02 novembre 2007

Giorni e nuvole

"... Vanno vengono ritornano e magari si fermano tanti giorni che non vedi più il sole e le stelle e ti sembra di non conoscere più il posto dove stai"
(Nuvole, Fabrizio De Andrè)

Difficile pensare che Soldini non abbia, più o meno consciamente, dedicato questo film girato a Genova a Fabrizio De Andrè.
La città fa da sfondo, malinconico nella bellezza dei suoi scorci, alla vicenda di Albanese e della Buy, bravissimi, una coppia come ce ne sono tante in Italia. Lui che lavora come dirigente in un'azienda, dove è socio; lei che, dopo aver cresciuto la figlia, approfittando della tranquillità economica si sta prendendo una laurea in Lettere, indirizzo Beni Culturali. Improvvisa arriva la mazzata, il giorno dopo la laurea di lei: Albanese ha da due mesi perso il lavoro, fatto fuori dal socio-amico insieme al nuovo socio-cattivo, coalizzati insieme contro di lui per salvare la baracca e loro stessi.
Da lì inizia un lungo viaggio, che porta lui sempre più in fondo in una scala sociale di cui non si vede la fine, e lei a trovare lavori per ovviare alle esigenze economiche della famiglia. Di contorno una figlia con un apporto conflittuale con il padre, le amicizie della coppia sempre più lontane (per convenienza, ma anche per scelta di fuggire lontano, come i cani quando stanno male e si rifugiano in un angolo nascosto, il più possibile), lavori sempre più irragiungibili (diceva già Flaiano 40 anni fa che non bisognava chiedere 50.000 Lit al mese per un lavoro, di quelli non ce n'era. Bisognava chiederne 200.000 Lit, di quelli si trovavano...). E ancora nuovi e strani compagni di viaggio/sventura per lui, il rapporto con il padre che continua a mantenere in una clinica nonostante tutto, un'avventura per lei sul posto di lavoro, dopo mesi di fatica, piccole e grandi umiliazioni.
Una coppia di brave persone, alle prese con una cosa più grande di loro. Il problema dell'alcolismo del film di Edwurds degli anni Sessanta I giorni del vino e delle rose, qui è diventato il problema della disoccupazione, ma ugualmente coinvolge e sconvolge la vita della gente. Come cornice un affresco, di tale Bonaventura da Barga, che lei aveva contribuito col suo lavoro (e, capiremo alla fine, con una intuizione) a rimettere alla luce in una vecchia soffitta genovese, davanti al quale i due protagonisti si trovano nell'ultima scena, dopo un litigio che poteva essere decisivo per proseguire ognuno per la propria strada, prendendosi per mano e decidendo di rimanere insieme, qualunque cosa accada.
Fin qui il film, storia plausibile nel panorama italiano di chi si trovi, nel corso della propria vita, a perdere un lavoro, e ad annaspare per trovarne un altro, per capire che ogni vita lavorativa spesso fa storia a sè, e che è inutile guardarsi troppo indietro. Storia "di pancia", dove i due protagonisti viaggiano a braccetto per tutto il film, da coppia modello, fino a che piano piano si cominciano a vedere le crepe che quella bomba ad orologeria ha provocato nella loro vita.
"Tutto sarà come prima", continua a ripetere lui per la prima parte del film, incessantemente, credendo che quel fatto sia come un monsone passeggero, destinato a lasciare posto al sole. Solo per accorgersi, dopo aver sceso diversi gradini della propria autostima, e di quella del mondo esterno, che non sarà così, che quel fatto ha cambiato per sempre le loro vite.
Abbiamo una strana concezione del lavoro, nella nostra società. Legata a diverse variabili: il denaro, il ruolo sociale, il tempo. Non uguali per tutti, ovviamente: chi mette al primo posto i soldi, chi il tempo a disposizione, chi il ruolo sociale. Ma nella concezione tradizionale, quella medio-borghese che guarda al conto corrente, Albanese può solo perdere: soldi, prestigio, considerazione della propria famiglia, fino a quel momento felice quasi in maniera atipica. Da guadagnare ha in tempo libero, possibilità di guardarsi intorno e decidere dove indirizzare il timone della propria esistenza, ma è troppo preoccupato per godersi quel momento, troppo solo per consigliarsi con qualcuno, troppo bloccato per osare qualcosa, qualunque cosa; al più è talmente disperato che un giorno va a fare il pony-express, incontrando la propria figlia che viene a sapere del licenziamento.
Perchè è così che ti frega il lavoro: tu pensi di dominarlo, ma è lui che ti stritola, alla fine. Che tu l'abbia o meno, siamo tutti nel fiume che annaspiamo, in pieno terzo millennio, a lavorare male per guadagnarci da vivere, quando un tempo si pensava che le macchine ci avrebbero del tutto sostituito. Anzi, per andare avanti sulla flessibilità, sul necessario adattamento, abbiamo perso in sicurezze, siamo sempre lì che ci guardiamo alle spalle in attesa di un nemico che forse nemmeno c'è, nemmeno fossimo di ronda sulla Fortezza Bastiani.
Dov'è il nemico, saranno i nostri capi che portano le produzioni in giro per il mondo, o gli extracomunitari che bussano alle nostre frontiere e vengono a domicilio ad occupare spazi lavorativi, che peraltro nessuno vorrebbe più?
La storia di Albanese è una storia di grave disagio perchè la storia di una caduta, ma quante ce ne sono di vicende di precariati di vario genere, che vanno avanti per decenni in uno stato di calma piatta, senza consentire
sogni, aspirazioni, illusioni a chi le vive, e quante ce ne saranno nel prossimo futuro?
Il film si chiude sulla considerazione che il privato sconfigge le brutture del mondo. Forse.
Bisogna avere fortuna, talento, spirito di sacrificio, saper valutare le priorità. Conoscere queste priorità, che già non è da tutti.
Perchè in mezzo alle nuvole, alla fine, non è mica facile capire dove stai andando.
Alessandro Tozzi

1 commento:

Anonimo ha detto...

italia e nuvole, che voglia di piangere ho ....