22 febbraio 2008

In Fondo al Fondo

IN FONDO AL FONDO
di Antonello Ricci



“Il perché tutte quelle parole si fossero messe a sedé ne la carta, questo, non si sa” (Luciana)


Questa nostra breve storia si svolge tra Cecina e Corneto.
Ma la verità, quella vera, è che non esistono maremme.
E non c’è da perderci troppo tempo.
Poiché, voi ed io lo sappiamo bene, non esistono luoghi.
Se non negli echi del nome che li invoca.
Poiché un paesaggio è solo transito, gesto. Linea di colline. Incrocio di sguardi e strade.
Qualcuno le chiama storie.
E sempre noi (noi uomini, intendo) vogliamo sederci intorno a un fuoco.
E ascoltare.
Ed è in questo che ci riconosciamo.

Questa nostra breve storia, come molte storie, principia con un paradosso.
Perché il suo inizio, in fondo, non è altro che una fine.
Speranze, paure, desideri impiccati a un trave.
Sotto a una luna enorme.
Quel corpo, appeso al prun dell’ombra sua molesta, ha poco più di trent’anni.
Non importa come si chiamasse nel tempo prima di ogni tempo.
Dio fondatore, immemore e inconsapevole.
Strazio, lutto sordo, risentimenti a vuoto. Tortuosi come dedali.
Ma sono faccende che non competono a me.
A me che devo solo raccontare una storia.
Per cui tiro avanti.

E la storia prosegue con una porta che sbatte.
In una sera di vento e stelle.
È il giugno del 2003 (ma potrebbe essere il febbraio di un anno qualunque.
1766. 1896. 1921. 2008).
C’è una bettola, in scena, una fraschetta.
No, un’osteria.
Piantata a un crocchio di strade sulle colline massetane.
Si chiama Pian de’ Mucini.
Potrebbe uscirne gente come Tiburzi e Fioravanti.
Mezzi ’briachi, illuminati dalla brace fioca d’un toscano.
O Chiaro Mori, “Chiarone” l’anarchico, in fuga dai carabinieri.
C’entro io, invece, per presentare il mio libro sui poeti dell’ottava rima.
Fra poco arriveranno Enrico, Bruno, Niccolino (il gran ragionatore in endecasillabi).
Ma c’è già Lio. Lo intravedo dall’uscio. È seduto a un tavolo.
Lio di Pianizzoli.
Lio della Wanda.
Lio poeta gentile e paziente.
Lio cavallaro.
Lio, che già non c’è più.

Ad accogliermi corre Michele, l’oste:
“omo de panza, omo de sostanza”, recita la sua maglietta.
La dieta lo conferma.
La letteratura non è sua “passion predominante”.
Ma quel sorriso e quell’abbraccio, da soli, ti ripagano del viaggio.

(Un giorno Michele cucinerà pesce sul lungomare follonichese.
E allenerà squadre di calcetto femminile.
Ma intanto, dal fondo di quelle campagne, è proprio lui che fonda Il Fondo.
Insieme con Stefano, sia chiaro.)

Eccolo, Stefano, che infila l’uscio di fretta, sbruffando malamente.
Pendola con qui dritto da Siena, dalle colline del Buongoverno.
Dove fotografa matrimoni di zingari, sogni cubani, sedute di laurea.
Eternamente sbarca un lunario da barista.
Stefano, i suoi maglioncini dolcevita sdrucita anni ’80.
Stefano, il suo romanzo memorial-generazionale.
Stefano, Don Giovanni in Maremma e Movimento anni ’70.
Stefano, chissà se quell’editing collettivo lo faremo mai…
Stefano…

Quella sera di vento e stelle infine passa.
La festa, appena cominciata, è già finita.
Dovrei ripartirmene per Viterbo. Ma è già notte fonda.
E poi, questo posto mi piace. Questa gente mi piace.
Me ne resto seduto. Bevo un bicchiere di rosso e aspetto.
Passano giorni. Mesi. Anni.
E quella porta torna a sbattere. Di nuovo. Più volte.

Entra Luciana, coi suoi racconti raccontati.
Novelle che sanno di veglia e di camino, di vicoli e tegami, d’ago e ditale.
Che le scappano così, facilifacili, come la pipì.
Ma misteriosamente necessari, e vicini a un ordine di natura.

Poi entra Alberto, prete spretato, mangiapreti e mangiafascisti, caca-articoli e racconti.
La catana sempre piena di storie libertarie.
Di anarchici inseguiti in capo al mondo, sulla tratta Baires-Potassa. E ritorno.

Poi entra Alessandro l’avvocato. Viene da Roma in treno.
La stazza da bernescante (lo immagino spesso in cioce da pastore).
Gli aforismi alla Flaiano. I suoi praticanti e le sue praticande.
La sua Lazio (da vero burino di Formello).

Poi Dario, il webmaster. C’è e non c’è. Sorride sempre. Non interviene mai.
E ancora Manuela, Corrado, Annalisa, Emiliano, Silvana, Alessandro quell’altro ecc. ecc.

Ciascuno bussa per una sosta.
Presto ripartiranno. Ciascuno per la sua strada.
Ma intanto sono qui, per questa cena-racconto.
Siedono attorno al fuoco. Lo attizzano.
Gli sguardi si rincorrono. Piccoli cenni.
Raccontano a turno. Sennò ascoltano. Soltanto.

Pensavamo che Il Fondo fosse un’associazione. Un gruppo. Una forma, insomma.
Discutevamo, accanendoci, se fosse dibattito o convegno.
E invece era davvero un’osteria.
Un’osteria soltanto, perduta in fondo alle maremme.
Era la sala del banchetto di Alcinoo.
Era Demodoco che canta.
Era Ulisse che piange e vuota il sacco.
Erano le nostre orecchie incredule, pronte ad ascoltare la madre di tutte le storie.
Era la vita.

Erano i tortelli della Wanda.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

"chissà se quell'editinghe collettivo lo faremo mai..." eh no, caro Antonello, hai promesso, un fà il paraculo!

Anonimo ha detto...

il solito vecchio piscione, bravo Antonello!

Anonimo ha detto...

Propongo di espellere il prete spretato nonchè febbricitante, che continua a delirare di paura che gli si metta il suo racconto in internet.....chiamiamo silvione di viterbo per fucilarlo....

Anonimo ha detto...

Maremmani, scrittori e ribelli.

Conosco il Fondo dal 2003, siamo quasi arrivati ai 5 anni ormai.
E, come avvocato, senza nemmeno una parcella, il che è molto grave...
L'incontro avvenne casualmente. Partecipai al primo Concorso Boccardi, senza sapere chi fosse Daniele, ed anzi immaginandolo come uno scrittore del 1800 che scrivesse di vita contadina. Qualche giorno dopo, in libreria, mi capita per le mani "Vite minime", che acquisto, e leggo immediatamente. Fu una bella botta per me...nel libro c'era l'indicazione di un sito, dove vado e trovo una mail, alla quale invio un messaggio di commozione, speranza e partecipazione, come se lo mandassi alla famiglia Boccardi dopo aver saputo della scomparsa.
Mi ha risposto Stefano Pacini, da sobrio, e ora siamo qui.
Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia: i primi incontri, le prime presentazioni all'Osteria dei Mucini, le polemiche con la famiglia per l'opera di Daniele (in realtà mai del tutto sopite), la causa che ho avuto la vicissitudine personale di patrocinare, le polemiche per il libro di Bianciardi che non c'era ma fu oggetto di una presentazione da ricordare, l'incontro con Baraghini e la sua mimetica, le presentazioni dei libri di Luciana qui a Pianizzoli e a Pitigliano, il primo convegno l'anno scorso sulla scrittura.
E certamente dimentico qualcosa.
Non si può dire siano stati anni vuoti, passati con le mani in mano senza far niente. Anche se, in tutti noi, c'è sempre un senso di dispiacere per tutto quello che non si è ancora fatto, ma che forse si poteva fare. O che si è fatto forse male. Non parlo delle presentazioni dei libri di Daniele che hanno scatenato le polemiche, ma del concorso letterario in suo nome, ormai abbandonato, per beghe trasversali da basso impero; dei libri del Fondo, che per vari motivi non si sono più fatti negli ultimi tempi; della possibilità di ritrovarsi in serate come questa per mettere a punto qualcosa dal sapore indefinito (e forse indefinibile), che non sia solo assaggiare per l'ennesima volta i fantastici tortelli di Wanda.
Forse sto divagando, lo so.
Ma io che maremmano non sono, e probabilmente nemmeno ribelle, volevo fare il punto, lasciando subito agli altri la palla sul merito dell'incontro.
Un paio di cose però volevo dirle.
Flaiano parlava dell'Italia come di un paese dove si diventava dittatori per scrivere, e scrittori per darsi coraggio. Aveva ragione, come sempre.
Si scrive anche per darsi coraggio, e per dare coraggio; si legge anche per avere il coraggio, se in quel momento se ne ha bisogno.
Credo che in Maremma, terra storica di anarchici, il coraggio non manchi, anche se spesso tende a virare verso l'individualismo esasperato, e distruttivo.
Luciano Bianciardi ne è il simbolo indiscusso.
A me l'idea dello scrittore maledetto e ribelle, dello scrittore che viene riscoperto solo dopo morto, non piace granchè. Perchè non mi dà coraggio, ma mi mette solo una grande tristezza.
Mi piace l'idea dello scrittore libero di pensiero, che segue un suo percorso, senza che debba essere per forza una strada fatta di disastri personali, generazionali e universali.
Antonello Ricci da anni contesta ironicamente l'idea che Marcello debba, e voglia essere per forza, un "editore contro", impegnato a fare libri contro ed un festival contro: ma alla fine contro chi? contro cosa?
Ho visto qualche giorno fa il film "Into the wild", nel quale il protagonista lascia il suo mondo e fugge solitario, unicamente per capire alla fine del film, che la felicità è tale solo se condivisa, e morire subito dopo.
Nello stesso modo non bisogna essere per forza, sempre e comunque, scrittori contro, chè alla fine si è anche contro sè stessi. Magari senza aver capito nemmeno perchè.
E sarebbe la cosa decisamente peggiore: lo scrittore nasce come figura per radunare la gente intorno al fuoco e narrar loro delle storie di vario genere.
Se poi ci sono i tortelli di Wanda, in tutto questo, tanto meglio.
L'importante è che, intorno a questo fuoco, non ci si ritrovi mai da soli, sarebbe l'inizio della fine.

Anonimo ha detto...

Gente, faccio autocritica! La serata di ieri è stata piacevolissima. A
parte Luciana, che è stata uno spettacolo, la scelta dialettica di
superare tra il conflitto tra convegno e dibattito col reading è stata
ottima. Un plauso al Pacini! Viva Viva!
Alberto
PS: dioboi, mi sa che ciò la malaria davvero....

Anonimo ha detto...

e pensa te il dopo cena fino alle tre a parlare con antonello e il tozzi dell'editinghe del mio libro, e stamani dalle 10 alle 13, per un libro che non faremo mai....come a pensare a uno slogan per antonello sindaco di viterbo, l'unico discreto era: tutto è più bello col pennello d'antonello....

Anonimo ha detto...

Cari commensali, mi sento di dire due parole anch'io, più o meno in tema con la serata, anche se non son per niente scrittore, poco maremmano e, più che ribelle, polemico.
La prendo larga, ma arrivo subito

"Era il 1968, l'anno della rivoluzione pensata, delle barricate, dei lacrimogeni e io, pensa te, m'andavo a sposà.
C'è da dì poco: il curriculum mio, non esiste, scritto e nemmeno nel computer...un mestiere vero e intero nemmeno; dunque la carriera è quella che è. Da quando mi sò maritata io sò riconosciuta come coadiuvante del capoccia. Senti che titolo. Quando lo lessi, prima mi sembrò una parolaccia, poi, dissi: Merda! chè forse era qualcosa di più.
Tu lo sai io a scuola non ci andavo volentieri, chè volevo stà tutto il giorno a giocà per la strada, a imbrattammi di terra, acqua,sole e neve. Quello mi garbava a me. Però le femmine dovrebbero stà sempre all'ordine diceva la mi' mamma, composte, precise, educate, pettinate...E io sti spaghetti di capelli, anche oggi che sò vecchia, no, il pettine 'n ce la fa, s'arrende, non li doma! Forse sti capelli matti, quella sò io! Questa qui: sempre il solito bastian contrario, il no congenito; nel vedere, nel bello a tutti i costi dentro al bello e al buono, il finto!

In un mondo dove tutti parlano di etica e nessuno o quasi, la pratica sul serio, quanto mi garberebbe ci fosse una scuola di diseducazione ! In culo all'educazione e all'educatori! In culo alle regole del galateo e dei cicisbei benpensanti! In culo a chi dice no, questo non è bene e questo è male! Questo non si fa perchè è peccato!
E si alzano muri....arinculo a doppio e scritto a stampatello per questi signori capocci del mondo......

Perchè un chiedete un contributo e mettete su una scuola privata, ma di quelle che un si paga eh! Impiantate questo stabile che è fatto come la stipa del maiale di una volta: quattro legni 'ncrociati, un tetto di bandoni, sett'otto pali e via, senza cancellino, s'entra e s'esce così. Insomma 'sta scuola potrebbe avè le caratteristiche delle baraccopoli sparse nel mondo: lì, proprio accanto alle case megagalattiche dei ricchi ! Lì, uguale alle case dei più poveri, degli invisibili, i nessuno! Una scuola di zingheri (quand'ero piccina la mi' mamma quando m'insudiciavo mi diceva zinghera! Che voleva dì zozza, lorda, zoppa) di barboni, di spennacchiati come me, senza fiocchi nè mollette, senza pettine! Come ci starei volentieri in una scuola mista così, dove s'ascolta e s'impara la vita chè, la vedi, non la leggi e basta! La tocchi è per questo che l'impari meglio! Una scuola di galateo all'incontrario, una scuola libera, volante! Sbracatevi, toccatevi, guardatevi, e colorate, colorate il mondo!"

Ecco: se c'è qualcuno che ancora possiamo definire Maremmana, Ribelle e Scrittrice, stasera è qui con noi, ed è Luciana Bellini.

p.s. non so a voi, ma a me Luciana non aveva detto niente...l'altro giorno a Siena prendo in mano il depliant della stagione teatrale del Libero Circuito in Toscana, e mi accorgo che il 30 aprile a Boccheggiano e il 4 maggio a Gavorrano andrà in scena " C'è una volta la Maremma" .........

Anonimo ha detto...

Sono stata zitta fino ad ora circa l'iniziativa di sabato in quanto non
conoscevo molti di voi e leggevo e-mail sulla sua preparazione che mi
mettevano un po' d'ansia. Posso dire che la giornata mi è piaciuta
moltissimo, sia perché ho cominciato a conoscere i volti che inviano le mail
(mi ci vorrà del tempo per individuarvi bene perché sono smemorina), sia
perché ho conosciuto Luciana che, da sola, è già un regalo notevole.
Mi sono piaciute le riflessioni, niente affatto scontate, sullo scrivere e
sulla Maremma, la bella atmosfera della cena, il cibo eccellente, il luogo
suggestivo ed infine la lettura dei brani proposti che è riuscita a tenere
sveglio anche il mio compagno che di solito crolla sul piatto dopo l'ultimo
boccone.
In una società di merda, in un contesto cittadino chiuso e settario nel
quale ogni individuo tende a fondare la parrocchia di se stesso, il sentirsi
accettare con assoluta tranquillità fa respirare una boccata di aria buona.
Credo che questo tipo di iniziative (che non considero affatto minimaliste
ma di vera resistenza) siano creatrici di speranza.
Alle prossime, Silvana