05 marzo 2006

Femmine folli


Dal blog di Manuela Ardingo mardin.blogs.com (vedi il suo blog al nostro link Mardin)

Le femmine che amo io

Vorrei che certo livore per sempre smettesse di scorrermi. vorrei che semplicemente se ne uscisse. come tutto quello che non serve, con la pipì. vorrei che la mia pipì fosse ogni giorno di un colore diverso. così che io educativamente possa capire quello che mi inquina e non berne mai più. la televisione mi intristisce, ad esempio: lo so da sempre. ma anche il professionismo fine a se stesso, l'autoesaltazione propagandistica, la vuota vanità.vibro di rappresaglie senza volto, questioni passate e senza possibilità di evolversi. quella dell'eterno femminino, su tutte: questa squallidissima crociata rosa che portiamo avanti. senza niente di rivoluzionario alla base, se non questo misero discutibile vantaggio di poter fare quello che fanno gli uomini fingendosi uomini ma rimanendo donne. e poi discorsi in una direzione, parole in un'altra, interviste in un'altra ancora e noia. tanta noia, a soffocare il tutto. sembra impossibile ma ancora non abbiamo capito che il giro è finito, che siamo tornate al punto di partenza: mia nonna, davanti a me, mi guarda e ride. mi dico che quello che mi distingue da lei sia solo una certa abusata consapevolezza. non di più. non l'emancipazione emotiva, né quella fisica: partorisci quattro figlie, vivi per altri cinquant'anni e poi ne riparliamo. siamo governate dalle stesse dinamiche sciacquette di sempre. l'unica differenza è che noi, per farci accettare, siamo costrette a mascolinizzarci. nel corpo, nello stile di vita, negli atteggiamenti... e, si sa: semina un pensiero e raccoglierai un'azione, semina un'azione e raccoglierai un'abitudine, semina un'abitudine e raccoglierai un carattere, semina un carattere e raccoglierai un destino. nel bene e nel male. le vedo, più preoccupate di sembrare grasse che di sembrare stupide. le vedo e come scriveva simone de beauvoir: compiango il mio sesso. in palestra, armate di spazzola domano fiotti di capelli davanti allo specchio, con una furia che sembra avere i contorni di una malattia. poi escono e assumono l'aria civettuola che sanno, come se quello che sembrano fosse il risultato casuale di un insieme di situazioni del tutto indipendenti dalla loro volontà. le vedo truccarsi prima di andare in piscina. le vedo asciugarsi i capelli nude, spiando le altre che spiano spiate. le vedo cercare con ogni gesto di imporre il modello che rappresentano, sempre gli stessi: la maliarda, la signorina silvani, la lolita, l'intellettuale, il maschiaccio, la madre di famiglia, la rubamariti, la grandama dell'alta società... le sento sghignazzare su battute agghiaccianti. affermare con sicurezza che, al giorno d'oggi, conviene sposarsi un militare e sperare che non torni: perché l'indennità di guerra prevede cifre esorbitanti... discorsi da maschio bruto del ventennio. discorsi che non hanno niente di quella grazia che, altrove e quando è il caso, pretendono di incarnare. le osservo fare quello che sempre paga di più. trascurando chi sono e forse nemmeno sapendolo. vengono in palestra col trolley. dentro: un delirio di flaconcini e boccette delle firme più prestigiose, creme e detergenti in bottigliette tanto costose quanto piccole, spugnette e arricciacapelli come quelli della pubblicità. e io mi chiedo cosa significhi, esattamente, la parola vanità. dev'essere qualcosa di terribile, a guardarle. spalmano la crema su seni rifatti e tatuaggi tribali, si abbandonano a complicatissime alchimie cosmetiche pur di sembrare semplici. naturali. tutto per gli uomini, tutto per il successo con gli uomini. perché a loro importa solo che il mondo pensi che sono belle. esserlo conta già meno. giocano il gioco delle liberate ma sono più incatenate delle schiave più schiave. si comportano in modo da testimoniare, purtroppo, la presunta inferiorità del sesso femminile. perché per essere alla pari occorre, innanzitutto, accettarsi. e accettarsi non vuol dire essere sciatte, né trascurarsi. vuol dire equilibrio, come sempre.io adoro la femminilità nei vestiti, le cose sciantose e un po' antiche, i tacchi. io mi lavo, mi pettino, mi trucco. ma sono sempre io. non cerco di sembrare altro. non cerco di sembrare un'altra. seguo uno stile istintivo e perfettamente aderente alla mia anima. so già quello che mi piacerà tra un anno, tra dieci anni, tra venti. voglio rappresentare un'alternativa agli occhi di un uomo, non voglio essere come lui. né come i maghi dell'estetica dicono che una donna debba essere. mi sento alla pari di ogni essere vivente, ma diversa. profondamente diversa. soprattutto dagli uomini.per essere alla pari non servono le quote rosa, perché imporre per legge la quantità di uguaglianza di un sistema deprime la qualità del sistema tutto. dovrebbero aprire la strada i valori, le scelte personali, i meriti. dovrebbero essere premiati questi, liberamente e senza decreti. non le differenze di natura, non i trucchi imposti al gioco perché riescano a vincere anche i più deboli, non i salti mortali per sembrare quella che non sei. se continuiamo così, tra qualche anno, proporranno una legge che preveda quattro scambisti al parlamento ogni tre deputati omosessuali... continuando a coltivare l'equivoco che il sesso e la vita personale c'entrino qualcosa con la politica e la serietà. mi chiedo come sia possibile non accorgersi che le quote rosa sono un'enorme sconfitta, un'ammissione di inferiorità. l'unico modo per giocare al tavolo dei grandi. come quando, da bambini, gli altri ti escludevano per qualche motivo e tu lo raccontavi a casa e poi tornavi accompagnata da tuo padre. e la maestra chiamava i tuoi compagni che, ovviamente, negavano tutto e ti riaccoglievano - finti, pentiti e servili fin dall'infanzia. così, oggi. ci accettano perché la legge li obbliga a farlo. siamo diventate un numero da sbandierare, al di là di quello che possiamo o non possiamo dire, una merce di scambio: noi ne candidiamo trenta, noi trentacinque, noi quarantadue... che pena, non pensate? invece di fare un po' di autoanalisi, invece di capire cosa abbiamo che non va... abbiamo che siamo donne! abbiamo che siamo diverse! in televisione, tranne poche mascolinissime eccezioni, la donna si distingue dall'uomo per la profondità delle scollature e per la sapienza con cui imbastisce a forma di abito quel poco che ha. donne che fanno del proprio corpo l'unico messaggio, donne che si nascondono dietro mariti e amanti, donne manichino che si umiliano, donne che passano il proprio tempo a cercare di convincerci che la loro vita è solo il frutto di virtuose virtuosissime scelte. le femmine folli che amo io non sono così. loro sbagliano, cadono, inciampano, corrono senza motivo, tornano indietro, si bloccano. di alcune non so neanche se sono innamorate di qualcuno. di molte non so neanche immaginare di che sesso possa essere questo qualcuno. ma non importa, quello che ci lega percorre altri binari. di tutte amo il modo come guardano al momento. il modo come lo inseguono, quello in cui lo acchiappano. sono golose le femmine folli che amo io, e non se ne vergognano. non vanno in giro a fare le emancipate ma semplicemente s'offrono. s'offrono al mondo e a chi le vorrà amare. dolorosamente, quasi. fosse solo per un minuto, fosse anche per la vita. ieri una di loro si lavava nella doccia davanti alla mia, con la porta spalancata. era una donna enorme e nera, era madre natura, era la dea terra. insaponava il suo corpo con una grazia senza aggettivi. aveva enormi braccia pendule e fianchi rotondi e materni. il nero della sua pelle luccicava sotto l'acqua e illuminava tutti gli scheletrini tristi taglia quaranta barricati nelle altre docce. piega dopo piega si profumava il ventre. sollevava con la mano le sue grosse mammelle e le amava, si vedeva. usava un bagnoschiuma in una grande bottiglia formato convenienza. aveva in testa un telo colorato con stampe africane. era quello che era e c'era, fortissimamente. sono vive le femmine folli che amo io. ridono delle scritte sui muri di un bagno in un locale gotico a genova, con gli occhi biondissimi e pieni di gioie scapigliate. mi scrivono quattro parole quattro da una giornata difficile in giro per milano, per fare a metà. e io, non so come né perché, riesco a camminare con loro. mi inviano influssi poetici dal nordest, ogni giorno. lo so, ti rispondo, anche senza commenti. scivolano con me sui sedili di una volante della polizia rapita a mo' di taxi e ridono chiacchierano raccontano inventano creano. sono intelligenti, come solo una donna sa, parlano di potenza e debolezza del mio approccio col mondo. osservano quello che c'è e disegnano quello che manca. mi guardano pensose e dolci da un piedistallo al primo piano del colosseo. e a me basta sapere che esistono e che posso incontrare il loro sguardo antico e calmo, quando voglio. non si risparmiano le femmine folli che amo io. anche se il giorno dopo devono lavorare, anche se è tardi, anche se sono tristi, anche se hanno già bevuto troppo: continuano, loro. avvolte di arancione, anche quando sono vestite di nero. prendono quello che c'è con le mani se non, direttamente, con la bocca. non sapendo neanche a cosa servono le forchette.soffrono tanto le femmine folli che amo io. perché quaggiù non è facile e non hanno nessuna voglia di far finta che sì. troppo vecchie a sentir le nonne, troppo giovani a sentire i papà, troppo avanti a sentire il cuore, troppo indietro a sentire i giornali. le femmine folli che amo io sorridono pensando al come e non al quanto. e se una sera piangono è a causa di una sfumatura impercettibile, di un non so che di storto, non piangono mai perché è poco: sanno accontentarsi, loro. le femmine folli che amo io sanno svestirsi di tutto, generosamente. come dolcissime cipolle, pur avendo fatto dello scalogno il baluardo della propria cucina, si sfogliano, velo dopo velo e senza preoccuparsi: dimenticando con allegria che sotto l'ultimo strato non c'è niente e l'insieme delle foglie è tutto ciò che sono. le femmine folli che amo io non sono pagate per prestare il loro corpo ai più grandi stilisti italiani e fingere che sia diverso dal prostituirsi. se ci fosse un nome per questa epoca sarebbe l'epoca della prostituzione, scriveva boll. tutte prostitute, senza scampo. più o meno legali, non importa: il concetto cambia poco. cambia la velocità nell'io spendo quindi pretendo. cambiano gli sfondi: le donne rosa, oggi, operano nelle ambientazioni più insospettabili. cambiano i toni, forse: un po' più espliciti, quindi più onesti, quelli sulla cristoforo colombo. immagino. cambiano le modalità di pagamento: pagobancomat e carte di credito non sono ancora universalmente accettate, è vero. e cambia anche certa fedele sincerità, il non raccontarsela: le prostitute per strada sanno quello che fanno e perché, quelle arrampicate sulle varie scalinate aziendali no. il punto è che ognuno vive come vuole e nessuno deve giustificarsi di quello che fa o che non fa. così, vuoi diventare famosa per dimostrare ai tuoi parenti che sei bella e ce l'hai fatta pur non sapendo fare niente? sei disposta a tutto pur di riuscirci? bene, ma mentre ti rendi disponibile a tutto non rilasciare interviste in cui ti mostri stridulamente entusiasta: è lì che diventi insopportabile. di' che il tuo scopo è solo sapere che gli altri ti ritengono bella e invidiabile, raccontaci quanto è difficile non avendo niente della bellezza più autenticamente dionisiaca. non travestire la prima tappa da traguardo, è un trucchetto da bambini. dài. apprezzerei qualcosa tipo: - allora, signorina xxx, miss canottiera strappata duemilaquattro, fidanzata del bomber della yyy zzz, come sta vivendo questa prima esperienza televisiva? - male, mi sto prostituendo... non lo vede? ma continuo perché ho un sogno: gestire una casa di appuntamenti tutta mia! ecco, le femmine folli che amo io sono così: se ne accorgono quando si prostituiscono, e lo dicono.

Scritto da Mardin alle 13:51 del 3 marzo

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Bè ho girato il post di Manuela a diverse altre donne, penso che queste riflessioni siano da condividere, ti fanno star male, ti fanno pensare, perchè ormai non hai quasi più nemmeno il tempo di pensare. Finisce con un accenno ad una certa prostituzione, e allora mi viene in mente "La pensione Eva" di Camilleri, che sto leggendo, un universo di donne calde, belle, buone,buttane, donne che ti fanno sentire bene di essere donna. Si, forse sto dicendo delle cose un po' forti, ma è così difficile oggi parlare di donne. Eppure le donne sono da ogni parte, ma soprattutto sono fuori di loro e questa è la cosa peggiore, si guardano vivere ma chi sono?!
Forse ha ragione la blogghera Manuela . Forse mia nonna ai primi del '900 che a vent'anni scopriva l'Italia dai finestrini di un treno a vapore era più vera , più certa !
Meno male che ho avuto la fortuna di sentire le sue stoire.
Un abbraccio a tutte le donne, forte, forte.
Antonella.

Anonimo ha detto...

grazie, antonella. un abbraccio a te. :-)

Anonimo ha detto...

occhio, che su questo post è successo un casino, e si è mischiato