21 aprile 2006

Il Caimano; 9 e 1/2

9 e ½
[recensione preventiva, vincitrice dell'ononimo concorso, già apparsa sulla rivista "Duellanti" di aprile]
di Manuela Ardingo

Il talento sta a destra e la verità a sinistra, si scriveva un tempo in una superata dialettica forma/senso. Eppure Il caimano è un film sciantoso: sinistra o non sinistra. E, allo stesso tempo e proprio per questo, più vero del vero realista. E’ trasversale e dinamico: smaschera l’alibi conservatore alla base di ogni estetica, lo scavalca e va avanti.
Suggerisce, scena dopo scena, che il senso è la struttura. Nel film come nella vita. Che ogni frammento, preso singolarmente, è falsità. O, meglio: solo una parte di verità che, di per sé, non sembra più vera di una bugia qualunque. Solo un attributo della forma.
Da qui il superamento dialettico, tanto politico quanto estetico: la verità vive nei fili relazionali che imbastiscono il mondo e la bugia nei ruoli piccolo/borghesi del modo.
Moretti non racconta una storia, racconta la Storia: sa bene che il valore del suo realismo è tutto nell’insieme.
Così ci invita a fare un giro al circo, quello pensato creato e gestito da una persona sola. Perché è troppo di sinistra per accettare lo stato delle cose, ma anche per permettersi di non spiegare il senso etico del suo rifiuto.
Non si è concentrato su un filone unico e realista, per non vestirlo di ideologia. Non ha collezionato una serie di episodi stilosi, per una sorta di responsabilità: esiste un momento in cui l’arte cristallizza la vita e anticiparlo non è più da Moretti.
Lui sa andare oltre, sa che la crisi di un personaggio riguarda l’Italia tutta. E che, linearmente, è nella somma delle crisi di tutti i personaggi possibili – fili compresi - che si nasconde l’essenza del mondo.
Solo il quadro d’insieme è vero e solo il caimano è nelle condizioni di modificarlo. Il caimano più Moretti, forse.
Asa Nisi Masa, Asa Nisi Masa, Asa Nisi Masa…

9 commenti:

Anonimo ha detto...

ale in questa recensione non ci ha capito nulla....è una recensione preventiva, scritta al buio, non male per questo...

Anonimo ha detto...

morettiana fino al midollo oserei dire....

Anonimo ha detto...

il buoi è anche nostro però

Anonimo ha detto...

gné gné gné :-P

Anonimo ha detto...

gné gné gné :-P

Anonimo ha detto...

Non so se afferrare la tua straordinaria generosità o incazzarmi per lo stoicismo con cui ritorni a propormi le posizioni di Ardingo sul cinema. «smaschera l’alibi conservatore alla base di ogni estetica, lo scavalca e va avanti»: c’è da prendere Giacometti o Cartier-Bresson e impalarli visto che il loro tratto è estremamente riconoscibile e quindi riconducibile a una posizione estetica (che è sempre, anche, una posizione etica, bisognerebbe ricordarglielo a quell’anima bella di Ardingo). Poi che straordinario pensiero: «Suggerisce, scena dopo scena, che il senso è la struttura. Nel film come nella vita». Peccato che il film mostri chiaramente la mancanza di struttura che non sia quella imperante, del luogo comune ilota, del soldo raccapricciante che quotidianamente fa commercio dei nostri corpi. Il senso invece, un senso possibile, si fa negli interstizi, negli spazi minimi tra un’immagine e l’altra - quasi sempre nel film in sequenze mute, senza parole ormai usurate. Altro che circo e altro che Fellini, se proprio dovessi raccontare un’aria di famiglia, attraverso cui gente come Ardingo deve etichettare tutto e tutti vedendo parentele deliranti, allora direi teatro, e poi Beckett... Mi dispiace essere così caustico, in realtà mi dispiace che il discorso a sinistra si faccia di questa melassa insapore che gioca con le parole, con i ghirigori parolieri utili solo ai “brevi cenni sull’universo” che si fanno giudici di un film di un libro di una foto... alla recensione che mi hai spedito manca solo la serie di stellette o di pallini della critica quotidiana nostrana. Non so dire se il film di Moretti sia bello o brutto; sicuramente è lancinante nel dipingere l’impasse (per non dire il totale fallimento) di questa cultura che ha perso la capacità di raccontare, di mettere a nudo - e infatti solo l’ultima sequenza lo fa, una sequenza in cui Moretti ci mette il corpo, letteralmente, se lo gioca. Una cultura fallimentare di cui Ardingo e Duellanti (il cui direttore è un tipo che è capace di scrivere che «il cinema contemporaneo pone fine all’onnipotenza dello sguardo»; peccato che Sofocle aveva fatto lo stesso un po’ di tempo fa) sono ottimi rappresentanti.

Anonimo ha detto...

Sì, un po' della serie "il pallone è mio e ci gioco io" quest'ultimo commento. E per fortuna che c'è anche scritto che la recensione di Mardin era preventiva...

Anonimo ha detto...

Ma al di là del fatto che Marco non ha colto la "preventività" della recensione (con tutto ciò che questo comporta in termini di adesione al film reale), è anche vero che questa smania di etichette (giuste o sbagliate che siano), questi modi di dire, queste pesantissime frasi ("Da qui il superamento dialettico, tanto politico quanto estetico: la verità vive nei fili relazionali che imbastiscono il mondo e la bugia nei ruoli piccolo/borghesi del modo" wow!), e, lo ammetto, anche parole come "stiloso" e "sciantoso", tutto questo, insomma, non è un po' TROPPO? Troppo di tutto. Stucchevole.

Anonimo ha detto...

il cinema ci unisce, le recensioni ci dividono.