i premi e le legnate,che all'inizio eravamo intitolati a DANIELE BOCCARDI che come LUCIANO BIANCIARDI è nato a Grosseto ed è morto troppo presto, che come lui ha detto cose scomode, tanto che riesce ancora a suscitar problemi non da poco con gli eredi come Bianciardi. Una storia dentro ad una storia, se volete Antonello vi spiegherà ancor di più estesamente, a me ancora certe brutture del genere umano bruciano. Dicevo della serata in cui è nata l'amicizia; ne son seguite diverse di presentazioni e banchetti, tutti memorabili, libri e tortelli, discussioni e veglie. Dall'amicizia e corrispondenza epistolare con Luciana è nato persino un libriccino millelire, " Bellini queste lettere! Lettere di Luciana Bellini agli amici" edito chiaramente da Stampa Alternativa, librino che vi consiglio caldamente ad integrare i libri che prenderete stamani, se volete capire meglio il personaggio Luciana, ribelle e irridente, cittina e grande, generosa e fantasiosa.Insomma, un euro speso bene, non fate LE CALIE. Il bello è che Luciana lo dice a Marcello; editore all'incontrario! No, perchè lei.....CHI SI SOMIGLIA SI PIGLIA, e la Bellini oltre che una bastian contraria è una scrittrice all' incontrario, che pesca nei cassetti i quadernini zeppi di scrittura minuta in base al colore delle copertine, oppure FACENDOSI UNA BELLA FRUSTA PE IL SU CULO, ricopiando quelli che pensava già pronti, per darli alla svelta all'editore all'incontrario, tranne poi accorgersi di infilarsi in un ginepraio, COGLIONI MONACHE!
Così gli è toccato giocà con le parole per altri due anni, soffià indispettita che Marcello aspettava. Intanto noi carogne a sbircià in cataste di fogli, mentre si faceva merenda e, guarda caso, ci veniva incontro il detto EH CERTO IL PRESCIUTTO E' IL PRESCIUTTO ! Poi naturalmente Luciana ottiene l'effetto contrario di quello auspicato; credeva di fare un libriccino di detti senza pretese, ne è uscita una grammatica popolare vera, ed allo stesso tempo una testimonianza viva della civiltà contadina e della sua lingua. Cara Luciana, ti auguro cento di queste avventure donchisciottesche, anche se a te toccherà di certo far Sancho Panza che Marcello pole fà solo Don Chisciotte che secco com'è a vedello PARE DI METTE LA PELLE AD UN BASTONE. Te continua a pescare i quadernini, che tramutati in libri a noi ci mettono davvero di buon umore e ci ridanno financo il sorriso, CHE POI SI SCODINZOLA COME I CANI. Oh, intendiamoci, cagnacci maremmani, con antenati dal pedigree brutale, brutti, ' gnoranti, più forti della malaria e duri come lecci, generosi e libertari,senza collare, e mordaci, sempre! Qualcosa di questi caratteri ci rimane addosso, se anche oggi ci ritroviamo qui, senza sponsor e fanfare, caparbi, resistenti e innamorati della scrittura e delle storie. Sì, E' PROPRIO VERO CHE L'AMORE E' CIECO!
Qui al magazzino di Pitigliano che come scrive Luciana " c'è tanti scrittori di passaggio, nel senso che sono scrittori all'acqua di rose come me. Ci sò quelli veri, c'è anche lì, un mondo a conto suo, però è un mondo che riconosco. Sarà che alla fine si mangia il cacio e la panzanella di Federica, si beve il vino di Fabrizio, si dà un bacino a Pietro e Alberto che, qualcuno ha mai visto giocare e andare avanti e indietro i cittini dentro le librerie, e alle presentazioni ufficiali?! Qui da Marcello si può, e io che sò sempre stata una cittina che il guinzaglio un mi garbava, mi ci trovo tanto, ma proprio tanto bene. "
Grazie di cuore Luciana, grazie Marcello, faccio da qua un brindisi col vino bono ai 35 anni stupefacenti e resistenti di Stampa Alternativa. Ti ricordi? Avevo 15 anni e ti mandai 500 lire in una busta per chiederti il manuale per andare in India e te invece, visto che vivevo in campagna, mi mandasti quello per coltivare la Maria. A distanza di tanti anni la Maria non la coltivo più, ma la libertà sì, continuamente, che hai seminato bene Marcello, editore all'incontrario, cane da penna di storie e scrittrici incredibili come Luciana Bellini.
Un abbraccio forte a tutti
Stefano Pacini per l'Associazione culturale il Fondo

03 settembre 2006

festival letteratura resistente

"Beati Costruttori di Incertezze”
IV Festival Internazionale della Letteratura Resistente
Pitigliano e Elmo di Sorano
venerdì 8, sabato 9 e domenica 10 settembre

Marcello Baraghini è l’ideatore e organizzatore del ‘Festival Internazionale della Letteratura Resistente’ che quest¹anno, alla sua quarta edizione, è anche l’occasione per festeggiare i primi 35 stupefacenti anni di attività editoriale di Stampa Alternativa; attività che più di ogni altra si è impegnata e si impegna a smantellare certezze precostituite: da qui il provocatorio titolo di questa IV edizione del Festival.
Si festeggia insieme a ospiti d’onore come
John Giorno, che terrà un reading delle sue poesie mai edite prima in Italia ­ tratte dal nostro fresco di stampa La saggezza delle streghe (curatore Jonny Costantino, traduttore Domenico Brancale), e John Sinclair, che suonerà (accompagnato dal chitarrista Mark Ritsema) e leggerà brani dalla sua prima opera pubblicata in Italia, Va tutto bene, una raccolta di articoli, poesie, pensieri (tradotti da Alberto Prunetti), edita per l’occasione e curata da Matteo Guarnaccia, anche lui presente al Festival con le sue ultime invenzioni. Chiude il Festival il primo gruppo musicale ecologico italiano, NoiNatiMale, insieme a molti altri musicisti.

John Giorno, poeta newyorkese, classe 1936, fin dai primi anni Sessanta piomba sulla scena artistica come personaggio trasversale. Se nel 1965 compone la sua prima opera poetica, The American Book of the Dead, in gran parte confluita nel libro Poems by John Giorno 1967), già nel1963 era stato la superstar dormiente di Sleep, il film d’esordio di Andy Warhol. Non solo poeta e performer, Giorno è stato ed è autore di video e installazioni, nonché fautore di eventi culturali, insomma un grande catalizzatore di energie creative; basti ricordare che nel1969 ha realizzato “Dial-A-Poem”, originale sistema di comunicazione telefonica che consentiva alla gente comune di dialogare al telefono con artisti della Beat Generation, e che nel1972 ha fondato il “Giorno Poetry System”, una macchina di poesia e musica che ha finora prodotto oltre una quarantina di dischi e video.
Scomparse le icone della Beat Generation Kerouac, Ginsberg, Corso, Burroughs a impedire che diventassero fantasmi buoni solo a essere consumati da scrittori e sociologi ci ha pensato John Giorno, il più giovane affiliato del gruppo.

John Sinclair, agitatore culturale americano e poeta beatnik, leader del movimento contro la guerra in Vietnam negli anni Sessanta; manager del gruppo rock radicale MC5; attivista per i diritti dei consumatori di cannabis; fondatore del partito delle Pantere Bianche (la cui distruzione era una priorità per l’FBI e un'ossessione per Nixon); prigioniero politico e martire della rivoluzione culturale hippie (condannato a dieci anni di reclusione per due spinelli) venne liberato grazie a un movimento di massa che ebbe il suo culmine nel concerto organizzato in suo favore da John Lennon (Sinclair è l’unica persona reale a cui John Lennon abbia dedicato una canzone). Grande studioso di cultura afroamericana, negli anni Novanta Sinclair si trasferisce a New Orleans dove diventa il più popolare dj radiofonico della città. Nel 2004, nauseato dalla situazione politica americana, va in esilio ad Amsterdam, dove continua a esibirsi sul palcoscenico con la sua band (John Sinclair & the Blues Scholars), a scrivere poesie e condurre programmi radiofonici.

Matteo Guarnaccia, artista, saggista, uno dei massimi esperti in Italia di culture underground e beat generation, ha scritto numerosi libri su questi argomenti; è anche un noto e apprezzato disegnatore e illustratore. Durante il Festival presenterà il suo ultimo saggio Almanacco della pace e aprirà una mostra delle sue opere più recenti dal titolo ‘Pluralità estatiche’.


PROGRAMMA

Venerdì 8 settembre (Pitigliano - Magazzino Giustacori, via Zuccarelli 260): nel pomeriggio, ore 17.00, Matteo Guarnaccia presenta i suoi disegni originali ‘Pluralità estatiche’ e, alle ore 18.30, il suo ultimo libro Almanacco della pace; a seguire, alle ore 21.00, Giovanni Feo con il suo Geografia sacra; in serata, ore 22.30, musica celtica con Andrea Sechi (arpa celtica) e Anita Foerster (percussioni).


Sabato 9 settembre: il mattino alle 11.00 Luciana Bellini e Il Fondo con Detti e ridetti ­ grammatica popolare. Nel pomeriggio, ore 17.00, reading di John Giorno introdotto da John Sinclair al Magazzino Giustacori. La sera, alle 22.00, alla ex-scuola elementare (ora Circolo Arci-Veltha) di Elmo di Sorano, performance di John Sinclair accompagnato dal chitarrista Mark Ritsema e introdotto da Matteo Guarnaccia, curatore del libro Va tutto bene, e da John Giorno. I due libri di riferimento sono La saggezza delle streghe di John Giorno e Va tutto bene di John Sinclair, pubblicati da Stampa Alternativa nella collana Eretica e inediti in Italia.


Domenica 10 settembre: la mattina, alle ore 11.00 al Magazzino Giustacori, l’autrice Irene Blundo ci parla del suo fresco di stampa Bianciardi com¹era a Grosseto nel ricordo di Isaia Vitali (Millelire speciale). Nel pomeriggio, alle ore 18.00, Sara Donzelli presenta La regina dei banditi di Federico Bertozzi (Millelire speciale) con la regia di Giorgio Zorcù. Alle ore 20.30 Manila Lo Giudice interverrà con il suo romanzo-opera prima Nucleo Accumbens. La sera, a partire dalle ore 22 al Veltha di Elmo, grande festa di chiusura per i primi trentacinque stupefacenti anni di Stampa Alternativa con la prima rock-band ecologica italiana, i NoiNatiMale.



NON SI PAGA ­ NON CI SONO SPONSOR



Libri di riferimento


John Giorno, La saggezza delle streghe, edizioni Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, collana ‘Eretica’, 128 pagine, 10.00 euro.


John Sinclair, Va tutto bene / It¹s all good, edizioni Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, collana ‘Eretica’, 224 pagine, 12.00 euro.


Matteo Guarnaccia, Almanacco della pace, edizioni Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, collana ‘Eretica speciale’, 128 pagine con inserto a colori, 15.00 euro.


Giovanni Feo, Geografia sacra, edizioni Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, collana ‘Eretica speciale’, 160 pagine, 13.00 euro.


Luciana Bellini, Detti e ridetti, edizioni Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, collana ‘Strade Bianche’, 160 pagine, 12.00 euro.



John Giorno e John Sinclair saranno anche presenti, a fine Festival a due appuntamenti romani.


Giorno alla Feltrinelli di via del Babbuino, l’11 settembre alle ore 18.00 e Sinclair il 12 settembre alle ore 19.00 presso la “Festa di Liberazione” alle Terme di Caracalla, insieme al suo chitarrista Mark Ritsema.



Per ulteriori informazioni o contatti con gli autori: ufficio stampa Monica Mariotti 347-6212187 ufficiostampa@stampalternativa.it

31 agosto 2006

8/9/10 settembre, il Festival di Stampa Alternativa

BEATI COSTRUTTORI DI INCERTEZZE
IV° FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA LETTERATURA RESISTENTE

Pitigliano e Elmo di Sorano, 8/9/10 settembre 2006


Programma


Venerdì 8 – Pitigliano, Magazzino Giustacori, via Zuccarelli 260, a 50 mt dalla Sinagoga
- ore 17,00 – Matteo Guarnaccia presenta la mostra dei suoi disegni “Pluralità estatiche” e il suo ultimo libro Almanacco della pace (www.stampalternativa.it/libri.php?id=88-7226-937-7).
- ore 21,00 Giovanni Feo illustra la Geografia sacra, argomento e titolo del suo libro fresco di stampa.
A seguire: performance di Andrea Sechi (arpa celtica) e Anita Foerster (percussioni).

Sabato 9 – Pitigliano
- ore 11,00 – Luciana Bellini e Il Fondo, Detti e ridetti – grammatica popolare (www.stampalternativa.it/libri.php?id=88-7226-935-0).
- ore 17,00 – John Giorno: reading e presentazione del suo libro La saggezza delle streghe
(www.stampalternativa.it/libri.php?id=88-7226-936-9) con il curatore e traduttore Domenico Brancale, ospite John Sinclair.

- ore 22,00 – Elmo di Sorano, Circolo Arci-Veltha: performance di John Sinclair con Mark Ritsema e presentazione del suo libro Va tutto bene con il curatore Matteo Guarnaccia. Ospite John Giorno.

Domenica 10 – Pitigliano
- ore 11,00 – Irene Blundo (autrice) su Bianciardi com’era a Grosseto nel ricordo di Isaia Vitali (Millelire speciale).
- ore 18,00 – Sara Donzelli propone La regina dei banditi di Federico Bertozzi (Millelire speciale) con la regia di Giorgio Zorcù.
- ore 20,30 – Manila Lo Giudice e il suo romanzo-opera prima Nucleo Accumbens.
- ore 22,00 – Elmo di Sorano – NOINATIMALE e ospiti: concerto per i “trentacinque stupefacenti anni di Stampa Alternativa”.


NON SI PAGA – NON CI SONO SPONSOR

Per approfondimenti:
www.stampalternativa.it/wordpress/index.php?cat=8

Il giorno 9 settembre, Detti e ridetti, il nuovo libro di Luciana, verrà presentato dal malefico trio composto da Stefano Pacini, per l'Associazione Culturale Il Fondo, Alberto Prunetti e Antonello Ricci.

30 agosto 2006

Dal blog di Stampa Alternativa

Gli scritti sottostanti sono i due commenti che Ettore, figlio di Luciano Bianciardi, ha postato all'intervento di Antonello Ricci "Bianciardi com'era di Mario Terrosi: la sfortunata vicenda di un'edizione fantasma"

Cari Signori,
per puro caso leggo sul vostro sito, assieme alla notizia, per me entusiasmante, del dissolvimento della sedicente Fondazione Luciano Bianciardi, che ho sempre ritenuto in completo contrasto con la figura e il pensiero dello scrittore, alcune polemiche tra la Vostra Casa Editrice e Luciana Bianciardi, mia sorella, circa la pubblicazione di un libro di Mario Terrosi, che, se capisco bene, è costituito in gran parte dalla corrispondenza tra l’Autore e Luciano Bianciardi, mio padre. Per quel che riesco a capire, ma sarò lieto se vorrete spiegarmi meglio, è sorta una disputa su eventuali “diritti d’autore” per i quali Luciana Bianciardi avrebbe impedito a voi di pubblicare tale libro.
Nel seguito delle vostre note, fate riferimento all’atteggiamento sulla questione e più in generale, degli EREDI.
A questo punto mi preme precisare quanto segue.
1) Eredi legittimi di Luciano Bianciardi sono oltre alla figlia Luciana, la moglie Adria Belardi ed il sottoscritto figlio Ettore.
2) l’erede Ettore Bianciardi non ha mai posto problemi riguardo al diritto d’autore, anche perchè nessuno gli ha mai chiesto niente.
3) Luciana Bianciardi non rappresenta in alcun modo la volontà di Ettore Bianciardi, neanche nelle questioni relative ai diritti d’autore presunti o meno del comune padre.
4) Ettore Bianciardi considera il cosiddetto diritto d’autore un retaggio medioevale, che deve essere presto abolito nella giurisprudenza, ma prima di allora nella coscienza e nell’intelligenza delle persone.

Ciò premesso, sicuro che nel seguito e per questioni simili, vi riferirete a Luciana Bianciardi e non più agli Eredi Bianciardi, mi piacerebbe conoscere qualcosa di più riguardo a questa iniziativa ed al resto delle iniziative che proponete riguardo a Luciano Bianciardi e più in generale riguardo i problemi (ahimé) del cosiddetto lavoro culturale. Non è escluso che in tale riguardo possa decidere di esercitare il terzo dei miei diritti d’autore nel rispetto delle mie convinzioni alle quali accennavo.
Grato di una Vostra risposta vi saluto e vi faccio gli auguri per una attività che mi pare meritoria

Ettore Bianciardi


E così è vero!
L’amico Gregorio Scalise me lo conferma, ha ricevuto una lettera dalla sedicente Fondazione Bianciardi, firmata da quattro signori piangenti che annunciano le loro dimissioni dovute alla cattiveria del mondo intero, contro di loro coalizzato; sono: Velio Abati, Maria Pia Betti, Walter Lorenzoni, Gabriella Solari.
L’inizio è promettente, ma gli altri? Non credono tutti i signori (e le signore) che a vario titolo sono state presenti in questo sciocco e sciagurato organismo autoreferenziale di farsi anche loro da parte, magari chiedendo scusa all’umanità?
Non vedono la necessità di una… rifondazione della Fondazione (se proprio c’è bisogno di essa)? Non credono che la gestione personalistica ed antitetica al personaggio ricordato non debba esser ormai considerata conclusa? Non credono sia ora di cessare di offendere la menoria di LB, continuando a fare le cose che lui detestava e che ha sempre dileggiato?

Suvvia un po’ di buona volontà e un minimo di intelligenza.

Con la speranza di buone notizie

Ettore Bianciardi

26 agosto 2006

Agosto nero

Non so se avete fatto caso, tra una pizza ed una occhiata distratta ai giornali, che si è svolta una guerra questa estate.
Fortunatamente è stata dichiarata una tregua per ferragosto, e adesso pare che le armi tacciano.
Tacciono per sempre anche 1200 civili libanesi e 40 israeliani.( Per non parlare delle centinaia di combattenti morti). Un terzo delle vittime sono bambini sotto i 12 anni. Un quarto della popolazione libanese ha dovuto abbandonare le proprie case. Il numero dei palazzi e delle infrastrutture civili ( anche ospedali) bombardati è altissimo.
Amnesty International accusa, documenti alla mano, Israele e le sue forze armate, di crimini contro l'umanità. A confronto, purtroppo, un crimine che commosse il mondo, come la strage di bambini nel Caucaso a Beslan ( lo ricordate? ricordate le luci accese sui balconi ed i temi dati in tutte le scuole italiane ed europee? ) pare un episodio minore.......e invece no; NO. Come si fa? Molto semplice; basta sminuire, minimizzare, dare certo le notizie, ma alcune, quelle che dovrebbero apparire in prima pagina, metterle nell'interno, in angolo, senza troppa enfasi.
Ci sono morti di prima e seconda classe, quelli buoni e quelli cattivi. Non parlo di giornali e giornalisti ( si fa per dire) tristemente noti, no, parlo di Repubblica ad esempio.
Tristissimo tramonto di un giornale nato sull'esempio di Le Monde o l' Indipendent, e finito in mano, per gli indirizzi di politica estera, ad una lobby ebraica che dir faziosa è farle un complimento. Pronta a sparare l'accusa più infame ( antisemita ! ) a chiunque si provi a criticare la politica omicida e razzista del governo( non del popolo) israeliano, che dagli omicidi mirati, ai muri divisori, ai bombardamenti aerei esprime tutto il suo imbelle sfoggio guerriero in nome di una pace a senso unico; quella dei cimiteri e dei bantustan.
Il bello è che persino un moderato come D'Alema viene accusato di essere colluso con i terroristi per aver visitato i luoghi rasi al suolo dall'aviazione israeliana.
Che poi il figlio di David Grossman sia caduto al fronte, umanamente ci rattrista, ma volerlo spacciare per campione di pacifismo tanto da riportare tutta l'orazione funebre del padre, ci pare di pessimo gusto, considerando il fatto che il soldato in questione aveva vinto il suo corso per comandare carri armati, e che questi comandava quando è caduto. Quanti bambini ( per errore, per carità, li chiamano danni collaterali...) hanno ucciso questi carri armati?
Ci sono centinaia di pacifisti in Israele che hanno conosciuto il carcere perchè si rifiutano di continuare a svolgere una occupazione coloniale dei territori palestinesi. Ma di loro Repubblica non parla.
Ben poco anche di Angelo Frammartino, pacifista e internazionalista di 24 anni ucciso da un palestinese coetaneo che si era recato a Gerusalemme per far fuori a coltellate il primo ebreo che avesse incontrato nei vicoli bui della città vecchia. Dietro la follia omicida una vita di cugini uccisi ed arrestati e 40 anni di occupazione militare e miseria. Un dramma nel dramma dentro un gigantesco dramma. Le due famiglie, annichilite dal dolore, ma convinte che vivere in pace si può, si incontreranno.
Se denunciare tutto questo è essere antisemiti, Repubblica si renda conto con la sua grottesca caricatura della realtà che alla lunga rischia proprio di fare il gioco degli antisemiti veri, dei razzisti e nazisti nascosti nel ventre molle di ogni popolo. E questo non è rendere un bel servizio al popolo israeliano. Solo una pace duratura tra due popoli e due stati può dare nel tempo dei frutti di pace. Il resto è retorica, menzogna e follia.

12 luglio 2006

Appello per i fatti al G8 di Genova

APPELLO PER UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SUI FATTI DEL G8 DI GENOVA


In Italia, nel luglio del 2001, abbiamo vissuto quella che Amnesty International ha definito "la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale".
Quella ferita, inferta così violentemente il 20 e 21 luglio, ha lasciato un'ennesima macchia di sangue nelle pagine della storia del nostro paese, il sangue di migliaia di giovani umiliati, malmenati e torturati da coloro che sarebbero stati addetti a preservarne la sicurezza; la vita rubata al giovane Carlo Giuliani, vittima sacrificale di una mattanza indistinta.
La ferita dei giorni di Genova è rimasta aperta e dolorante nelle coscienze di tanti italiani e italiane che ancora s'interrogano sulle responsabilità politiche e materiali di quei gravi fatti, di chi si chiede come mai a cinque anni di distanza ancora non si sia fatta chiarezza sulla linea di comando, sulle inadempienze, sugli abusi di potere, sugli occultamenti di prove o sulla loro invenzione.
Subito dopo quegli avvenimenti fu istituita una Commissione di indagine conoscitiva bicamerale dotata di poteri d'indagine limitati. La natura stessa della Commisione, nonché il breve tempo in cui si svolsero i lavori (conclusi il 20 settembre 2001) denotano la volontà del governo di centrodestra di chiudere velocemente la faccenda, auto-assolvendosi agli occhi del Paese. Tale Commissione ha conseguentemente prodotto solo una sommaria e lacunosa ricostruzione dei fatti accaduti a Genova, senza arrivare ad una ricostruzione puntuale degli avvenimenti.
Anche i successivi eventi processuali (a cominciare dalla archiviazione dell'omicidio di Carlo Giuliani) sono risultati viziati dalla stessa logica: chiudere la "pratica Genova" nel più breve tempo possibile. Si sono dunque banalizzati i fatti, riconducendoli ad una logica di "manifestanti violenti" contrapposti a "sporadici eccessi delle forze dell'ordine". Tutto questo col risultato di non poter vedere la precisa linea di repressione del dissenso di cui Genova ha costituito l'episodio più grave, seguito da altri meno noti ma non per questo meno inquietanti. Seguendo il solco ideale del disinteresse tracciato dalla Commissione parlamentare, possiamo leggere non solo le vicende processuali, ma anche la grave distrazione dei maggiori media italiani, che stanno lasciando scivolare i processi in corso per i fatti di Genova nella più completa apatia.
Se il nuovo governo vuole imprimere una svolta democratica al nostro paese, da qui deve cominciare, perché non può esserci futuro democratico laddove una macchia così grave viene lasciata alle spalle, perché non può esservi saldezza di diritti in un paese in cui rimangono troppi dubbi sull'omicidio di un giovane ad una manifestazione.
Il giorno dell'insediamento del nuovo governo è stato ripresentato al Senato un disegno di legge sostenuto da 60 senatori e senatrici che prevede l'istituzione di una commissione d'inchiesta sui giorni del G8 che abbia gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria, che possa cioè utilizzare tutti gli strumenti utili ad acquisire informazioni necessarie al raggiungimento della verità. Analoga iniziativa è in corso alla Camera dei deputati, con la possibilità quindi di ottenere una Commissione bicamerale, che avrebbe ancora più peso politico. E' urgente che questo disegno di legge venga discusso al più presto dal Parlamento per essere approvato e l'inchiesta possa rapidamente partire.
E' necessario che tutti e tutte coloro che in questi anni hanno condiviso la lotta per ottenere verità e giustizia si impegnino a far si che ciò avvenga. Bisogna insistere affinché ogni parlamentare si senta in dovere di assolvere una richiesta forte proveniente dal paese: nessuna lungaggine burocratica, nessun ostacolo dovrà frapporsi questa volta all'istituzione di un organismo, realmente aperto all'ascolto di tutti i soggetti che hanno faticosamente lavorato in questi anni alla ricostruzione dei fatti, e che possa dunque far luce sul black out di civiltà che ha investito il nostro paese nel luglio del 2001.

Chiediamo a tutti e tutte di impegnarsi attivamente affinché si possa finalmente in questo Paese, almeno su questa vicenda, restituire alle parole verità e giustizia il loro significato.

PER ADESIONI SCRIVERE A:
commissioneg8@yahoo.it

AIUTACI A DIFFONDERE L'APPELLO E A FARLO FIRMARE!
Scarica l'appello: http://www.piazzacarlogiuliani.org/carlo/include/dox/appello.doc



RICOMINCIAMO DA GENOVA


Mercoledì 19/07 DEMOCRAZIA E MOVIMENTI
ore 15.30 Inaugurazione mostra Diritti Negati
ore 17.30 Ne parliamo con...
ore 21.00 Parlano le comunità genovesi di migranti
ore 22.30 L'AMERICA NON ESISTE IO LO SO PERCHE' CI SONO STATO

Giovedì 20/07 PER NON DIMENTICarlo
ore 15.00 Musica e poesia, con trampoli e sorprese in Piazza Alimonda con la partecipazione di tanti amici:
Alessio Lega, All Jurassic, Les anarchistes, Cisco e Guido Foddis, Luca Lanzi e Casa del vento, le sorelle Fennec con Roberto Giuliani, Renato Franchi & Orchestrina del Suonatore Jones, Pierugo Marika e Fabio...
... e con finale giullarata musicale:
(Re) Carlo (non) torna dalla battaglia di Poitiers
di e con Giulio Cavalli
alla fisarmonica Guido Baldoni
ore 22.30 CONCERTO DI CAPAREZZA E ASSALTI FRONTALI

Venerdì 21/07 DEMOCRAZIA E REPRESSIONE
ore 16.00 Presentazione libro
ore 17.30 Ne parliamo con...
ore 20.00 Cena organizzata dal Comitato Verità e Giustizia per Genova
ore 22.00 Fiaccolata alla Diaz

Sabato 22/07 DEMOCRAZIA E COSTITUZIONE
ore 15.30 Ne parliamo con...

Segnaliamo che Sabato 22 alle ore 9.30 presso il Teatro Instabile (via Cecchi 4) si terrà l'incontro Ripartire da Genova per il ritiro dall'Afghanistan.

Primi firmatari: Vittorio Agnoletto, Mario Agostinelli, Marco Bersani, Antonio Bruno, Donatella Della Porta, Tommaso Fattori, Alessandra Mecozzi, Emilio Molinari, Andrea Morniroli, Tonino Perna, Riccardo Petrella, padre Giuseppe Pirola, Anna Pizzo, Raffaele Salinari, Gigi Sullo, Danilo Zolo.


Per adesioni ritiroafghanistan@gmail.com



TI ASPETTIAMO!