04 aprile 2006

Cronache dal Tribunale

Qualche giorno fa mi sono trovato ad impugnare davanti al Giudice di Pace –che ora sono competenti loro- un’espulsione di un ragazzo marocchino, amico di amici, trovato senza permesso di soggiorno ed espulso, per la seconda volta nel giro di circa un mese, dall’Italia. Avvertito che per strane incomprensioni, forse economiche, con l’avvocatessa che avrebbe dovuto curare l’aspetto penale della vicenda, il ragazzo aveva bisogno anche di un avvocato che lo tutelasse di fronte al giudice penale, cerco di sistemarlo a qualche collega del settore, ma senza trovarlo, che fra udienze in giro, febbri di figli, cazzi&mazzi piazzare un marocchino gratis, sia pure ad amici, capisco che non sia il massimo della vita. E dunque, rimasto col cerino in mano, vado io all’udienza penale, quasi un esordio, anche se le prime due udienze penali della mia vita restano due udienze fatte qui in Tribunale penale come difensore d’ufficio pescato nei corridoi, con tanto di amica Vpo come controparte: una chicca. Ieri sera parlo con l’avvocatessa, spiegando che io non so nulla, solo che in qualche modo lei era stata sostituita, anche se lei mi spiega che non ha mai avuto alcuna revoca e dunque l’indomani dovrà venire in udienza. Oggi arrivo dunque puntuale, più o meno, in aula. E’ in udienza un avvocato lentissimo, ed improbabile, che difende un ragazzo albanese, e prova a sostenere con esiti improbi che sia minorenne, ma il giudice respinge ogni cosa, e alla fine si arriva a patteggiare. Dietro di loro, nel frattempo, in un’aula di 80 mq due carabinieri portano via uno in manette, con la sua enorme madre davanti piangente che quasi apre il corteo, chiuso da un amico che, prima che esca dall’aula, lo bacia in bocca, gridando ai carabinieri che sono degli infami, con uno dei due che lo rimbecca “infame sarai tu”, e questo che esce dall’aula e gli corre appresso. Ma questo è il penale, prendere o lasciare, e forse per questo ho lasciato, anche se qui davvero ci sarebbe da scrivere e descrivere: suoni, odori, parole, dialetti, soldi nelle buste date dai clienti ad avvocati improbabili, giudici con il cronometro davanti pur di fronte a casi umani, e tutto il resto. Tocca a me. Nel senso che il giudice chiama la causa e l’avvocatessa si materializza ai miei occhi, anche se era sempre stata lì. Spiega al giudice che sono subentrato io e lui ne prende atto. Io alzo la mano, come a scuola, gli porto la nomina, e anche il ricorso fatto al giudice di pace, e il fax di convocazione per l’udienza, fissata fra una ventina di giorni. La mia idea sarebbe quella di avere qui un rinvio, in attesa di sapere cosa ci dice il giudice di pace sul merito dell’espulsione. Anche perché, se qui si va ora nel merito, mi pare di capire vi sia ben poca linea difensiva, visto che l’unico argomento reale –cioè quello dell’impossibilità di tornare in patria per mancanza di soldi- potrebbe essere bypassata dal fatto che il ragazzo è stato trovato con parecchi cd pirata che stava vendendo, e quindi il giudice avrebbe difficoltà a pensare che questo non ha i soldi per tornare a casa (il che, passati 5 giorni dall’espulsione, sarebbe obbligatorio). Alzo quindi la mia mano e chiedo il rinvio, sulla base del ricorso. Il giudice se lo leggiucchia, poi in pochi secondi mi dice “poiché il ricorso impugna solo il secondo decreto di espulsione, mentre qui si parla del primo, essendo tale ricorso inconferente, rigetta la richiesta”. Pezzi di mondo mi crollano addosso, mica mi toccherà discutere? Faccio presente al giudice che il primo decreto io non l’ho avuto, né ho avuto modo di reperirlo, pur avendo fatto accesso alla Prefettura, e che comunque in via istruttoria ne ho chiesto l’acquisizione e l’ho impugnato, sulla base dei medesimi presupposti. Lui mi guarda, guarda il ricorso, e mi dice che non trova il punto. Gli dico dove trovarlo, glielo leggo, lui ci pensa un attimo, lo rilegge, e tranquillo mi ribadisce che rigetta la mia richiesta. Altri piccoli pezzi di mondo crollano. Soprattutto quando il giudice mi guarda, quasi ridacchiando, chiedendomi “avvocato, che vuole fare?” Ieri dei colleghi mi hanno parlato di giudizio abbreviato, ed io ironizzavo che di abbreviato conoscevo solo lo scagotto: ora credo si debba fare quello. Incrocio lo sguardo della PM, che mi pare assai poco lucida, la quale mi guarda e mi dice “se vuoi patteggiamo”: come patteggiamo? Che cosa? Io non patteggio con nessuno qui al penale, che sia chiaro…Siccome si capisce che non sono pratico, anche se tutta questa manfrina sarà durata 15 secondi, il giudice mi fa “avvocato, abbiamo l’abbreviato…” (quasi come un cameriere che, vedendoti in difficoltà sulla scelta di un piatto dal menù ti dica cosa c’è di pronto, il tono è quello), subito incalzato dietro da un ragazzo che si stacca dalla parete e viene in mio soccorso al banco degli avvocati dicendomi in un orecchio “fai l’abbreviato che te lo assolvono”, con io che annuisco al giudice “abbreviato, abbreviato”, e lui che ridacchia dicendomi che è meglio che io mi fidi di lui, meglio lasciar fare…Questo ragazzo, un avvocato che avrà un paio d’anni meno di me, rimane dietro di me e mi dice “devi solo dire che per giurisprudenza costante del Tribunale chiedi l’assoluzione perché il fatto non sussiste, ne assolvono sette su dieci”. La PM, per non sbagliarsi, in tre parole chiede 5 mesi di reclusione (però), mentre io mi vedo gli insulti degli amici degli amici per essersi fidati di me come avvocato penale, ed io fidato del fatto che oggi sarebbe stato solo un cazzo di rinvio. Ancora il mitico mi tranquillizza, aggiungendo, mentre la PM parla “nun te preoccupà, le espulsioni so cazzate, le dovrebbero abolire…piuttosto se tu sei civilista me dovresti dà una mano con una risoluzione di un contratto al giudice di pace, me dici come se fa, che è importante?” Ma il giudice ora mi passa la palla. Ridacchiando faccio mie le sette parole del collega, che lui ha sentito, ne aggiungo alcune delle mie, sul ricorso al giudice di pace e sull’opportunità di molti di questi ragazzi di non poter tornare a casa per mancanza di soldi, e chiudo. Il giudice si ritira. Il mitico avvocato, con in mano un foglio protocollo dove scrive cifre, va dal PM e patteggia pene e multe per tre slavi che ha dietro, poi va dagli slavi e je dice che è tutto a posto, anche se uno ci rimane male che lui “non c’entra un cazzo, e lei avvocato lo sa”, e lui gli fa le facce dicendo (davanti ai poliziotti) “eddai, non dire cazzate, sei mesi con la condizionale so ‘bboni, lassa fa”. Poi, con in mano una cartella clinica di una ventina di pagine, si dirige dal cancelliere, un romano sui 50 dal capello fluente che sembra uscito da un film di Verdone, chiedendogli se fosse possibile farne una copia. Questo lo guarda, prima gli chiede se doveva fargliela solo del frontespizio poi, alla richiesta di fare tutto il plico, gli sbotta a ridere davanti dicendo “e me ce vò un giorno de ferie…”, lasciando morire lì il discorso. Ma ecco che rientra il giudice. Assumo una posizione da penitente, ascolto gli articoli del codice penale come se ascoltassi un numero di telefono svizzero, per scoprire che il ragazzo è stato assolto, il fatto non costituisce reato. Guardo il giudice e ringrazio, mi pare il minimo. L’avvocato ridacchia e dice “Ciccio, che t’avevo detto? Caffè pagato, vero? Lassame fa, no…me raccomando, quando vengo al civile poi me dai una mano tu…” Abbandono l’aula con un senso di stordimento, quasi come quando cammini senza sapere bene dove andare. Come Quando non si hanno pensieri. O quando se ne hanno troppi, che poi è la stessa cosa. Fuori, all’aria aperta, lontano dai fragori del Tribunale, da urla codici accuse e numeri, tutto mi pare ancora più folle e fuori fuoco, dalle centinaia di processi che si svolgono in questo Tribunale ogni anno aventi ad oggetto situazioni come questa e che, per giurisprudenza costante, o quasi, terminano con un’assoluzione; alla follia di stare lì in quella situazione, capendone poco e nulla, attorniato da personaggi di vario genere e umanità, con sottofondi di gente in manette che bestemmia e bacia la mamma. Che magari due giorni dopo accoltellerà per una dose, vai a sapere. Oggi è andata così, è andata bene. A me e al ragazzo. Domani chissà. In fondo stiamo parlando solo della Giustizia, e che sarà mai.

Cesare Previti (...)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

in poche parole hai vinto una volta tanto una causa non sai nemmeno te come...

Anonimo ha detto...

un po' sintetico, ma è così