26 giugno 2006

Bianciardi l'inadeguato - In nome della legge

BIANCIARDI ‘L’INADEGUATO’
di Alessandro Collesano

Caro Antonello,
il non libro mi ha anzitutto sorpreso. Aprendo la busta e leggendo il titolo ho pensato che avrei letto come Terrosi vedeva l’amico Bianciardi. Ero molto incuriosito. Invece… Un racconto biografico si rivela quasi in un’autobiografia epistolare, dove veramente Bianciardi è, e Terrosi è un timido curatore.
Scegliere lettere o loro parti, vero, è già racconto. Ma Terrosi è un narratore! L’ho immaginato lì, con una gran voglia di spiegare, chiarire, interpretare, raccontare quanto valesse l’amico. Se non altro per curare la nostalgia. E invece: accompagna con qualche paginetta Luciano a Milano e poi ce lo lascia senza quasi più intervenire: “Ma lasciamo parlare le sue lettere”…
Era un grande Mario. Innanzitutto un grande amico, anche tre anni dopo. Non ha dimenticato Luciano come quelli della Feltrinelli dimenticarono l’impiegato suicida. Lo rispetta, lo lascia parlare, lo annota talvolta, con discrezione, quasi timidamente. Ci restituisce un Luciano ancora vivo.
Bianciardi com’era. È l’inadatto. Totalmente fuori posto. Assolutamente inadeguato all’epoca e all’ambiente. E questo lo condanna. Consunzione.
Ma prima di spegnerlo, il suo essere profondamente altro, gli consente di vedere, di intuire ciò che gli altri non percepiscono. Però indignazione e disgusto, la rabbia soprattutto e le sconfitte, lasciano segni. Consumano.
Tanta rabbia e impotenza. L’inadeguato. Sembra di vederlo, grazie alle lettere e alla discrezione di Terrosi: indurito, sempre più cinico, ma allo stesso tempo indifeso. Talvolta ha sprazzi di iniziativa e rivincita, guizzi di vitalità e progetti, voglia di dare qualche mazzata. Sembra proprio di vederlo, rialzarsi ogni tanto, forse con la bottiglia mezza vuota accanto, aiutato da una momentanea esaltazione etilica…
Bianciardi il ‘provinciale’. Tenerezza, nostalgia, rammarico, colpa talvolta. Chiede delle Maremme, ma senza convinzione. Sa già che non esistono più, che quello che succede a Milano sta succedendo anche altrove. Ma pochi se ne accorgono. Però lo sguardo diverso, nato su un altro mondo, gli consente una profondità, un punto di vista non ‘omologato’ che diventa lucida e amara consapevolezza.
Quanti altri Bianciardi sconosciuti e ‘illetterati’, macinati da questi tempi, si riconoscerebbero nello schizzo essenziale che svela Terrosi! Quanti me ne tornano in mente… C’è la storia degli inadatti dal dopoguerra ad oggi in quei frammenti.
Insomma, tutte cose che sono nel tuo saggio: Pasolini e Fellini venivano dalla provincia di allora. Avrebbero scoperto e mostrato a noi le miserie e le poesie che scovarono nelle nostre città e nel nostro paese se fossero nati a Roma o, peggio, a Milano?
Scrivi! Provinciale! Falli rivivere tu che - divertendoti/ci - puoi!
Un abbraccio



IN NOME DELLA LEGGE

di Marzio Pieri

E speriamo on sian testicoli. Abbracci garibaldini. mrz.

IN NOME DELLA LEGGE

non leggete bianciardi

non è mai troppo

tardi

e poi siamo sul tardi

non leggete adriano ebreo

negro

del mulino di bazzano

ogni suo libro un dono

non sapeva tenere

fare macco

la sua mano

di burlamacco

non leggete la vedova

di cesare battisti

inviso ai democristi

non leggete gli scritti

di vedova

se mai ne scrisse

non leggete il poeta gatto

colto sul fatto

dalla morte

alle corte

non leggete

è una cosa da matti

non c'è dimenticato

soppresso

alcolizzato

suicidato

che non tenga famiglia

ed ora poi!

(una famiglia? che vuol dir mammina?)

vuol dire una cattiva signorina ...

che lava i panni rei ...

e non la vedi mai ...

fuori della latrina ...

e della cucinina ...

della camerina ...

da letto con le lise

pianelle il scendiletto

piscioso l'altarino

biastema

non sapevano

lui vivo come in nome

della legge disfarsene

ora se lo ripiglia

come la morte

'in nome della legge'

di chi non legge

mai lesse

di chi odia sempre chi legge

a morte

ever / for ever

e regge con gran pena alla sua sorte

ma mai resse

il mòccolo

fesso chi regge

in nome della legge

venite inginocchiatevi

venite

all'ombra del gran moggio

(d'oro)

in nome della legge

NON LEGGETE

23 giugno 2006

C'è un foglio di carta....

C'è un foglio di carta che dice le leggi
e le regole di un gruppo di gente
che vive su un suolo comune:
c'è un foglio di carta che scrive
le norme di convivenza,
è un mattone di ferro
e di sangue e di terra
e di uomini e donne
che morti hanno sperato la libertà,
è un mattone sul quale si appoggia
il palazzo d'Italia, palazzo che preme
e spinge e scheggia
il mattone primario,
che resiste a stento,
ma tutti si ha da sapere che se cede,
se il mattone si sgretola,
sfalda, sfarina,
allora il palazzo si disfa,
e sarà ferro
e sangue e terra
e uomini e donne
che dovranno ancora morire sperando la libertà.

Questi sono i versi con cui Carlo Gabardini apre lo spettacolo di Paolo Rossi (“Il signor Rossi e la Costituzione”) di cui è coautore. Penso che il motivo che mi spinge a mandarveli sia chiaro: partecipiamo al referendum e spingiamo a farlo chi ci è vicino, aldiquà o aldilà delle miserie di una destra criminale e di una sinistra (?) orba e meschina - sono eufemismi ovviamente - che proprio in queste ore è protagonista dell’ennesima spartizione, di democristiana memoria, della RAI.

Statemi sani.

Marco

21 giugno 2006

la carta e il pane

La carta e il pane. Libri al macero e diritto d’autore

di Alberto Prunetti

Dove si racconta di un libro fantasma, di autori morti e di “aventi diritto” vivi, e si finisce per dar ragione a Proudhon allorché sosteneva che la proprietà è un furto.

Ci sono scatoloni pieni delle copie di un libro fantasma, pronte per finire al macero. Copertina rossa, formato in sedicesimo, brossura e un titolo semplice: Bianciardi com’era. Lettere di Luciano Bianciardi ad un amico grossetano, autore Mario Terrosi, introduzione di Pino Corrias, edizioni Stampa Alternativa. Libri da distruggere, prima ancora di essere distribuiti. Libri che sono stati dati alle stampe prima che fosse trovato un accordo con tutti gli aventi diritto, e che presto saranno trasformati in stracci.

Ma qual è la storia di questo libro fantasma?

Mario Terrosi, un tipografo grossetano amico dello scrittore Luciano Bianciardi, l’autore della Vita agra, raccoglie nel 1974 alcuni brani dalle lettere che gli ha inviato Luciano e li incastra in un racconto biografico. Il libro esce in poche copie per i tipi di “Il paese reale”, una piccola casa editrice maremmana. Presto cala il sipario su Bianciardi e solo nel 1985 un’altra piccola editrice, la romana Ianua, decide di riproporre una nuova edizione della “biografia epistolare” di Terrosi. Con la fine degli anni Ottanta si torna a parlare di Bianciardi. La macchina editoriale muove i suoi ingranaggi e risolleva dall’oblio la figura del traduttore a cottimo grossetano. Intanto Mario Terrosi muore.

Circa un anno fa la casa editrice Stampa Alternativa ha deciso di ripubblicare il libro di Terrosi. Ha pensato di aver risolto la questione della proprietà dei diritti trovando un accordo con gli eredi di Terrosi. Ma il diritto d’autore è un terreno su cui si slitta facilmente, e servono azzeccagarbugli e tanti capponi per uscirne con la strada spianata. Luciana Bianciardi, la figlia di Luciano, rivendica a norma di legge la titolarità dei diritti (o almeno del 50 percento dei diritti), e intima a Stampa Alternativa di bloccare la distribuzione del libro. Non si arriva a un accordo, e anche i familiari di Terrosi cominciano a tornare indietro rispetto all’idea della pubblicazione. Il terreno è minato, e gli esperti di diritto d’autore possono divertirsi a parlare di “opere con autorialità multipla”, “responsabilità intellettuale”, “diritto di successione” “titolarità di aventi diritto” e roba del genere.

Io invece, scelgo un’altra strada. Non ho voglia di dire a Stampa Alternativa che è il momento di tirare su un ufficio diritti, né ho voglia di supplicare la figlia di Bianciardi perché trovi un accordo per salvare le copie dei libri del padre dagli acidi del macero.

No so se “abbia più diritto” un editore a pubblicare un libro e farci soldi, o se “abbiano più diritto” gli “aventi diritto” a esigere le loro royalties, solo perché eredi. Sul diritto di successione, forse avevano ragione quelli della prima internazionale. Bisognerebbe nascere tutti uguali, senza ereditare nulla. Certo, io personalmente ci perderei una carciofaia e tre olivi nel comune di Scarlino, però tutti godremmo delle opere di Bianciardi e delle ville dei signori, potremmo ristampare a nostro gusto i testi di Calvino e organizzare picnic con pisciata libera nella villa di Arcore. Non male, no?

Chiaro, gli “aventi diritto” difendono le loro proprietà. E ci mancherebbe che il diritto non desse loro ragione. In quanto aventi diritto, il diritto è dalla loro parte. Anche quello d’autore. Per quel che ne so io, il diritto d’autore garantisce prima gli editori e poi gli autori, e più gli autori e gli “aventi diritto” che i lettori. Gli autori morti, ovviamente, non contano proprio un cazzo. E allora, cari i miei cinque lettori, chi se ne fotte del diritto. Ci sono cose più importanti da dire, sul fatto di scrivere, e sul diritto. Eccole queste cose.

L’autore di un libro è considerato il proprietario di un’opera d’ingegno, secondo la legge. Ma l’autore di un libro è al tempo stesso autore di un plagio. Ruba le idee intorno a se, come facciamo tutti: l’autore osserva, legge, ascolta. Accumula materiale e lo confeziona in un libro. E allora perché non deve riconsegnare “al pubblico dominio”, come si dice, il frutto della sua opera? Perché non renderla disponibile per nuovi plagi, nuove manipolazioni, nuove creazioni, come ha fatto lui? Allora un invito: scrittori, quando state per crepare, strappate i libri di mano ai vostri editori e ai vostri eredi, e rendeteli disponibili per tutti. Che so, inventatevi nuove licenze “creative commons post-mortem”, fate eredità agli analfabeti, basta che non diate esclusive a nessuno. Lasciate che chiunque possa pubblicare i vostri libri, a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue possibilità. Così, se Baraghini vuol pubblicare il vostro libro a 7 euro, e Luciana Bianciardi, figlia di Luciano, vuole pubblicarlo in un antimeridiano che costa 70 euro, sono fattacci loro. Ognuno se lo pubblica come vuole, e vediamo la gente quale va a comprare.

Bene, a questo mondo siamo costretti a farci pagare per quello che facciamo (e ci perdiamo sempre), e dal momento che gli editori col frutto delle fatiche di scrittori e traduttori ci fanno quattro volte i loro guadagni, non vedo niente di male nel fatto di farsi pagare per il proprio sudore: pochi, maledetti e subito, come diceva Bianciardi. Ma perché mai coi frutti del sudore (relativo) di uno scrittore dovrebbe guadagnarci anche suo figlio, o la moglie del figlio o altra gente ancora che quello scrittore mai ha visto e magari con cui non condivide niente, se non qualche manciata di cromosomi? Solo perché “aventi diritto” per questioni d’eredità? Per diritto di famiglia? Per lascito di successione? Per come la vedo io, il diritto di successione esiste solo per garantire la continuità dei grandi patrimoni. Rispetto poi alla famiglia, ci vedo l’origine di ogni danno, soprattutto nei paesi di cultura cattolica. A livello letterario, poi, ci sono vere e proprie barzellette sui casi familiari. Un esempio: un tizio si ammazza perché della famiglia non ne può più, perché odia sua moglie o sua madre o per cos’altro ancora: vi sembra giusto che i suoi familiari decidano per lui sulle sue opere? No, eppure è proprio così che succede. Oppure prendiamo il caso di D.A.F. de Sade, che vecchio e malato viene costretto ad assistere all’incendio dell’unica copia di un suo romanzo manoscritto. Sapete chi appiccò il fuoco? Suo figlio, scandalizzato dalla reputazione del padre, che avrebbe macchiato il buon nome della stirpe (e la macchiò davvero, al punto che quando pochi anni fa c’è stato un anniversario della figura di Sade, in Francia hanno festeggiato tutti, tra poco anche il presidente della repubblica, con l’eccezione degli eredi, che ormai ereditano solo il fatto che una certa pratica sessuale porta il loro nome).

Eccoci alla carta e al pane. Il giorno che mi hanno raccontato la storia del libro fantasma di Terrosi e Bianciardi sono andato a mangiare i tortelloni burro e salvia nel podere dove viveva un poeta-contadino maremmano, uno degli ultimi poeti in ottava rima, ormai scomparso. La moglie mi ha fatto vedere il libro che hanno pubblicato dopo la morte del marito, con le sue poesie. Poi mi ha fatto vedere i pochi libri di proprietà del poeta, tra cui spiccava un dizionario italiano, un rimario, la Divina commedia e le opere dell’Ariosto. Poi mi ha detto: “Maremmaciuca, un marito scrittore, m’è costato più di carta che di pane!”. Ho pensato che la moglie del contadino-poeta quel libro se l’era sudato quanto il marito, e dopo una vita tra i cavalli e le trebbiature almeno lei era riuscita a vedere il frutto di tante fatiche. I libri dovrebbero essere come l’aria e l’acqua e la terra, un bene comune, ho pensato. Si muore e si torna a fertilizzare la terra, e coi libri dovrebbe essere uguale: dovrebbero tornare a fare l’humus del libero pensiero, tornare di pubblico accesso, d’uso comunitario.

Narciso ’71 .Non so se sia questo il titolo del romanzo pornografico ancora inedito che Bianciardi ha scritto. Ogni tanto incrocio qualche vecchio che ha avuto a che fare con gli amici grossetani di Bianciardi e mi conferma che esiste almeno un libro pornografico di Luciano, ma che nessuno vuole pubblicarlo perché “l’immagine di Luciano ne rimarrebbe compromessa”. Sarà vero? Ma come, io lettore, appassionato di porcate letterarie, voglio leggermi questo romanzo perché amo Bianciardi e le porcate, ma non posso farlo perché qualcun’altro che ha i diritti preferisce non farlo uscire e lo giudica controproducente per l’immagine che si è fatto di Bianciardi? Roba da chiodi. Questo mi ricorda la storia degli eredi di Sade. E poi scusate, io l’antimeridiano non l’ho visto, ma se si vuole raccogliere l’opera completa di Bianciardi, bisogna che ci sia anche questo famoso romanzo porno di Lucianone. Se nell’antimeridiano non c’è il romanzo porno, è una vergogna (vergogna è censurare, diceva Luciano). Se invece c’è il porno romanzo (ma credo proprio di no), è una vergogna uguale che io debba pagare tanti soldi per leggerlo: a me, che faccio fatica a mettere assieme la spesa e l’affitto, toccherà rubarlo dalle librerie, e quindi o me la vedo col diritto d’autore o col diritto penale. In ogni caso aveva ragione Proudhon, la proprietà è un furto.

in appendice a questo scritto, sempre a proposito di Bianciardi, dei versi di Marzio Pieri, fiorentino, professore all'università di Parma

IN NOME DELLA LEGGE
non leggete bianciardi
non è mai troppo
tardi
e poi siamo sul tardi
non leggete adriano ebreo
negro
del mulino di bazzano
ogni suo libro un dono
non sapeva tenere
fare macco
la sua mano
di burlamacco
non leggete la vedova
di cesare battisti
inviso ai democristi
non leggete gli scritti
di vedova
se mai ne scrisse
non leggete il poeta gatto
colto sul fatto
dalla morte
alle corte
non leggete
è una cosa da matti
non c'è dimenticato
soppresso
alcolizzato
suicidato
che non tenga famiglia
ed ora poi!
(una famiglia? che vuol dir mammina?)
vuol dire una cattiva signorina ...
che lava i panni rei ...
e non la vedi mai ...
fuori della latrina ...
e della cucinina ...
della camerina ...
da letto con le lise
pianelle il scendiletto
piscioso l'altarino
biastema
non sapevano
lui vivo come in nome
della legge disfarsene
ora se lo ripiglia
come la morte
'in nome della legge'
di chi non legge
mai lesse
di chi odia sempre chi legge
a morte
ever / for ever
e regge con gran pena alla sua sorte
ma mai resse
il mòccolo
fesso chi regge
in nome della legge
venite inginocchiatevi
venite
all'ombra del gran moggio
(d'oro)
in nome della legge
NON LEGGETE