19 ottobre 2006

Caso Bianciardi - Io sto con Ettore, que viva l'anti-Fondazione

Inizi 2006. Una mail senza appello di Luciana Bianciardi blocca nei magazzini di Stampa Alternativa la nuova edizione del libro di Mario Terrosi, Bianciardi com’era, lettere a un amico grossetano, curata da Corrado Barontini e dal sottoscritto. Sembra così cassato, non senza scorno e amarezza, un anno di ricerche sode, approfondimenti critici e recupero per un più vasto pubblico dell’interessante esperienza della casa editrice grossetana “Il paese reale” attiva in Maremma negli anni ’70.
Editore e curatori, però, non ci stanno. Vien la primavera. E con essa il tour delle non-presentazioni del libro fantasma. A maggio a Pianizzoli (Massa Marittima) a giugno a Viterbo. I contributi di quegli incontri (Marcello Baraghini, Corrado Barontini, Stefano Pacini, Alberto Prunetti, il sottoscritto, Alessandro Tozzi) finiscono sul web. Intervengono sul tema anche Alessandro Collesano e Marzio Pieri (quest’ultimo in versi). Si accorge della cosa www.retididedalus.it sito del Sindacato Nazionale Scrittori. Marco Palladini, direttore della testata, pubblica i materiali della polemica, interviene egli stesso sul tema.
Ai primi di settembre Maria Iatosti scrive al sottoscritto per ringraziare i promotori dell’iniziativa. Chiede di poter leggere il libro fantasma. Esprime l’auspicio di un serio confronto sul tema con l’editore.
La solidarietà della Iatosti incrocia il tormentone dell’estate grossetana: le clamorose dimissioni in blocco del gruppo dirigente della Fondazione Bianciardi (Abati, Lorenzoni e altri). Fondazione la cui decennale attività è stata certo caratterizzata da alcuni meriti scientifici che non andranno sminuiti o rimossi, ma anche da non pochi difetti di metodo e prospettive. I più buoni parlano di “fondazione-cenacolo” i più cattivi di “obitorio culturale”. Si vocifera che il futuro della Fondazione sarà affidato a Luciana Bianciardi (irriducibile critica della gestione dimissionaria). Ma anche di un trasferimento della Fondazione stessa a Milano sotto l’egida di Vittorio Sgarbi.
Qualche giorno dopo, colpo di scena nel corso della IV edizione del Festival di letteratura resistente a Pitigliano. Alla presentazione del librino millelire della giornalista Irene Blundo, Bianciardi com’era a Grosseto (nel ricordo di Isaia Vitali), sale sul palco Ettore Bianciardi, figlio maggiore di Luciano, che prende duramente le distanze da scelte, comportamenti e veti della sorella. Ettore propone a Baraghini di ripubblicare a breve gli articoli di sport e costume che Luciano scrisse nei tardi anni ’70 per il Guerin sportivo. Ma soprattutto lancia la provocatoria proposta di una giocosa e creativa Anti-Fondazione che impedisca il risorgere della paludata Fondazione (sotto qualunque guida). Nella convinzione che, lungi dal valorizzare e diffondere l’opera di uno scrittore, istituti di questo genere finiscano troppo facilmente per ridursi a medaglifici intrisi di patetico localismo ecc.
Infine. Al di là della possibile riapertura del caso del Terrosi-Bianciardi fantasma e della possibilità di riportarlo in “vita” (vicenda che comunque, e per fortuna, con la querelle intorno alla Fondazione grossetana non c’entra punto), questo groviglio di malaventure bianciardiane mette in evidenza due questioni di più generale interesse.
Prima: l’attuale legge sul diritto d’autore e le immancabili divergenze di “pensiero” tra eredi penalizzano spesso volontà e possibilità di soggetti terzi di diffondere l’opera e l’eredità culturale di uno scrittore.
Secondo: la formalizzazione di istituzioni legate al nome di un autore si trasformano puntualmente in centrali di potere culturale (se non di profitto) che finiscono per allontanarsi facilmente, troppo facilmente, dalla propria ragione originaria. E questo, mi si permetterà, è quanto di meno bianciardiano sia dato immaginare sulla faccia della terra.


Antonello Ricci

6 commenti:

Anonimo ha detto...

quanto è vero quello che dici.....

Anonimo ha detto...

bene, finalmente qualcosa pare muoversi nel verso giusto,è una delle poche volte in cui le liti " fraterne" godone della mia approvazione. E chissà che il fantasma di Bianciardi non si faccia vivo in carne ed ossa, per tutti....in alto il cuore dunque, e grazie dell'aggiornamento.

Anonimo ha detto...

bene.

Anonimo ha detto...

il pezzo è tratto dal blog di stampa alternativa...nel frattempo Ettore Bianciardi rispondendo all'invito di Valentini ( DS di Grosseto) di salvare in qualche modo la fondazione, pur capendo che il lascito di Bianciardi è universale, Ettore risponde ribadendo l'inutilità e dannosità di detta fondazione, avvertendo che se entro l'anno 2006 non si scioglierà definitivamente, darà vita con altri amici ad una antifondazione studiando e discutendo e confrontandosi su Bianciardi nel modo più spontaneo e libero possibile....FAREMO DI NUOVO LE COSE CHE FACEVA LUI, LE COSE CHE AVREBBE ANCORA FATTO SE NON SE NE FOSSE ANDATO TROPPO PRESTO,RIAPRIREMO IL FUOCO ! dall'articolo impedire che seppelliscano Bianciardi per la terza volta....maremmanews dal blog di stampa alternativa sul caso Bianciardi

Anonimo ha detto...

Ettore è un grande....a me dispiace che non esista una figura simile per il caso Boccardi, meriterebbe anche lui di non essere censurato in nome di un mal riposto onore familiare ma di essere un patrimonio universale....vecchio discorso, ma anzi, stanno lasciando morire anche il premio letterario Boccardi...ove arriva certa gente non nasce più erba.....

Anonimo ha detto...

Finalmente liberi!

di Antonello De Pierro

Era ora! La legge che pone fine all’obbligatorietà del servizio di leva è finalmente una realtà. Termina così la girandola di amarezze e delusioni che la stragrande maggioranza dei nostri giovani, chiamati ad assolvere gli obblighi di leva, è stata da sempre costretta ad incassare, perdendone abbondantemente il conto. Il festival dell’ingiustizia, delle assegnazioni e dei trasferimenti incredibili, decisi al tavolo delle raccomandazioni e dei clientelismi, senza nessuna logica o pudore di sorta: soldati spediti da Palermo a Udine, braccia “rapite” dallo Stato a famiglie bisognose, e rampolli privilegiati, parcheggiati nell’ufficio dietro casa. Il Rubicone della vergogna, attraversato sfacciatamente dai burattinai degli uffici di leva e delle caserme, muovendo inesorabilmente i fili del destino di ragazzi impotenti, spesso sacrificati sull’altare di frustrazioni personali dei superiori, finalmente sta per prosciugarsi. La “pacchia” dei graduati, abilissimi nel sottomettere giovani inermi, facendosi scudo con le opinabilissime leggi militari, che schiacciano, marciandoci sopra con i cingoli, la loro dignità, inizia a intravedere il tramonto. Chi pulirà le caserme, i “cessi” putridi e puzzolenti, le stanze e gli uffici degli ufficiali e dei “marescialloni” spocchiosi? Chi spazzerà i cortili per ore, spettacolo preferito dalle pupille dei graduati, attenti affinché venisse raccolta anche la “cicca” più minuscola (ottimo esercizio per chi avesse voluto impiegarsi come operatore ecologico al termine del servizio di leva, ma perfettamente inutile per la formazione di un soldato)?Chi impartirà lezioni gratuite di latino, greco, matematica o fisica ai figli “somari” di colonnelli e generali, quando il ragazzo laureato preferirà affrettassi a trovare qualche spiraglio nel muro di gomma del mondo del lavoro, piuttosto che seppellire un anno della sua vita nello squallido grigiore di una caserma? Particolarmente difficile appare in questi giorni penetrare quel guscio di riservatezza, che protegge come un’armatura l’universo militare dal mondo dei civili. Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ha dribblato con sorprendente abilità la richiesta di un’intervista da parte del nostro giornale. Ma noi, che non amiamo assolutamente mettere il morso alla nostra inarrestabile voglia di verità, non possiamo sorvolare su gravi episodi legati alla moritura “naja”, nutrendoci al banco della nostra esperienza diretta, dove troviamo ricordi che ancora passeggiano vivi nella nostra memoria. Come possiamo non toglierci il sassolino dalla scarpa, foderandoci gli occhi con il prosciutto, di fronte alla verità che preme per scivolare tra le righe di un foglio provvisorio di giornale? Per ognuno un film lungo un anno e con all’incirca lo stesso copione, fatto di angherie, soprusi, arbitrarie privazioni della libertà personale. Un anno trascorso vivendo di nulla ai margini del nulla, con la rassegnazione pronta a spegnere immediatamente qualsivoglia ruggito di vitalità. Finalmente si volta pagina. Agli occhi di chi scrive la memoria mette a fuoco fotogrammi spaventosi. Ragazzi avviluppati dalla spirale del sistema militare, privati della volontà, della dignità stessa di esseri umani, ridotte a puro sussurro. Costretti a subire turpiloqui e ingiurie a più non posso, senza la possibilità di reagire; a mangiare con le mani e ad elemosinare un bicchiere d’acqua nella desolazione dell’Ospedale Militare di Firenze; a dormire con cinque coperte e cinque maglioni in gelide camerate senza riscaldamento (naturalmente nelle camere confortevoli degli ufficiali il caldo era insopportabile); a subire incredibili atti di “nonnismo”, a fare flessioni sulle braccia, portando il naso a due dita da una nauseante quantità di “merda”, troneggiante in bella mostra sul biancore di una “turca”. E molto altro congelato nei file mnemonici degli sventurati protagonisti. Spesso qualcuno più debole non ha retto e ha deciso di chiudere i conti con la vita prima del congedo. Con sorprendente rapidità, sugli scandali sanguinolenti, è sceso sempre puntualmente il velo del silenzio e dell’omertà.
Tutto ciò sarà presto finito. Finalmente!