24 aprile 2006

Errori

L’errore è la nota tipica della nostra vita, difficile riuscire ad evitarne nei vari frangenti della nostra esistenza umana, che si tratti di lavoro, amore, rapporti umani o anche aspetti molto più banali del vivere quotidiano.
Che si sia in buona fede o meno nel commetterne conta quasi niente, l’ignoranza della legge non scusa, recita il brocardo latino. Pure sarebbe impossibile ipotizzare una vita senza errori –Dostojevski diceva che gli errori sono stazioni sulla via della verità del resto- sembrerebbe finta, quasi non vissuta.
Asettica, ma nel senso deteriore del termine.
Anche se tutti vorremmo, ogni tanto, non fare sbagli, o uscire da situazioni contrappuntate, come in un reato continuato, da una situazione di errore alla base di tutto, dove semplicemente si insiste a perpetuare uno sbaglio commesso magari anni prima.
L’errore classico che si commette, dal punto di vista pratico, è spesso un errore di punto di vista, di miopia applicata allo scorrere della vita, di incapacità legata all’avere sempre e comunque noi stessi come unico punto di riferimento.
Come potrebbe riferire un esperto giocatore di carte, e che ben conosce il valore di ogni singola giocata, l’importante non sono soltanto le carte che si hanno in mano, ma tanto più le carte che hanno in mano gli altri in quel frangente, e che spesso noi finiamo per considerare troppo poco, fissandoci soprattutto sulle nostre, quasi solo da quelle si possa trarre ispirazione per condurre il gioco.
Così nella vita, spesso finiamo per focalizzare unicamente quello che accade dentro di noi, senza porre maggiore attenzione al contesto e agli altri.
Come uno scambio di lettere nel quale si finisca per leggere quasi più la lettera scritta da noi che quella che abbiamo ricevuto, e che pure dovrebbe –quella sì- spalancarci mondi e visioni sulle quali prendere spunto per giocare la carta successiva. Ma questo spesso non accade, si rimane ognuno a fissare la propria lettera, inchiodato nella propria trincea virtuale, senza spostarsi di un passo, senza altre idee se non quella di rispondere con nuovi argomenti che però spesso quasi non tengono conto di quello che si è letto, se non in minima parte.
Come due avvocati che arrivino in udienza, si scambino le rispettive memorie, ma non ne tengano conto al momento della discussione, ognuno inevitabilmente legato a quello che ha scritto lui, derubricando come inutile e fuorviante quello che ha appena letto, alla sua visione del mondo da portare avanti e della quale convincere il giudice, che deve imporla conseguentemente all’altro per diritto divino.
Che si vinca o che si perda quella causa, e quella dopo, e quella dopo ancora, poco importa, se non l’onore e l’eventuale appello da proporre, sempre più incattiviti: si aveva comunque ragione, a prescindere.
Questo l’errore: la ragione non esiste.
Esistono incastri che rendono determinate situazioni giuste e perseguibili, ma una ed una sola ragione non c’è, forse non ce l’ha nemmeno Dio sotto mano, se potesse parlare per una volta, invece di continuare anche lui solo a leggere e a far leggere agli altri il Vangelo, senza confrontarsi con la vita reale.
Lui però è immortale, ha ancora parecchio tempo per correggersi…

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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Lui chi? Silvio?

Anonimo ha detto...

no, l'immortalità di silvio no...