31 maggio 2006
Fotografi in corso
Alessandro Angeli, Fuori Stazione
27 maggio 2006
Non presentazione di un non libro
“È meglio uno stonato che canta che un intonato che piange!”
È una massima di Morbello Vergari, che voglio ricordare per dire che in questa vicenda del “non libro” mi sento proprio stonato. Però non piango e continuo a cantare e a cercare con le parole dove si è sbagliato (se si è sbagliato) e cosa non ha funzionato nel rapporto con gli interessati.
La mia parte, marginale e per certi versi inutile, si era limitata a reperire due testimonianze orali di Enrico Pareti (pittore) e Nicola Marotta (tipografo) per parlare del Terrosi meno noto (tipografo e pittore appunto). I figli di Mario hanno ritenuto di non dover mettere questo mio pezzo che tuttavia parlava attraverso due amici di un personaggio che si è misurato con il proprio lavoro e con la creatività artistica facendo mostre dei suoi quadri, partecipando ad iniziative estemporanee di pittura, confrontandosi insomma con il proprio tempo nella ricerca di una rappresentazione di sé non banale e nemmeno scontata.
Altre cose ritenute non funzionali al libro sono state alcune testimonianze su Bianciardi che avevo inciso in occasione della presentazione (del 1974) di “Bianciardi com’era”. Si trattava di alcuni stralci relativi agli interventi di Pilade Rotella, Delfo Ceni e le poche parole che Mario Terrosi disse nell’occasione.
Ritenute a torto o a ragione ingombranti o non significative (in effetti le due testimonianze di Rotella e Ceni parlavano di Bianciardi e dei loro rapporti con questo personaggio) sono state tolte.
Dunque io che c’entro?
In questa vicenda il mio nome compare come “curatore” insieme a quello di Antonello Ricci che ha insistito perché così fosse. Avevo cercato di svincolarmi da questa “cura” ma non c’è stato verso: “Poche discussioni!” mi ha detto l’amico, ci hai lavorato e ci devi stare…
Questa è la mia storia ed anche la storia di alcune cose di questo libro che qui non compaiono.
Dunque per il fatto che figuro come co-curatore sono stato invitato a questa “non presentazione”.
Ma che cosa potrei dire? Ho chiesto all’amico.
I processi sono noiosi e sterili. E i giudici (cioè quelli che pretendono di dare un giudizio a volte anche inappellabile delle cose) sono proprio da evitare.
Diverso è offrire qualche considerazione che “giudica” un operato e si confronta con altre posizioni.
Alla fine ho accettato di essere qui stasera perché non si può dire di no ad Antonello o agli amici del “Fondo” che in fondo in fondo hanno una storia (del loro entusiasmo) ancor più complicata alle spalle.
Poi i tortelli di Vanda (la moglie di Lio): a questi proprio non potevo rinunciare.
Ho chiesto di farmi accompagnare dal Coro degli Etruschi (gruppo al quale mi onoro di appartenere). La cosa è stata accolta dunque ho il piacere di esserci in questo modo. Per cantare.
Cosa insegna però questa vicenda?
Intanto il “divieto” alla pubblicazione di certi testi prima e del libro (già fatto) poi è venuto dai figli.
Gli eredi legittimi.
Voglio ricordare che nel caso di altri scrittori “popolari” di Maremma (fra i quali metto anche Morbello Vergari), sono stati proprio i familiari a cercare una via per valorizzare i propri congiunti attraverso le loro opere, mettendo in circolazione materiali altrimenti destinati all’oblio.
L’interesse a far vivere il ricordo, promuovendo una iniziativa editoriale o quant’altro per rendere fruibile un testo e tornare a parlare di chi non c’è più, di un’epoca, di una personalità dovrebbe avere nei figli i naturali promotori.
Si scopre che non è così; ormai i casi sono più d’uno, come ricorda Antonello.
Sembra purtroppo che gli interessi si leghino sempre più a quelli di carattere economico.
È dunque la legge del mercato a prevalere? Certo non è quella del buon senso che dovrebbe favorire una rilettura critica, una collocazione storica ed epocale di un’opera sicuramente compiuta facendo conoscere vizi e virtù dell’autore.
“Chi muore giace e chi vive si da pace”. Altro proverbio.
Io capisco che dovendo fare i conti con il ricordo possono affiorare situazioni conflittuali, rapporti complicati, cose che finiscono per mettere in crisi le immagine consolidate, gli affetti profondi.
Con questa vicenda, impedendo la pubblicazione del libro, si è agito un annullamento soprattutto nei confronti di Mario Terrosi, che io considero scrittore di valore, e che è stato l’autore di “Bianciardi com’era”. Non permettendo la riedizione di questa sua opera (sottolineo sua perché Mario usò le lettere di Bianciardi come citazioni incastrandole in un ragionamento), si mette davvero una pietra sopra al lavoro di Terrosi scrittore.
Si uccide la sua creatività, il suo rigore critico ed anche la sua abile misura di narratore che seppe per primo, mettendosi in gioco, far emergere la personalità complessa di Bianciardi; con una operazione esemplare che riuscì in quegli anni a rendere l’immagine piena di Bianciardi come uomo e scrittore.
Non mi addentro nelle questioni legali.
Una cosa però mi pare evidente: tutta la vicenda per come si è configurata può avviare una nuova discussione sui diritti e sui “rovesci” di una eredità intellettuale.
Una vicenda (che lascia l’amaro in bocca) può cominciare a far ragionare. Intanto chi scrive.
“I libri- scriveva Bianciardi - a differenza dei figli, sono opera collettiva”
Ritengo che si riferisse ai contenuti dei libri, ai suggerimenti, ai rapporti che spesso consentono di far nascere un’opera e di renderla fruibile. Però “sono opera collettiva” significa anche che appartengono alla collettività. E allora siccome questo libro non è fruibile dobbiamo, nostro malgrado, considerarlo come un “non libro”, un libro mancato.
Materia complessa quella dei diritti d’autore. Altrettanto complicato è poi il mercato editoriale che chiede soldi per pubblicare un’opera (non è il caso di Baraghini). Leggerei una poesia di Lio Banchi che mi sembra particolarmente adatta a rappresentare una certa editoria:
Ma voi dite bene un libro scrivi
tutti mi fate il solito discorso
ma come vuoi puoi toccar dove ‘un arrivi
tu presti un bacio e lo ricevi un morso
ma che ti ammazza so’ gli òmini vivi
perché non hanno al cuor nessun rimosrso
voi siete saggi datemi un consiglio
io tre milioni quando li ripiglio. (27/6/1988)
A Lio Banchi nel 1988 avevano chiesto quella cifra per pubblicare e Lio (del quale oggi c’è il libro, grazie a quelli del “Fondo”), non se la sentì di affrontare la spesa.
“Ma che ti ammazza so’ gli òmini vivi”. La poesia di Banchi dice tutto in questo verso.
Io lavoro da anni sui materiali orali dei quali spesso non si conosce l’autore.
Quei testi (che non vantano diritti), e che non hanno eredi legittimi, non li salvaguarda nessuno.
Ad esempio il libro de “I canti popolari in Maremma” che curai con Morbello Vergari e che uscì nel 1975 (I° edizione) subì una vicenda di appropriazione indebita dei canti pubblicati perché un maestro di musica (che non merita neppure d’essere ricordato) senza sforzarsi troppo a fare una propria ricerca e neppure a trascrivere le musiche depositò alla Siae a nome suo alcuni brani che erano nel libro. Me cojoni! (direbbe l’amico Antonello)
Come si vede è materia complessa. E sui diritti d’autore ci sarebbero da rivedere diverse cose distinguendo gli autori dai loro eredi e i diritti dai rovesci. Insisto per concludere:
da qualche tempo ormai si è avviato un processo di privatizzazione dei beni pubblici. Forse sarebbe l’ora di ripensare a questa tendenza avviando un processo inverso: rendere pubblico il privato, partendo dalle opere dell’ingegno che rappresentano i beni non materiali, ma sono nel contempo un patrimonio ereditabile. Accolgo la proposta di Baraghini riferita agli autori vivi e vegeti che possono decidere di rendere pubbliche le loro opere senza speculazioni.
Si possono fare protocolli d’intesa fra editore e autore in questo senso.
Morbello in molti casi preferì cedere i diritti all’editore accettando una somma in denaro come “pagamento” del suo lavoro.
Fece bene e comunque i familiari di Morbello sono straordinari perché hanno sempre dato la loro disponibilità per far uscire opere che lo ricordassero.
Sta per vedere la luce a breve una monografia proprio su questo autore, curato oltre che dal sottoscritto, da Alessandro Giustarini e Nanni Vergari.
Il Titolo : “Morbello Vergari, scrittore e poeta di Maremma”, lo segnalo.
26 maggio 2006
Il lavoro culturale serve...per una vita agra
Non bastano poche battute per racchiudere la serata a Pianizzoli del 19 Maggio, tutto non ci può stare dentro, anche spingendocelo ben bene.
Non ci stanno l’ospitalità e la cucina di Wanda, non ci sta la bellezza di trovarsi (o ritrovarsi) solo per il piacere di incontrarsi e di parlare di letteratura (ah, quanto avrebbero da imparare alcuni salotti paludati, di città e di provincia, da queste serate, sia pure organizzate con qualche telefonata e un avviso sul sito), non ci stanno le canzoni e le voci del Coro degli Etruschi, né il figlio di Antonello Ricci che si arrampica su una sedia e si mette davanti ad uno dei coristi (un omone di cento chili) fra il divertito e lo scocciato, alternando risate e mani a coprire le orecchie; non ci sta Marcello e 30 anni di Stampa Alternativa; non ci stanno Terrosi e Bianciardi, e chi ne ha parlato, e chi è stato a sentirlo, e se n’è andato via probabilmente un po’ più ricco, ma anche molto più affranto per la situazione che gli era stata delineata, sia pure a larghi tratti.
Per chi non lo sappia, e credo siano in pochi di quelli che leggono il sito del Fondo, tutto nasce dalla decisione di Stampa Alternativa di ripubblicare un vecchio libro di lettere di Bianciardi, cucite insieme e in qualche modo chiosate da Mario Terrosi, un suo amico maremmano. Marcello Baraghini compra i diritti dalla casa editrice Ianua, affida il tutto ad Antonello Ricci e Corrado Barontini e si parte. I due lavorano per mesi per approfondire alcuni spunti, ma alla fine del lavoro i figli di Mario Terrosi non sono soddisfatti di quel che è uscito fuori. Allora viene smontato tutto, si fa fare una prefazione (bella) a Pino Corrias, che aveva curato una decina d’anni fa una straordinaria biografia di Luciano Bianciardi e si parte. Ma ai Terrosi non vanno giù nemmeno alcune cose scritte da Corras (incredibile…), e mentre Baraghini sta valutando se fare un’altra edizione e finalmente distribuire questo benedetto libro (che nel frattempo è già stato recensito da un paio di giornali), ecco che la figlia di Bianciardi scrive a Stampa Alternativa, diffidandoli dal pubblicare e distribuire quel libro, perché lei non da il consenso a farlo, visto che le lettere sono scritte da suo padre, e appellandosi a un articolo della legge sul diritto d’autore.
La situazione, dal punto di vista giuridico, è davvero complessa, e non starò qui a ripercorrerla, forse non l’ho chiara nemmeno io. Ognuno, probabilmente, ha le sue ragioni, ognuno i suoi torti, non siamo in un ambito di estrema chiarezza, tanti sono gli aspetti dubbi da prendere in considerazione. Quello che è certo è che, anche in questa circostanza, chi ha perso sono stati i lettori, e anche la letteratura in generale, schiava di pregiudizi -ed anche giudizi- davvero poco animati da amore in senso ampio per non sembrare, all’occhio dello spettatore esterno, delle sciocchezze anche un po’ misere, se vogliamo.
Il libro quindi non si farà più, e non sembra ci siano possibilità di cercare di provarci, il diktat bianciardiano è assoluto, e a quel punto i Terrosi non hanno certo la voglia di fare battaglie legali. Come non la ha Marcello (anzi, Marcello ce l’avrebbe, ma in casa editrice l’anno preso per un orecchio e l’hanno fermato), come non la ha nessuno. Anche perché Luciano Bianciardi non se lo merita nemmeno di finire nelle cronache di un processo giudiziario per violazione dei diritti d’autore da parte di qualcuno.
Fin qui la fredda cronaca. Fredda come le aule di un processo che nessuno ha voluto, fredda come i sentimenti dei parenti coinvolti, fredda come chi ragioni di marche da bollo con la bara del morto ancora aperta. Fin qui quello che si può raccontare anche a chi non c’è stato il
Come è difficile raccontare questo libro, un libro che va letto –anzi, divorato- in un’ora al massimo, ed uscirne piacevolmente sorpresi, per la “strana”, spesso sorprendente, lucidità delle lettere di Bianciardi, che da Milano più che lettere sembrava gettare messaggi nella bottiglia all’amico grossetano, messaggi a volte divertenti, ma spesso cupi, disperati, e soprattutto profetici per molti versi.
Un libro che meritava ben altra sorte che finire suo e nostro malgrado nel magazzino di Stampa Alternativa; un libro per il quale si vorrebbe quasi la grazia del Presidente della Repubblica, se solo si potesse chiedere ed ottenere. E invece no, siamo e saremo destinati a parlarne fra pochi adepti, che si ritrovino in una catacomba (con tutto il rispetto per Pianizzoli, ci mancherebbe, magari ne avessero avute di catacombe così i cristiani) e dandosi gomitate l’uno con l’altro gridino alla vergogna.
Probabilmente, se Bianciardi potesse scriverci due righe su questa vicenda, ripeterebbe una triste riga di una sua lettera: “prima i danni si chiedevano per qualsiasi motivo, fuorché per i libri. Ora anche i libri sono entrati nel giro degli affari e dei ricatti. Segno buono…”
Ci pensi chi di dovere, ci pensi.
E magari venga alla prossima serata a Pianizzoli a parlare di letteratura in un certo modo: forse si potrebbe convincere che c’è ancora spazio per i sentimenti, c’è ancora spazio per parlarne sopra senza secondi o terzi fini.
C’è ancora spazio per l’uomo.
25 maggio 2006
Bianciardi com'era ; gli assenti hanno sempre torto
23 maggio 2006
Terrosi - Bianciardi, non presentazione, un sunto
Un fondo d’amarezza
Storie di passione, quindi, e di ricerca amorosa, paziente
Perché siamo qui. Marco Palladini, presentando la querelle sul sito del Sindacato nazionale scrittori ha sentito il bisogno di rimarcare 2 idee: * che questa è una storia diseducativa, e quindi molto bianciardiana (e quindi molto intrigante, aggiungerei io) * che l’immagine dei libri bloccati in magazzino, pronti per il macero sa molto, troppo, di Fahrenheit 451!
Da che cosa nasceva l’idea di riproporre Bianciardi com’era: * nell’ambito del terzo festival di letteratura resistente (Pitigliano, settembre 2005), dedicato al paese reale * riproporre qualche titolo interessante dal catalogo della casa editrice grossetana
Su quale filone s’innestava l’idea? Un felice crocevia di orizzonti diversi: * l’interesse di Baraghini per le Strade bianche * un mio percorso di ricerche lungo vent’anni attraverso il territorio viterbese-maremmano, cultura popolare e storia locale
Insomma: valorizzare storie e culture locali in chiave critica rispetto all’omologazione del presente
I primi contatti con gli eredi Terrosi già durante il lavoro per l’allestimento del festival, ma anche le prime impercettibili “crepe”, 2 campanelli d’allarme: * il precedente del caso Boccardi (marzo 2005) * l’idea, abortita sul nascere, di editare un romanzo inedito di Bonelli
Ipotesi-libro: intro Corrias + Terrosi + appendici mie e di Corrado (con il recupero di una chicca bianciardiana)
Le appendici: Terrosi tipografo e pittore (Corrado), Terrosi narratore (il sottoscritto), brani trascritti dagli interventi per la presentazione dell’edizione 1974, una bella lettera del figlio di Terrosi al sottoscritto
24 novembre 2005: stroncatura integrale da parte dei Terrosi delle appendici con argomentazioni acute e puntigliose. Controproposta della famiglia: solo Terrosi e Bianciardi + l’intro di Corrias (a scatola chiusa? Un po’ di amarezza, lo confesso, e da qui mi disamoro)
Mio ok immediato, però, per rispettare il patto d’altri tempi sancito con una stretta di mano. 1 dicembre 2005, contro-ok di Terrosi. Si può andare avanti: Corrias invia la sua intro direttamente in casa editrice, la casa editrice gira la mail a me per conoscenza… lo confesso… mea culpa, mea culpa… frutti velenosi del disamore (non mi va più di avere contatti coi Terrosi): non la giro a mia volta. Scelta fatale
Febbraio 2006. Pronto il libro, lo recapitiamo subito, senza entusiasmo ma con un residuo di soddisfazione per il compimento dell’impresa, ai Terrosi. 13 febbraio, mail del figlio e telefonatafiume della figlia. Fuoco e fiamme su Corrias. Come, Terrosi comunista! (eppure, eppure… c’è chi ricorda una lettera del 1956…)
Alzo le braccia e smisto sull’editore, il quale, per non lasciar morire il progetto, patteggia una ristampa “preventiva” con un Corrias ritoccato. Siamo ormai a marzo-aprile, se non ricordo male. Al momento di andare di nuovo in tipografia, giunge la mail di Luciana Bianciardi, “per caso vengo a sapere…” - è la mazzata finale. Un crocione sopra tutta la faccenda. Una pietra tombale
La storia è tutta qui, resta forse il tempo per qualche riflessione
Sui Terrosi. Non entrerò nel merito delle ragioni e delle critiche, degli argomenti e dei documenti: si tratta di un carteggio di lavoro, è vero, ma ne andrà comunque rispettata la tonalità confidenziale
Ho scritto altrove di un’immagine non-contrattabile del padre. Parlo di sensazioni. E sentimenti. Con rispetto, sia chiaro. Ma. Ho lavorato per anni, con decine e decine di persone, a loro “ritratti” pubblici. Sempre con un habitus morale: priorità della dimensione umana e condivisione del lavoro (così, e più e meglio di me, Corrado). Beh, una storia del genere, come dicono a Viterbo, non m’era mai capitata!
Ma forse, a mostrare la corda, in quest’occasione, è stato tutto un metodo di lavoro: accingendomi a scrivere del Terrosi narratore dopo averne letto centinaia e centinaia di pagine (non proprio Flaubert, sarà bene non dimenticarlo), ho sentito infine insofferenza per i limiti del “rischio” agiografico che sempre è l’interfaccia in questo genere di ricerche. E ho voluto dire il vero fino in fondo. Senza fronzoli né mezze misure. Terrosi ambiva al riconoscimento di scrittore. Ed io l’ho riconosciuto. Senza mediazioni (lo so lo so, è una provocazione ai limiti del paradosso). L’ho trattato come avrebbe voluto, in fondo. Da scrittore vero. Ma la cosa non è stata accettata. Mi hanno usato contro Bianciardi, sottilmente: “laddove Luciano glissa con eleganza, Antonello stride”. Solo che Bianciardi era un amico. Io Terrosi non l’ho mai conosciuto.
Forse, c’è anche una possibile lettura “sociologica”. Una linea Boccardi-Bonelli-Terrosi. Abituato ai popolani, non mi ero mai affacciato su una piccola borghesia già domestica con “ritratti” e autoritratti, con una propria immagine pubblica, almeno in parte smaliziata rispetto alla funzione eternante della scrittura
Comunque sia, non ho mai sentito i Terrosi dire un grazie, un semplice grazie
Sulla Bianciardi. Non ha nemmeno chiesto di vedere il libro (almeno così mi risulta). Sembra banale, ma è una spia. Sembra che non importi la qualità del tuo lavoro (il tuo lavoro per il valore-Bianciardi), sembra dominare un’ossessione da controllo del territorio (pare che l’epistolario Bianciardi-Terrosi troverà posto nel secondo Antimeridiano. Ma non il Bianciardi com’era, le lettere soltanto. Dubito che vi troveranno mai posto le missive di Terrosi.)
Ecco, ripenso alla serata grossetana del 5 marzo 2005. Gli aforismi boccardiani. La fidanzata-vestale. Editore pane-e-mortadella. Aforismi letti come barzellette. La mia intro a quel millelire me la sono poi andata a rileggere, più volte: eccheccazzo!
Gli eredi. Si muovono con maldissimulato piglio moralista e censorio, emanando aura di chi è destinato a soprintendere, vigilare, tutelare da corruzione e degrado un’ontologia, un’identità originaria, certa e autocertificata
E, visto che ci siamo, mi sarà concessa una riflessione sulla logica “anti” dell’Anti-meridiano: logica che profila un autore per negazione (non per proposta), logica che perciò, schierandosi eteronoma, subalterna ad un Altro e ad un “Altrove” di senso, si autoreclude nel cono d’ombra di ciò che intenderebbe negare. Non c’è peggior servizio, forse, alla memoria critica di un autore. Di qualunque autore
Passo e chiudo.
Antonello Ricci
15 maggio 2006
Abbiamo bisogno di tornare a leggere Pasolini e Bianciardi
Lo scrittore e critico viterbese Antonello Ricci, nostro collaboratore, dà conto di una sfortunata, piccola impresa editoriale, di cui è stato co-protagonista. Una vicenda poco commendevole sotto vari punti di vista. Senza voler giudicare chicchessia, osserviamo che la visione di un libro già stampato e pronto ad essere distribuito, che viene fermato e indirizzato al macero è una brutta immagine che evoca scene da Fahreneit 451 e anche di peggio. Osserviamo altresì che, forse, bisognerebbe cominciare a pensare a delle norme legislative che separino l’usufrutto del diritto economico d’autore dalla proprietà e cura intellettuale delle opere d’autore. Essendo acclarato che quasi mai gli eredi parentali sono i migliori giudici e amministratori del patrimonio artistico e culturale dei loro consanguinei. Ciò detto, possiamo aggiungere che Bianciardi com’era non offende né depriva alcuno. È un piacevole libretto che non ha pretese critiche o ermeneutiche, è la partecipe testimonianza di un’amicizia nata in gioventù e siglata dalle lettere che Bianciardi scrive a Terrosi in un arco temporale che va dal 1946 al 1971, anno della morte di Luciano. Come giustamente sottolinea Ricci nella post-fazione, il leit-motiv dell’epistolario sembra essere l’oscuro senso di colpa che attanaglia Bianciardi per aver abbandonato Grosseto e la comunità della sua provincia, e il continuo raffronto con la vita agra e amara che egli mena tra le nebbie padane di Milano, nonostante i suoi non disprezzabili successi professionali. Che è poi il grumo etico-esistenziale che si sviluppa nel suo capolavoro narrativo. Queste lettere ne sono un prezioso pendant, Opportunamente Ricci ne evidenzia una scritta nel giugno del 1962: «Qui continua il miracolo, dicono; tutti si comprano l’automobile, qualcuno anche il panfilo, e di tutto il resto se ne fregano. Ma non sono contenti: sono sempre incazzati. Insomma è brutta gente. Il peggio è che nel resto del paese, potendo, fanno il verso a questi di quassù. Se continua il miracolo, fra vent’anni tutta l’Italia si ridurrà come Milano». Bianciardi, al pari di Pasolini, aveva capito e avvertito in anticipo che proprio il ‘miracolo economico’, lo sviluppo neocapitalistico, il ‘boom’ consumistico stavano mettendo capo ad una mutazione antropologica di lungo corso. Al termine della quale avremmo trovato il ‘berlusconismo’ (ma questo loro non potevano, umanamente, prevederlo). Le radici del cavaliere-caimano sono lontane e profonde. Oggi ci guardiamo attorno e, secondo dice Bianciardi, vediamo tanta “brutta gente” disperatamente incazzata e grettamente avvinghiata a un malinteso materialismo. Per questo abbiamo bisogno di tornare a leggere Pasolini e Bianciardi, per continuare a dire no ad una ‘Italia agra’ che non ci piace.
Marco Palladini direttore editoriale www.retididedalus.it
12 maggio 2006
Ancora su Bianciardi
LA SFORTUNATA VICENDA DI UN’EDIZIONE FANTASMA
di Antonello Ricci
Per esempio gli eredi Terrosi, i quali, prigionieri di una non-contrattabile immagine di Mario (rispettabilissima sul piano degli affetti, ovviamente; ma tutta da discutere sotto il profilo della biografia pubblica dello scrittore), hanno saputo dire ‘grazie’ solo alla notizia che Stampa Alternativa non si sarebbe ostinata per vie legali contro gli eredi Bianciardi.
Ma anche l’editore, che ingenuamente ha sottovalutato la questione del diritto d’autore proprio in un caso di autorialità ‘anfibia’ (eh sì, perché senza l’esile ma amorevole tessitura operata dal Terrosi sulle lettere bianciardiane Bianciardi com’era non esisterebbe, ma al tempo stesso il libro di Terrosi non si reggerebbe neanche in piedi senza quegli straordinari ‘reperti’ epistolari; a questo proposito sarà interessante ricordare che Bianciardi com’era nacque in realtà come capitolo di un più ampio, mai portato a termine omaggio collettaneo a Bianciardi da parte dei suoi amici grossetani).
Poi ci sarebbe la figlia di Bianciardi che, da tempo editrice in proprio, ha brandito con eccesso di legittima difesa l’arma del diritto d’autore, lasciando intendere chiaramente che rivali sul terreno dell’eredità editoriale paterna non ne gradisce (eh sì, perché le lettere di Luciano pare intenda stamparle proprio lei, a breve: opera senz’altro meritoria. Ma quale destino per Bianciardi com’era? Possibile che quel toccante omaggio all’amico scrittore appena scomparso, voluto in anni in cui Bianciardi non era più appetibile né per la critica né per il mercato, finirà condannato ad altri trent’anni di oblio?).
Infine, perché no?, anche noi curatori. Per aver pensato – solo pensato – che fosse cosa buona e giusta rendere nuovamente disponibile per i lettori italiani un piccolo libro pieno di passione. Evidentemente sbagliavamo.....
(continua su www.retididedalus.it )
09 maggio 2006
Scrittore "Contro"
SCRITTORE ‘CONTRO’
Lettere inedite di Bianciardi a un amico
di David Fiesoli
Bianciardi com’era
Stampa Alternativa, pp.75, euro 10
(recensione uscita sul quotidiano " Il Tirreno" due giorni prima che il libro venisse bloccato)
06 maggio 2006
Bianciardi com'era: per adesso non lo sapremo
Venerdì 19 maggio, ore 20.00
Agriturismo Pianizzoli
Cena e non-presentazione
Bianciardi com'era:
per adesso non lo sapremo
Non presentazione di un libro fantasma

Per la cena è richiesta la prenotazione
Un libro fantasma è un libro che non c’è. Un libro che non può andare in libreria. Dunque un non libro. Che non si può vendere né promuovere. Che non ha senso presentare. Ma sulle cui infelici peripezie ha forse senso riflettere insieme, per spremerne un succo. Una morale da questa diseducativa e intrigante sventura editoriale. Ecco aprirsi allora lo spazio per una non presentazione…"
Parteciperanno alla non presentazione-dibattito: * Marcello Baraghini, direttore di Stampa Alternativa, editore del libro fermato da Luciana Bianciardi * Antonello Ricci, professore e scrittore di Viterbo, curatore insieme con Corrado Barontini dell’edizione bloccata * Corrado Barontini dell’Archivio delle tradizioni popolari della Maremma grossetana * Roberta Pieraccioli, direttrice della biblioteca comunale e Franco Donati, assessore alla cultura del Comune di Massa Marittima * Alberto Prunetti e Luciana Bellini, scrittori maremmani * Alessandro Tozzi, avvocato di Roma, sugli aspetti legali del caso. Modererà Stefano Pacini dell’Associazione il Fondo
Allieterà la serata il Coro degli etruschi in concerto
per informazioni e prenotazioni:
Michele 333-9725751 Stefano 338-8752519
www.associazioneilfondo.it
04 maggio 2006
Deja Vu

03 maggio 2006
Ci rimpiangeranno!
il Consiglio dei Ministri si è riunito oggi, alle ore
Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha comunicato al Consiglio dei Ministri, appositamente convocato, il proprio intendimento di rassegnare al Presidente della Repubblica le dimissioni dell'Esecutivo. Nel condividerne la decisione, il Consiglio dei Ministri ha rivolto un caloroso ringraziamento al Presidente Berlusconi per il suo operato quale Capo di Governo. Quest'ultimo, a sua volta, ha ringraziato i Vicepresidenti e tutti i Ministri per l'impegno ed i risultati raggiunti.
Al termine del Consiglio dei Ministri il Presidente Berlusconi si recherà immediatamente al Quirinale.
La riunione ha avuto termine alle ore 13,10.